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Quando prendere permessi al lavoro per motivi personali?

11 Novembre 2022 | Autore:
Quando prendere permessi al lavoro per motivi personali?

Un lutto in famiglia o una grave malattia di un familiare possono richiedere delle assenze più o meno improvvise: come comportarsi?

Non solo malattia, congedi o ferie: ci sono delle assenze dal lavoro che sono giustificate e che danno diritto a percepire la retribuzione, pur trattandosi di astensioni che hanno a che fare con la sfera squisitamente personale del dipendente. Bisogna sapere, però, quando prendere permessi al lavoro per motivi personali senza perdere il diritto allo stipendio e conservando il posto di lavoro.

Accanto a questi, ci sono altri permessi per motivi personali che non sono retribuiti e che comportano solo la sospensione e non l’interruzione del rapporto di lavoro. Al termine del periodo interessato, il lavoratore – a meno che ci sia un’espressa rinuncia da parte sua – ha il diritto di rientrare nella stessa unità produttiva o altra ubicata nello stesso Comune e di essere impegnato nelle mansioni svolte fino al giorno prima dell’assenza o a mansioni equivalenti riconducibili alla medesima categoria e livello di inquadramento. Vediamo quando è possibile prendere permessi al lavoro per motivi personali

Permesso retribuito per decesso o grave infermità

Il dipendente ha diritto di prendere permessi al lavoro per motivi personali in caso di decesso o di documentata grave infermità:

  • del coniuge, anche se legalmente separato (o della parte dell’unione civile);
  • di un parente entro il secondo grado, anche se non convivente;
  • di un componente della famiglia anagrafica.

L’azienda è tenuta a concedere per questi motivi personali fino a tre giorni di permesso nell’arco di un anno. Non vengono computati i giorni festivi e quelli non lavorativi. In alternativa, ma solo per motivi legati alla grave infermità di uno dei soggetti indicati, il lavoratore può stabilire per iscritto con il datore diverse modalità di svolgimento dell’attività lavorativa che comportino una riduzione dell’orario di lavoro complessivamente non inferiore ai giorni di permesso che vengono sostituiti. In tal caso, se accertato il venire meno della grave infermità, il lavoratore è tenuto a riprendere normalmente l’attività lavorativa. Il periodo di permesso non goduto può essere utilizzato per altri eventi che dovessero verificarsi nel corso dell’anno.

Per poter fruire di questi permessi, il dipendente deve comunicare al datore l’evento che giustifica la sua richiesta ed i giorni in cui intende assentarsi.

Se il motivo personale alla base del permesso è il decesso di un familiare, il lavoratore deve documentare tale circostanza con il certificato di morte del parente o con una dichiarazione sostitutiva se consentita.

Se, invece, si tratta di grave infermità di un familiare il dipendente deve presentare entro cinque giorni dalla ripresa dell’attività lavorativa la documentazione del medico specialista del Servizio sanitario nazionale o servizio con esso convenzionato, del medico di medicina generale, del pediatra di libera scelta o della struttura sanitaria (nel caso di ricovero o intervento chirurgico).

La fruizione deve essere effettuata entro sette giorni dalla data del decesso o dell’accertamento dell’insorgere della malattia grave o della necessità di ricorrere a specifiche terapie.

Congedo non retribuito per gravi motivi

L’altra possibilità di prendere dei permessi al lavoro per motivi personali è quella che consente di richiedere un periodo di congedo non retribuito per gravi motivi relativi alla situazione:

  • propria o del convivente (se la convivenza risulta da certificazione anagrafica);
  • dei parenti o affini entro il terzo grado disabili, anche non conviventi;
  • di coniuge o parte dell’unione civile, figli o discendenti prossimi, genitori o ascendenti prossimi, adottanti, generi e nuore, suoceri, fratelli e sorelle, anche se non conviventi.

Che cosa si deve intendere per «gravi motivi»? Si tratta di:

  • necessità familiari derivanti dal decesso di uno dei soggetti sopra elencati;
  • situazioni che comportano un impegno particolare del lavoratore o dei parenti nella cura o nell’assistenza dei soggetti sopra elencati;
  • situazioni di grave disagio personale, ad esclusione della malattia, nelle quali incorra il lavoratore (ad esempio chi è stato abbandonato dal coniuge).

Sono gravi motivi che consentono di chiedere un periodo di congedo anche quelle situazioni, riferite ai soggetti sopra elencati, con l’esclusione del richiedente, che derivano da patologie acute o croniche e che:

  • determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, comprese le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche;
  • comportano assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali;
  • richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.

Il congedo (che dà diritto a mantenere il posto di lavoro) può essere richiesto anche per il decesso del coniuge (anche legalmente separato), della parte dell’unione civile, di un parente entro il secondo grado (anche non convivente) o di un componente della famiglia anagrafica (se convivente), per il quale il lavoratore non abbia la possibilità di utilizzare permessi retribuiti nello stesso anno.

Il congedo può essere fruito per un massimo di due anni in tutta la vita lavorativa in modo continuativo o frazionato. Vanno calcolati anche i festivi e i giorni non lavorativi, quindi il riferimento è il normale calendario. Durante il congedo, il dipendente non può svolgere alcun altro tipo di attività lavorativa. Il periodo di assenza non viene computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali.

La richiesta documentata del congedo per gravi motivi deve essere fatta tenendo conto di quanto disposto dalla contrattazione collettiva. Il datore deve dare risposta, comunque, entro dieci giorni dalla richiesta. L’eventuale diniego deve essere motivato ma il lavoratore può chiedere di rivedere la domanda entro i successivi 20 giorni.

Tuttavia, se il motivo della richiesta è l’impossibilità di fruire di altri permessi retribuiti e la richiesta è riferita a periodi non superiori a tre giorni, il datore deve rispondere entro 24 ore, motivare l’eventuale diniego e assicurare che il congedo venga fruito comunque entro i successivi sette giorni.

Al momento di riprendere l’attività, se il datore di lavoro ha sostituito il lavoratore in congedo con un’assunzione a termine, il dipendente deve comunicare un eventuale rientro anticipato almeno sette giorni prima, anche se il datore può consentire la ripresa del lavoro pur avendo ricevuto un preavviso inferiore.



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