Orario di lavoro: quali limiti


Quando si ha diritto a interrompere l’attività per dedicare del tempo alla vita privata? Come funzionano pause e riposi giornalieri e settimanali?
Rendersi disponibili verso l’azienda in cui si lavora non significa smettere di fare altro nella vita. Anche perché si corre il rischio che la troppa disponibilità finisca per diventare un sistema, un obbligo per il dipendente. Insomma, spesso, si finisce in una situazione a dir poco paradossale: se non fai straordinario, se non sei sempre reperibile, se stacchi all’ora in cui dovresti staccare perché il tuo dovere l’hai già fatto, sei uno che non vuole lavorare e che non capisce le esigenze dell’azienda. Per evitare che «il troppo stoppi», la legge e la contrattazione collettiva hanno messo dei paletti per stabilire quando un lavoratore ha diritto a dire «basta, ci vediamo domani» e quanto deve essere pagato nel momento in cui dice: «Ok, mi fermo un altro paio di ore». Sull’orario di lavoro, quali limiti devono essere rispettati da entrambe le parti?
Sì, da entrambe le parti. Perché così come si può contestare al datore di pretendere che un dipendente lavori dieci ore pagato otto, il datore può contestare al dipendente che lavora sei ore pagato otto. Vediamo che cosa dicono la legge ed i contratti in merito ai limiti sugli orari di lavoro.
Indice
Orario di lavoro: la disciplina generale
Occorre premettere subito che ogni settore produttivo è disciplinato dal proprio contratto nazionale di categoria firmato dai rappresentanti di datori e di lavoratori. Pertanto, ci possono essere delle regole o delle sfumature diverse da un comparto all’altro o da una figura professionale ad un’altra anche sull’orario di lavoro.
Considerando quello che accade nella maggior parte delle aziende, cioè l’applicazione di una settimana lavorativa di 40 ore su 5 o su 6 giorni, i limiti da rispettare secondo il regime generale sono i seguenti:
- orario normale settimanale: 40 ore;
- orario massimo settimanale: 48 ore;
- orario giornaliero: a seconda della mansione e del settore;
- riposo giornaliero: 11 ore;
- riposo settimanale: 35 ore;
- pausa minima giornaliera: 10 minuti.
Orario di lavoro settimanale
Come detto, la legge stabilisce un orario normale di lavoro di 40 ore settimanali. Ma i contratti collettivi possono intervenire per:
- stabilire una durata inferiore;
- riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (l’orario multiperiodale che vedremo tra poco).
Le ore di lavoro settimanale possono essere ripartite su 5 o su 6 giorni sia dal contratto collettivo sia dal datore di lavoro previa comunicazione o trattativa.
Orario di lavoro giornaliero
Non c’è – almeno la legge non lo indica esplicitamente – un limite massimo per l’orario di lavoro giornaliero. A seconda delle esigenze dell’azienda, può essere determinato in 13 ore (con le dovute pause), tenendo conto la legge impone un riposo quotidiano di 11 ore consecutive. Il che significa che le altre 13 che mancano per arrivare alle 24 ore del giorno possono essere utilizzate per l’attività lavorativa alternata alle pause.
Fermo restando quanto disposto nel contratto collettivo, è il datore di lavoro a determinare numero di ore e orario di inizio e di termine della prestazione, così come la durata delle pause. In sostanza, l’azienda può adottare un sistema orario:
- elastico, consentendo che il lavoratore cominci e finisca entro una determinata fascia (ad esempio, iniziare tra le 8.30 e le 9 e concludere tra le 17.30 e le 18);
- rigido, perché le esigenze produttive e organizzative impongono che si debba iniziare a lavorare a una precisa ora.
Orario di lavoro multiperiodale
Come accennato poco fa, il datore può decidere di far osservare ai dipendenti degli orari settimanali superiori e inferiori a quello normale, a condizione che la media delle ore di lavoro prestate corrisponda alle 40 ore settimanali (o alla minore durata stabilita dai contratti collettivi), riferibile ad un periodo non superiore all’anno. È il cosiddetto orario multiperiodale.
Nelle settimane in cui l’orario normale viene superato, le ore lavorate in più non vengono considerate ore di straordinario ma vengono recuperate in periodi successivi dell’anno grazie ad una riduzione oraria.
La contrattazione collettiva stabilisce dei tetti massimi di orario annuo entro cui può realizzarsi la flessibilità, la modalità di retribuzione (di norma, quella regolare sia quando si lavora di più sia quando si lavora di meno) e le procedure da seguire per attuare questo particolare tipo di orario di lavoro.
Orario di lavoro: i riposi giornalieri
L’orario di lavoro deve obbligatoriamente prevedere alcuni momenti di riposo per consentire al lavoratore di riprendere le energie spese.
Se l’orario di lavoro giornaliero supera le 6 ore, il dipendente ha diritto ad una pausa finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche, all’eventuale consumazione del pasto e all’attenuazione del lavoro ripetitivo e monotono. Durata e modalità sono in genere stabilite dai contratti collettivi. In caso contrario, la legge prevede il diritto ad una pausa di durata non inferiore a 10 minuti consecutivi. Il datore di lavoro, però, stabilisce il momento in cui è possibile «staccare», a seconda delle esigenze tecniche e produttive dell’azienda.
L’orario inferiore alle 6 ore di lavoro o quello della neomamma che fruisce dei permessi giornalieri di allattamento non prevede la pausa.
Il lavoratore ha diritto, inoltre, a 11 ore di riposo consecutive ogni 24, calcolate dall’ora d’inizio della prestazione lavorativa. Il periodo di riposo minimo non può essere diminuito da accordi tra le parti. La consecutività del riposo può essere sostituita con più pause durante il giorno nel caso in cui l’attività lo richieda e previo accordo tra le parti.
Orario di lavoro: i riposi settimanali
Nella cosiddetta settimana corta di 5 giorni (di solito, da lunedì a venerdì), il sabato non deve essere considerato un giorno di riposo ma un giorno «non lavorativo». Il riposo settimanale, diciamo così, ufficiale è quello della domenica.
Il diritto al riposo settimanale scatta:
- ogni 7 giorni;
- per almeno 24 ore consecutive;
- cumulato con le ore di riposo giornaliero.
Tuttavia, in determinate situazioni, il datore di lavoro non è tenuto a concedere il riposo settimanale ogni 7 giorni: il tempo di riposo consecutivo è, infatti, calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Se ne deduce che il principio di periodicità del riposo è rispettato anche se in un arco temporale di 14 giorni vengono concessi due riposi. Per fare un banale esempio, un dipendente può lavorare da lunedì a domenica e stare a casa per riposo il lunedì e il martedì successivi.
La mancata concessione del riposo settimanale è illecita e non può essere validamente disciplinata né dal contratto né dalla legge.