Il limite riguarda solo alle attività degli avvocati: non si applica a consulenti del lavoro e ragionieri per attività contabile o amministrativa.
Il divieto del patto di quota lite (cioè l’accordo con cui professionista e cliente concordano che il compenso del primo venga calcolato in percentuale rispetto al risultato ottenuto dal suo assistito) si applica solo ai difensori e non anche ai consulenti del lavoro che prestino attività amministrativo-contabile volta all’accertamento del diritto del cliente a godere di agevolazioni fiscali e al recupero di eventuali somme indebitamente versate all’erario.
Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione con una recente sentenza [1].
Secondo la Corte, la norma [2] che vieta il patto di quota lite si applica ai soli difensori (avvocati, procuratori o patrocinatori legali) e, comunque, ai soli soggetti che assumano le vesti di difensore. Essa riguarda dunque, tuttora, l’attività difensiva prestata nell’ambito di una controversia, e cioè, non ogni attività professionale, ma esclusivamente l’esercizio dell’attività di patrocinio affidata a un difensore in una controversia o in vista di una controversia.
La nullità (parziale) del contratto di quota lite è prevista solo per l’accordo stipulato tra cliente e professionista investito del patrocinio legale relativamente ai beni oggetto della controversia a lui affidata. Si tratta, peraltro, di un’eccezione al principio generale della libertà negoziale, fondata sull’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al dichiarato intento di tutelare l’interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, la quale risulterebbe lesa tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, possano ravvisarsi forme di partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli.
Da ultimo, la Corte non manca di fornire una precisazione importante: è vero che la norma in passato è stata ritenuta applicabile anche a ragionieri e commercialisti; tuttavia, in quelle ipotesi detti professionisti avevano pur sempre svolto attività di patrocinio dinnanzi alle commissioni tributarie.
Sulla base di quanto premesso, gli ermellini hanno ritenuto legittimo il patto di quota lite in favore del consulente del lavoro proprio alla luce dell’attività prestata, di tipo amministrativo-contabile e non già difensiva.
note
[1] Cass. sent. n. 20839 del 2.10.2014.
[2] Art. 2233, terzo comma, codice civile, già prima dell’intervento di riforma a opera dell’art. 2, comma 2-bis, del dl n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006.