Il reato di violenza privata, disciplinato dal codice penale, è un reato procedibile d’ufficio, per cui la remissione della querela da parte della persona offesa non può comunque portare i giudici ad emettere una sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato.
Il reato di violenza privata [1] è perseguibile d’ufficio. Detto in parole povere, ciò significa che, se la vittima che ha denunciato l’aggressore ci ripensa in un secondo momento e, dopo aver inizialmente sporto querela, vai poi a ritirarla, il processo continua lo stesso. Non si può infatti “rinunciare” al procedimento penale nei confronti del presunto colpevole e ciò perché la Procura della Repubblica resta obbligata a portare avanti il processo.
A ricordarlo è una recente sentenza della Cassazione [1].
Il problema nasce dalla tutela che l’ordinamento predispone nei confronti delle vittime di aggressori che potrebbero essere soggette a eventuali ritorsioni attuate allo scopo di convincerle a ritirare la querela. Così l’ordinamento, a tutela anche della collettività, ha stabilito il principio secondo cui il reato di violenza privata può essere perseguito d’ufficio anche nel caso in cui il soggetto aggredito ci ripensi.
L’eventuale remissione di querela e la contestuale accettazione di tale remissione fatta dall’imputato ha valore solo nel caso di reato perseguibile a querela di parte, ma non per quelli che, d’ufficio, vanno avanti lo stesso.
note
[1] Art. 610 cod. pen.
[2] Cass. sent. n. 44867/14 del 27.10.2014.
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