Falsa testimonianza e calunnia: differenze


In quali casi il teste può mentire al giudice? Accusare di un reato una persona innocente mentre si è sul banco dei testimoni che tipo di delitto è?
Dire bugie può costare caro, soprattutto se le menzogne sono pronunciate davanti a un giudice oppure alle forze dell’ordine: in casi del genere, può infatti scattare il reato. Non è invece un crimine, almeno di norma, mentire tra privati, cioè tra persone che non rivestono una particolare carica pubblica. Con questo articolo ci soffermeremo su un particolare aspetto: vedremo cioè quali sono le differenze tra falsa testimonianza e calunnia.
Sin da subito possiamo dire che entrambe le condotte costituiscono reato, entrambe hanno come presupposto una menzogna ed entrambe ostacolano la giustizia. Come meglio spiegheremo, però, le affinità si fermano qui, in quanto i delitti appena menzionati differiscono per altri importanti aspetti. Se l’argomento ti interessa e vuoi saperne di più, prosegui nella lettura: vedremo insieme quali sono le differenze tra falsa testimonianza e calunnia.
Indice
Falsa testimonianza: cos’è?
La falsa testimonianza è il reato che commette la persona che, chiamata a deporre in un procedimento (civile, penale o amministrativo che sia), mente davanti al giudice [1].
Ma non solo: c’è falsa testimonianza anche nell’ipotesi in cui il teste rifiuti di rispondere pur potendo fornire informazioni utili alla causa.
Insomma: commette falsa testimonianza il teste “falso o reticente”, cioè che mente spudoratamente affermando il falso o negando il vero, oppure che tace su ciò che sa e che gli viene chiesto.
Calunnia: cos’è?
La calunnia è il reato che commette chi sporge una falsa denuncia [2]. In pratica, commette calunnia la persona che ricorre alle autorità competenti (forze dell’ordine, Procura della Repubblica, ecc.) per attribuire un reato a una persona che sa essere innocente.
Ad esempio, c’è calunnia se Tizio denuncia Caio di furto pur avendo la certezza che questi non ha rubato assolutamente nulla.
Requisito fondamentale della calunnia è il dolo: chi sporge la falsa denuncia deve essere in totale malafede, nel senso che deve essere certo di accusare una persona completamente innocente.
Pertanto, la denuncia sporta col dubbio che l’accusato sia effettivamente responsabile fa venir meno questo tipo di reato.
Falsa testimonianza e calunnia: quali sono le differenze?
Possiamo ora elencare le principali differenze tra falsa testimonianza e calunnia:
- la falsa testimonianza può essere commessa solo dalla persona chiamata a testimoniare davanti al giudice, mentre la calunnia può essere commessa da chiunque;
- la falsa testimonianza consiste nel mentire davanti al giudice in merito a fatti rilevanti per il processo; la calunnia, invece, consiste nell’attribuire falsamente un reato a una persona innocente;
- la calunnia è punita in maniera più severa della falsa testimonianza se dall’accusa è derivata l’ingiusta condanna del denunciato.
Il testimone che mente rischia la calunnia?
Falsa testimonianza e calunnia rischiano di incontrarsi nel caso in cui il testimone, mentendo, accusi ingiustamente qualcuno di aver commesso un reato. A tal proposito, bisogna distinguere diverse ipotesi:
- il teste che mente in quanto è stato lui a sporgere la falsa denuncia;
- il teste che mente per difendere sé stesso oppure un familiare;
- il teste che mente senza voler difendere sé o un proprio congiunto.
Analizziamo ciascuna ipotesi.
Falsa testimonianza di chi ha sporto la denuncia calunniosa
Innanzitutto, se il testimone sta deponendo nel processo che è cominciato proprio dalla sua falsa accusa, allora non potrà essere incriminato per falsa testimonianza ma al massimo per calunnia.
Matteo accusa ingiustamente Marco di averlo derubato. Chiamato a testimoniare, Matteo continua a mentire, raccontando al giudice di aver visto Marco entrare di nascosto in casa sua e sottrargli i risparmi. In un’ipotesi del genere, Matteo potrà rispondere di calunnia ma non di falsa testimonianza, visto che le sue menzogne davanti al giudice sono la naturale prosecuzione della sua falsa denuncia.
In altre parole, se il teste rende false dichiarazioni in un procedimento instauratosi a seguito di una denuncia dallo stesso sporta e poi rivelatasi calunniosa, non può essere condannato per falsa testimonianza ma solo per calunnia [3].
Falsa testimonianza per difendere sé stesso o un congiunto
Il testimone che mente e accusa qualcun altro per difendere sé stesso o un proprio congiunto non commette falsa testimonianza ma solo calunnia.
Si pensi ad esempio alla mamma dell’imputato che, chiamata a testimoniare, pur di salvare il figlio dall’accusa di spaccio, menta attribuendo il reato a un’altra persona che sa essere innocente.
In un’ipotesi del genere, il teste che mente per salvare un prossimo congiunto non può essere accusato di falsa testimonianza [4]; sussiste però la calunnia, sempre che si sia consapevoli dell’innocenza dell’incolpato.
Lo stesso dicasi se il testimone mente e accusa qualcun altro per salvare sé stesso da una possibile incriminazione.
Falsa testimonianza: quando c’è anche calunnia?
C’è invece concorso tra falsa testimonianza e calunnia a carico del testimone che, non ricorrendo la necessità di difendere sé stesso o un prossimo congiunto, accusi ingiustamente una persona che sa essere innocente.
Se Luca è chiamato a testimoniare nel processo a carico del suo amico Giovanni e, per salvarlo, decide di attribuire il fatto a una persona che sa essere innocente, allora commetterà sia falsa testimonianza che calunnia: il semplice rapporto di amicizia, infatti, non rientra tra quelli che giustificano la menzogna.
Imputato accusa di falsa testimonianza i testi: che reato è?
Infine, c’è l’ipotesi dell’imputato che, pur di screditare le testimonianze a suo carico, decide di denunciare i testi per falsa testimonianza.
In un caso del genere, non ci sono dubbi: se la denuncia per falsa testimonianza è fatta in malafede, sapendo che i testi hanno detto il vero, allora scatta il reato di calunnia [5].
note
[1] Art. 372 cod. pen.
[2] Art. 368 cod. pen.
[3] App. Taranto, sent. n. 163/2017.
[4] Art. 384 cod. pen.
[5] Cass., sent. n. 39528 dell’8 ottobre 2004.
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