Questo sito contribuisce alla audience di
Diritto e Fisco | Articoli

Cattivi odori: si possono denunciare?

2 Settembre 2022 | Autore:
Cattivi odori: si possono denunciare?

Tutela civile e penale in caso di esalazioni moleste provenienti dalla proprietà del vicino. Perché scatti il reato non occorre il dolo: basta la negligenza.

Contrariamente a quanto si possa pensare, per commettere un reato non occorre necessariamente ricorrere alla forza bruta, all’inganno oppure alle minacce: potrebbe infatti essere sufficiente anche una condotta negligente e involontaria, come ad esempio quella di chi dimentica i fornelli accesi mandando a fuoco la casa oppure di chi, sbadatamente, fa cadere il vaso che aveva sul davanzale della finestra, ferendo un passante. Sembra incredibile, ma anche chi ha scarsa attenzione per l’igiene rischia di incorrere in reato. Con questo articolo risponderemo alla seguente domanda: si possono denunciare i cattivi odori?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza [1], ha stabilito che è possibile essere condannati per le esalazioni sgradevoli provenienti dal vicino di casa. Per la precisione, gli odori molesti fanno scattare il reato di getto pericoloso di cose, punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206 euro. Se l’argomento ti interessa e vuoi saperne di più, prosegui nella lettura: vedremo insieme quando i cattivi odori si possono denunciare.

Odori molesti: cosa dice la legge?

Anche i cattivi odori possono costituire un illecito, se essi superano il limite della normale tollerabilità. Infatti, non ci si potrà lamentare di un’esalazione sgradevole solo momentanea (la classica zaffata, insomma), oppure di un odore non piacevole ma nemmeno nauseabondo. Le cose cambiano, però, se le emanazioni diventano insostenibili.

A proposito degli odori molesti, la legge prevede una doppia tutela: civile e penale. Vediamo di cosa si tratta.

Cattivi odori: tutela civile

Il Codice civile [2] dice che non ci si può lamentare delle immissioni provenienti dalla proprietà del vicino, a meno che esse non siano intollerabili.

Per “immissione” si intende ogni tipo di emanazione proveniente dal fondo limitrofo: fumi, suoni, rumori, vapori, calore, ecc. Insomma: ogni cosa percepibile dai sensi (udito, olfatto, ecc.) può essere intesa come immissione.

La legge dice che tali propagazioni debbano essere sopportate, a meno che non superino il limite rappresentato dalla normale tollerabilità.

In soldoni, ciò significa che non ci si potrà lamentare se il vicino ascolta ogni tanto la musica, se parla al telefono a voce troppo alta, se qualche volta si permette un barbecue, ecc.

Se però queste condotte finiscono per diventare insopportabili, allora si può chiedere al giudice di intervenire con una sentenza che ordini la cessazione delle molestie e, se c’è prova, anche il risarcimento dei danni.

Nel valutare se un’immissione è tollerabile o meno il giudice può prendere in considerazione ogni tipo di prova.

Ad esempio, se si produce in giudizio una perizia fonometrica con cui si dimostra che la musica del bar sottostante supera i limiti di legge, allora senza dubbio si avrà diritto a una sentenza che condanni il vicino per le immissioni intollerabili.

Per legge, inoltre, il giudice deve tenere in considerazione anche la “condizione dei luoghi” e l’eventuale “priorità dell’uso”:

  • per condizione dei luoghi si intendono le circostanze concrete. Ad esempio, chi ha una casa che affaccia sul corso principale di una città turistica difficilmente avrà ragione di lamentarsi dei rumori provenienti dalla movida;
  • per preuso si intende far riferimento alle ragioni di chi c’era prima. Ad esempio, chi acquista casa su una discoteca oppure in una zona industriale non potrà poi lamentarsi del fatto che dal locale oppure dalle fabbriche provengano rumori. Lo stesso dicasi per chi va a vivere vicino a una discarica.

Cattivi odori: tutela penale

Nei casi più gravi, i cattivi odori possono perfino costituire reato. Secondo il Codice penale [3], va punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206 euro chi:

  • getta o versa, in un luogo pubblico o in un luogo privato ma aperto al pubblico transito, cose atte a imbrattare o molestare persone;
  • provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, ugualmente idonee a imbrattare o a molestare.

Si pensi, ad esempio, allo sfiato di un condizionatore che espelle aria di scarico o aria fredda nel cortile del condominio: in un’ipotesi del genere, il proprietario del condizionatore potrebbe essere denunciato per il reato di getto pericoloso di cose, in quanto l’emissione costante è idonea a creare molestia a chi passa per il tratto in questione.

Trattandosi di una contravvenzione, il reato è procedibile d’ufficio, con la conseguenza che chiunque potrebbe sporgere denuncia, anche una persona non direttamente coinvolta dal getto di gas, fumo o vapore.

Odori molesti del vicino: quand’è reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza citata in apertura, ha ritenuto che costituissero reato gli odori molesti del vicino causati da un allevamento di cani poco pulito.

Nello specifico, la Suprema Corte ha riconosciuto il reato di getto pericoloso di cose: va condannato il titolare dell’allevamento di cani caratterizzato da una scarsa pulizia con conseguenti esalazioni sgradevoli per la famiglia che ha casa a poca distanza dalla struttura.

Per i giudici non conta la buona fede del proprietario, il quale aveva provato a giustificarsi spiegando di non avere provveduto a curare l’igiene del locale per problemi di salute: il reato di getto pericoloso di cose, infatti, si integra anche in assenza di dolo, essendo sufficiente la semplice negligenza del reo.


note

[1] Cass., sent. n. 32038 del 31 agosto 2022.

[2] Art. 844 cod. civ.

[3] Art. 674 cod. pen.

Autore immagine: depositphotos.com

Cass. pen., sez. III, ud. 17 giugno 2022 (dep. 31 agosto 2022), n. 32038

Presidente Di Nicola – Relatore Sessa

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza in data 25/03/2021 il Tribunale di Avellino ha affermato la penale responsabilità di M.A. in ordine alla contravvenzione di getto pericoloso di cose e, per l’effetto, l’ha condannato alla pena ritenuta di giustizia.
  2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del M. , avv.to G.P., che ha articolato quattro motivi di doglianza, di seguito sintetizzati conformemente al disposte dell’art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato.

Sostiene in specie che il giudice del merito sarebbe pervenuto alla decisione di condanna a fronte di un quadro probatorio tutt’altro che univoco, nell’ambito del quale avrebbe privilegiato, in maniera del tutto irragionevole, i contributi dichiarativi provenienti dalla costituita parte civile, dal di lei coniuge e dagli altri testi della pubblica accusa L. e R. senza vagliarne in alcun modo l’attendibilità soggettiva, avrebbe, inoltre, sminuito la valenza di quanto narrato dalla teste C. – unica propalante cui si sarebbe dovuta riconoscere patente di effettiva terzietà – e avrebbe, infine, svalutato il dichiarato della teste della difesa T. e la copiosa documentazione riversata in atti dalla parte privata.

2.2. Con il secondo motivo si duole, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), di violazione di legge in relazione all’omessa applicazione della scriminante prevista dall’art. 54 c.p..

Rileva in proposito che il Tribunale, a fronte delle documentate e gravi patologie da cui risultava affetto l’imputato all’epoca dei fatti, avrebbe negato, in maniera del tutto ingiustificata, l’applicazione della causa di giustificazione de qua, escludendo peraltro, in assenza di accertamenti al riguardo, che il predetto avesse delegato a terzi lo svolgimento della periodica attività di pulizia degli spazi in cui abitualmente dimoravano i cani allevati.

2.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), la mancata assunzione di una prova decisiva ai fini del decidere sub specie di illegittima limitazione della prova testimoniale richiesta dalla difesa.

Assume sostanzialmente che il giudice del merito, ammettendo due soli testi della difesa a fronte dell’ammissione di quattro testi richiesti dal pubblico ministero, avrebbe finito con riservare alla parte privata un trattamento di fatto deteriore.

2.4. Con il quarto motivo si duole infine, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), di vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di determinazione della pena.

Osserva al riguardo che il Tribunale, pur dando conto della buona personalità dell’imputato e della limitata gravità dei fatti, ha inflitto al predetto una pena pecuniaria di importo pari quasi al massimo edittale, senza esplicitare le ragioni di una tale modalità di esercizio del potere dosimetrico e senza argomentare la denegata concessione delle attenuanti generiche.

  1. Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dal D.L. n. 105 del 2021, art. 7, convertito dalla L. n. 126 del 2021, e, ancora, dal D.L. n. 228 del 2021, art. 16, convertito dalla L. n. 15 del 2022.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso presentato nell’interesse di M.A. è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
  2. Destituito di fondamento risulta il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato, sostenendo che la decisione di condanna mal si concilierebbe con un quadro probatorio tutt’altro che univoco, nell’ambito del quale si sarebbe, peraltro, irragionevolmente attribuita fede privilegiata ai contributi dichiarativi della parte civile, del coniuge e degli altri testi dell’accusa, in assenza del doveroso vaglio della loro attendibilità, si sarebbe, per converso, sminuita la valenza del narrato della teste C. e si sarebbero erroneamente svalutate le propalazioni della teste della difesa T. e la documentazione da questa prodotta.

Ritiene il Collegio che l’agitata doglianza sia affetta da evidente genericità, posto che i vizi motivazionali dedotti risultano enunciati dal ricorrente in forma alternativa o perplessa, in contrasto con il consolidato insegnamento della Suprema Corte, che, al riguardo, ha chiarito che “Il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ha l’onere – sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione” (in tal senso, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-02, nonché, in precedenza, Sez. 2, n. 31811 dell’08/05/2012, Sardo e altro, Rv. 254329-01).

Ad ogni buon conto, deve comunque evidenziarsi che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, l’apparato motivazionale sotteso alla decisione, nient’affatto carente e per nulla contraddittorio, si appalesa logico e coerente, in quanto risultano indicate, con precisione e in dettaglio, sia le molteplici e convergenti fonti dichiarative presentate dalla pubblica accusa, alle quali, in assenza di specifiche contestazioni, è riconosciuta, in via implicita, attendibilità soggettiva e oggettiva, sia le fonti dichiarative dedotte dalla difesa, alle quali si è attribuita valenza di riscontro con percorso argomentativo immune da palesi illogicità.

  1. Manifestamente infondato risulta il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole di violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della scriminante di cui all’art. 54 c.p., sostenendo l’erroneità di tale statuizione, che si vuole assunta, oltretutto, in difetto di accertamenti circa un’eventuale delega a terzi dei compiti di pulizia degli spazi in cui abitualmente dimoravano gli animali.

In proposito, rileva il Collegio che la denegata applicazione, nella vicenda di cui trattasi, dell’indicata scriminante non implica affatto una violazione della previsione dell’art. 54 c.p., nell’interpretazione costantemente offertane dalla giurisprudenza di legittimità, ove solo si consideri che, come correttamente posto in rilievo nella pronunzia gravata, risulta acclarato che l’imputato fosse l’effettivo gestore dell’allevamento di cani esercitato negli spazi esterni della sua abitazione di A. del S. , che l’eventuale impossibilità, per il predetto, di attendere ai compiti di pulizia degli ambiti in cui erano allocati gli animali, in tesi ascrivibile a sopraggiunte patologie impeditive, ben avrebbe potuto essere fronteggiata con la delega a terzi di tali compiti – del cui effettivo conferimento, tuttavia, non è stata fornita prova alcuna – e che la contravvenzione per cui v’è stata condanna ha natura di illecito colposo, configurabile, quindi, anche a fronte di comportamenti caratterizzati da mera negligenza per non curanza.

Non ricorrevano, quindi, nel caso di specie le condizioni normativamente previste per far luogo all’applicazione dell’invocata scriminante, costituendo consolidato insegnamento della Suprema Corte quello secondo cui “In tema di stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., l’imputato ha un onere di allegazione avente per oggetto tutti gli estremi della causa di esenzione, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non avere potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude l’operatività dell’esimente” (in tal senso Sez. 1, n. 12619 del 24/01/2019, Chidokwe, Rv. 276173-02, nonché Sez. 6, n. 45065 del 02/07/2014, P.G. in proc. Di Caterino e altri, Rv. 260839-01 e Sez. 5, n. 8855 del 30/01/2004, Messana, Rv. 228755-01).

  1. Palesemente infondato risulta anche il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva ai fini del decidere, sostenendo, in specie, che l’ammissione di due soli testi della difesa avrebbe pregiudicato l’esercizio dei diritti della parte privata, che sarebbe stata fatta oggetto di un trattamento deteriore rispetto a quello riservato al pubblico ministero.

Osserva al riguardo il Collegio che la dedotta doglianza è connotata da un’evidente genericità, essendosi il ricorrente limitato a denunciare un’ipotetica disparità di trattamento con riguardo alle prove testimoniali ammesse, senza in alcun modo argomentare – come, invece, sarebbe stato doveroso fare – in ordine alla decisività degli ulteriori apporti dichiarativi, di cui si era sollecitata l’acquisizione e che il giudicante aveva, tuttavia, ritenuto superflui.

  1. Del tutto privo di pregio risulta, infine, anche il quarto motivo di ricorso, con cui ci si duole di vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di determinazione della pena, sostenendo che è stata inflitta all’imputato una sanzione pecuniaria di importo pari quasi al massimo edittale senza argomentare in ordine alle concrete modalità di esercizio del potere dosimetrico e senza motivare la mancata concessione delle attenuanti generiche.

Ritiene in proposito il Collegio che la decisione gravata non sia affetta, nella parte afferente la quantificazione della pena, dai denunziati vizi motivazionali, posto che il giudice di merito ha esercitato il potere dosimetrico attribuitogli ex lege facendo esplicito richiamo ai parametri indicati dall’art. 133 c.p., e valutando equa la sanzione concretamente inflitta, sicché il decisum risulta pienamente conforme al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “In tema di irrogazione del trattamento sanzionatorio, quando per la violazione ascritta all’imputato sia prevista alternativamente la pena dell’arresto e quella dell’ammenda, il giudice non è tenuto ad esporre diffusamente le ragioni in base alle quali ha applicato la misura massima della sanzione pecuniaria, perché, avendo l’imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente più favorevole rispetto all’altra più rigorosa indicazione della norma, è sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui è stata adottata la decisione, ben potendo esaurirsi tale motivazione nell’accenno alla equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente” (in tal senso Sez. 3, n. 37867 del 18/06/2015, Di Santo, Rv. 264726-01, nonché, in precedenza,Sez. 1, n. 40176 dell’01/10/2009, Russo, Rv. 245353-01).

Nè, per altro verso, può ritenersi che la decisione sia viziata per non essere stata esplicitamente argomentata la mancata concessione delle attenuanti generiche, avendo il giudice esposto, in maniera adeguata ancorché concisa, le ragioni giustificanti la quantificazione del trattamento sanzionatorio in concreto operata e non essendo stata avanzata dalla parte richiesta cli concessione della diminuente.

  1. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi in favore della Cassa delle Ammende la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.


Sostieni laleggepertutti.it

Non dare per scontata la nostra esistenza. Se puoi accedere gratuitamente a queste informazioni è perché ci sono uomini, non macchine, che lavorano per te ogni giorno. Le recenti crisi hanno tuttavia affossato l’editoria online. Anche noi, con grossi sacrifici, portiamo avanti questo progetto per garantire a tutti un’informazione giuridica indipendente e trasparente. Ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di andare avanti e non chiudere come stanno facendo già numerosi siti. Se ci troverai domani online sarà anche merito tuo.Diventa sostenitore clicca qui

1 Commento

  1. Storia quotidiana!!!… Ma ci sarà pure un… Giudice a Berlino!!!…

    (…) Se però queste condotte finiscono per diventare insopportabili, allora si può chiedere al giudice di intervenire con una sentenza che ordini la cessazione delle molestie e, se c’è prova, anche il risarcimento dei danni.

    (…) Nei casi più gravi, i cattivi odori possono perfino costituire reato. Secondo il Codice penale [3], va punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206 euro chi:

    getta o versa, in un luogo pubblico o in un luogo privato ma aperto al pubblico transito, cose atte a imbrattare o molestare persone;
    provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, ugualmente idonee a imbrattare o a molestare.

    Ma l’impresa per evitare situazioni di tal fatta è una strada in salita MOLTO IMPERVIA!!! Provare per credere, diceva il Nostro…

Lascia un commento

Usa il form per discutere sul tema (max 1000 caratteri). Per richiedere una consulenza vai all’apposito modulo.

 


NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA

Canale video Questa è La Legge

Segui il nostro direttore su Youtube