Questo sito contribuisce alla audience di
Diritto e Fisco | Articoli

Si può mettere un mobile per dividere un balcone in due?

25 Ottobre 2022 | Autore:
Si può mettere un mobile per dividere un balcone in due?

Apposizione di una credenza o di un armadio in aderenza al pannello divisorio dei balconi per separare la proprietà del vicino: si può fare? 

Non è vero che sul balcone di casa propria si può fare ciò che si vuole. Esistono limiti di legge che impediscono, ad esempio, di violare il decoro architettonico della facciata con opere particolarmente visibili; di irradiare rumori, fumi, odori o calori in direzione dell’appartamento del vicino; di realizzare manufatti (come verande) che possono pregiudicare la stabilità dell’edificio (guarda il nostro video su 8 cose che non si possono fare dal balcone di casa). 

Qualcuno più volte si è chiesto se si può mettere un mobile per dividere un balcone in due: si tratta cioè di quei balconi che collegano due appartamenti posti sullo stesso piano e attigui tra loro. 

In linea generale, per posizionare un armadio sul balcone non bisogna chiedere l’autorizzazione al Comune, trattandosi di un’opera che non realizza una volumetria vivibile. Lo stesso dicasi per la chiusura di un piccolo spazio con pannelli longitudinali (ad esempio vetro o plexiglas) che serve solo per la collocazione di elettrodomestici e altri utensili casalinghi. Diversa invece sarebbe la soluzione della veranda che richiede il permesso di costruire e potrebbe costituire una violazione del decoro architettonico dell’edificio, come tale contraria alle regole del codice civile.

L’apposizione di un mobile sul balcone potrebbe violare il regolamento di condominio solo laddove questo disponga un esplicito divieto (dovrebbe però trattarsi di un regolamento approvato all’unanimità). Esso inoltre, quando di vistose dimensioni, potrebbe ledere l’estetica della facciata condominiale, il che consentirebbe all’assemblea di chiederne la rimozione.

Che succede infine se l’armadio viene collocato in aderenza al pannello divisorio che separa i balconi di due appartamenti confinanti? Si pone innanzitutto il problema di una eventuale lesione del diritto di veduta del vicino, determinando l’ostruzione della visuale e impedendo il passaggio della luce. 

Secondo il tribunale di Sulmona [1] si tratta di un’opera contraria alla legge (e, in particolare, all’articolo 1102 del codice civile) in quanto riduce l’uso e il godimento della cosa comune a scapito del condomino dell’unità contigua. 

I divisori in legno o vetro installati sui balconi per inframezzare le proprietà contigue (ossia per dividerle) sono parti comuni dell’edificio: appartengono cioè a tutti i condomini che possono sì farne l’uso che vogliono purché non impediscano agli altri di fare altrettanto. I divisori non sono quindi elementi di proprietà privata perché svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio finendo per diventare elementi decorativi ed ornamentali.  

Ebbene, proprio per questo, l’apposizione di un’opera sul divisorio comune viola il pari uso di una cosa comune, appunto di tutti i condomini.

Nel caso di specie, una donna aveva installato sul balcone di sua proprietà in aderenza al divisorio comune che la separa da quella della vicina, un mobile-armadio in listelli lignei. Aveva posto l’arredo in aderenza al divisorio di confine occupando tutta la sua estensione (in larghezza ed altezza) e risultando a proprio ed esclusivo uso. Essendo addossato al divisorio di confine, si è potuto verificare che creava ombra ed ostacolava il passaggio di luce. Inoltre, impediva di godere della veduta obliqua e laterale e, risultando ben visibile anche dal cortile dell’edificio, contrastava con la estetica dell’edificio. Il tribunale ha ricordato che, secondo la Cassazione [2], viene violato l’articolo 1102 del codice civile qualora le opere realizzate riducano l’immissione di luce ed aria alla proprietà.

In definitiva, il tribunale sulmonese ha dichiarato illegittima l’istallazione del mobile-armadio sul balcone dell’unità immobiliare su parte comune dell’edificio (divisorio balcone) poiché ne riduce l’uso e il godimento alla condomina dell’unità contigua. In conseguenza, l’ha condannata alla rimozione dell’opera benché installata sul balcone di proprietà esclusiva.


note

[1] Trib. Sulmona sent. n. 216/22 del 10.10.2022. 

[2] Cass. n. 10704/1994, n. 1132/1985

Autore immagine: depositphotos.com

Trib. Sulmona, sent., 10 ottobre 2022, n. 216

Giudice Samelli

In fatto

Con atto di citazione ritualmente notificato (omissis) ha adito l’intestato Tribunale al fine di accertare che le opere realizzate dalla sig.ra (omissis) costituiscono turbativa o molestia nell’esercizio della servitù di veduta sul fondo e, in generale della vista indisturbata del panorama con condanna della convenuta all’eliminazione del manufatto ed alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi A sostegno della citata azione l’attrice ha dedotto: – Di essere proprietaria di dell’unità immobiliare ubicata in (omissis) alla Via (omissis) nel condominio piano VI int. (omissis); – Il suddetto immobile è posizionato nella località (omissis)  che si trova tra il centro abitato di (omissis) e la località (omissis), in una zona priva di altre costruzioni; – La posizione del condominio (omissis) consente una spiccata panoramicità: dalla facciata principale, in cui è ubicato l’immobile dell’attrice, è possibile godere della vista, sul lato sud, del Piano Aremogna e del Monte Zurrone, sul lato nord/est dell’intera vallata in cui si trova il centro storico di (omissis); – Il condominio è stato costruito proprio per garantire ai proprietari delle singole unità immobiliari, di godere della vista e del panorama su indicato; – Tutti, gli appartamenti che affacciano sul lato principale del condominio, come quello dell’attrice, hanno come pertinenza un unico balcone, uguale a quello degli altri, diviso da quello limitrofo da una parete che ha lo scopo di delimitare il confine con le altre unità immobiliari senza pregiudicare la vista del panorama posto che le pareti divisorie sono costituite da doghe in legno orizzontali; – Presso l’unità immobiliare confinante con quella dell’attrice, recentemente, la convenuta ha eseguito interventi edilizi sul proprio balcone in aderenza con la parete divisoria del balcone dell’attrice. In particolare è stata realizzata un’opera di legno fissa, ancorata alle doghe dei balconi, che ha non solo ostruito la visuale all’attrice (omissis) ma anche impedito il passaggio della luce dal balcone di pertinenza della sig.ra (omissis) – A seguito dell’acquisizione di informazioni presso l’Amministratore di condominio e il Comune di R., l’attrice apprendeva che il suddetto intervento della convenuta era privo dell’autorizzazione dei condomini e non vi era alcun titolo abilitativo; – Ogni tentativo di far rimuovere il manufatto rimaneva privo di riscontro. Con memoria depositata il 15.10.2020 si costituiva in giudizio la convenuta la quale ha rilevato di non aver mai realizzato alcuna opera sul balcone di pertinenza essendosi limitata a montare solo un armadio in legno amovibile e ha eccepito, in ogni caso, che i pannelli divisori posti sui balconi non hanno le caratteristiche degli artt. 900-901-902 e 905 c.c. Inoltre, la convenuta, in via riconvenzionale, chiedeva che, in caso di qualificazione del pannello divisorio come luce ai sensi dell’art. 902 c.c., fosse ordinato all’attrice di adeguare lo stesso, ai sensi del secondo comma della citata disposizione, alle prescrizioni stabilite dai nn. 1-2-3 dell’art. 901 c.c. Concessi i termini ex art. 183 VI comma c.p.c., veniva disposta CTU tecnica per l’accertamento dello stato dei luoghi come dedotti dalle parti. Depositata la relazione, all’udienza dell’11.5.2022, celebrata mediante trattazione scritta, le parti precisavano le conclusioni come da note depositate nei termini. Con ordinanza del 12.5.2022 la causa veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.

In diritto

 

Venendo al merito, la presente controversia ad oggetto l’accertamento della sussistenza di turbative o molestie della convenuta rispetto al diritto di veduta dell’attrice con conseguente condanna della stessa alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi. In particolare, secondo parte attrice, l’opera realizzata dalla convenuta sul proprio balcone e in aderenza al divisorio Comune che divide le due proprietà sarebbe illecita, violando la servitù di luce, veduta e di panorama di cui gode l’unità immobiliare di proprietà dell’attrice (omissis) con conseguente diritto, ex art. 949 c.c. per far termine il pregiudizio subito. Orbene, dall’analisi della fattispecie in esame, in realtà, si ritiene che il diritto esercitato dall’odierna attrice possa essere diversamente qualificato rispetto alla invocata turbativa di servitù di veduta. Com’è noto, il diritto di veduta consiste nella facoltà del proprietario alle c.d. inspectio e prospectio nel fondo vicino, ovvero di guardare e sporgersi sulla proprietà altrui. Questo è riconosciuto dall’art.907 C.C. e si sostanzia nel divieto di “fabbricare” ad una distanza inferiore a tre metri dalla veduta. Il divieto riguarda sia le vedute dirette che quelle oblique o laterali. Ove la veduta venga esercitata da un balcone, poi, su ogni lato del medesimo si potranno esercitare sia una veduta diretta frontale che due vedute laterali (cfr. Cass. n. 8010/2018). Come insegnano dottrina e giurisprudenza, la veduta può essere esercitata sia in proiezione orizzontale che verticale (c.d. veduta in appiombo), dovendosi nel primo caso calcolare la distanza dal limite esterno del balcone (ringhiera o parapetto) e, nel secondo caso, dalla base del medesimo. La citata prescrizione tuttavia, ha quale presupposto che la parte che pretende il rispetto delle distanze abbia acquistato il diritto di veduta (Cfr. art.907 1° comma C.C.: “Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri [..]”) di cui assume la titolarità. Considerato che il rispetto delle distanze connota, limitandolo, il diritto di proprietà, il diritto di veduta può di norma ritenersi sussistente in uno con il diritto di proprietà del bene dal quale la veduta può esercitarsi Tuttavia, considerato che ai sensi degli artt. 905 e 906 c.c. non si possono aprire vedute dirette sul fondo vicino ad tuia distanza inferiore a 1,5 mi, né oblique o laterali a distanza inferiore a 75 era, ove si sia acquistato il diritto ad aprirle ad una distanza inferiore si ritiene che il diritto di veduta sia oggetto di una servitù Costituisce quindi servitù di veduta il diritto del proprietario del fondo dominante di guardare e affacciarsi sulla proprietà c.d. servente del vicino ad una distanza inferiore rispetto a quella stabilita dalla legge. Ciò posto, nel caso di specie non si ravvisano i presupposti per affermare resistenza di una servitù di veduta, ma piuttosto l’azione risulta volta a tutelare un diritto all’uso della cosa Comune in conformità alla regola della comunione. Onde meglio qualificare la fattispecie, infatti, occorre descrivere brevemente lo stato dei luoghi. Come risulta dalla relazione tecnica, le parti, dell’odierno giudizio sono proprietarie di due unità immobiliari contigue facenti parte del condominio (omissis) in R. località Aremogna: “Il “Condominio (omissis) (Foto n. 1) è un edificio di n. 12 piani in (omissis) (AQ), situato in Via (omissis), tra il centro abitato del Comune montano e la Località Aremogna a 1.400 mt di altitudine, piuttosto vicino agli impianti scioviari di risalita di Aremogna-Pizzalto-MontePratello. Il fabbricato, dal punto di vista architettonico, si presenta con una caratteristica forma ad “L” piuttosto “imponente ed impattante” nel suo insieme, un fuori scala evidente, con particolarità costruttive in cemento armato; è una struttura tipica degli anni ’80 come altre realizzate in queste zone e come concesso dal PRG all’epoca vigente (omissis). Il prospetto posteriore del Condominio, su Via (omissis), è caratterizzato quindi da una certa omogeneità soprattutto nella realizzazione delle ringhiere di tutti i balconi condominiali che sono rigorosamente uguali e ben allineati; le doghe delle ringhiere in legno sono tra di loro parallele della larghezza di 7 cm distanziate l’una dall’altra di circa 5 cm, ancorate a intelaiatura inferro; il legno delle doghe risulta compatto, consistente anche se non si presenta in buono stato conservativo in quanto risalente all’epoca della realizzazione dell’immobile” (cfr. pagg. 4-5 della relazione finale). Come ha sottolineato la consulenza tecnica, la facciata del fabbricato del condominio si presenta omogena e caratterizzata dalla realizzazione dei balconi tutti con le stesse caratteristiche e posti, simmetricamente, con ringhiere in doghe in legno dello stesso colore, con i medesimi divisori tra le proprietà istallati sui balconi e ancorati a una struttura in ferro (cfr. foto n. 2 CTU). Le due unità abitative oggetto di Causa sono poste al 6° Piano, direttamente a confine tra loro, ed entrambe hanno accesso ad un balcone posto sul lato posteriore dell’edificio realizzato con omogeneità rispetto agli altri e caratterizzato da ringhiere in legno parallele della larghezza di 7 cm distanziate l’una dall’altra di circa 5 cm, ancorate a intelaiatura in ferro. A dividere le due proprietà sul balcone, come per tutti gli altri appartamenti dell’edificio condominiale, vi è un divisorio realizzato in una parte di vetro in basso e da una parte composta da listelli di legno orizzontale posti a distanza l’uno dall’altro in modo da far passare la luce (cfr. foto nn. 9-13-17 CTU). Si ritiene, pertanto, che alla luce delle caratteristiche dell’edificio condominiale e della modalità in cui sono stati realizzati i balconi, i divisori in legno e vetro istallati sui balconi a dividere le proprietà condominiali contigue, sono da considerare parti comuni dell’edificio svolgendo in concreto una prevalente funzione estetica per l’edificio, diventando di fatto elementi decorativi ed ornamentali. Secondo l’orientamento consolidato della Corte di legittimità, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, nè essendo destinati all’uso o al servizio di esso, i rivestimenti dello stesso devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono in concreto una prevalente, e perciò essenziale, funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sez. 2, 21/01/2000, n. 637 del; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14576; Cass. Sez. 2, 30/04/2012, n. 6624; Cass. Sez. 2,14/12/2017, n. 30071). Inoltre, l’accertamento del giudice del merito che le ringhiere costituenti il parapetto del fronte dei balconi ed i divisori degli stessi, giacche “ben visibili all’esterno”, “disposti simmetricamente”, “omogenei per dimensioni, forma geometrica e materiale”, assolvano in misura preponderante alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio, costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord, (ud 09/ 01/2020) 08-06-2020, n. 10848). Ciò posto, è evidente che anche nella fattispecie in esame, dove la ricorrente lamenta l’avvenuta apposizione di un’opera sul divisorio Comune da parte del condomino in violazione del suo pari uso, andrà applicata la disciplina prevista dall’art. 1102 c.c. piuttosto che gli artt. 900 e ss. c.c. in materia di distanze di luci e vedute. In un caso analogo, in cui la Suprema Corte era chiamata a stabilire proprio la disciplina applicabile tra la disposizione dell’art. 907 c.c. e 1102 c.c., è stato affermato che in tema di condominio le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, a condizione, però, che siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni; propriamente, in ipotesi di contrasto, la norma speciale in materia di condominio prevale e determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, allorché i diritti o le facoltà da tal ultima disciplina previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall’art. 1102 c.c. (Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 30/01/2014) 03-03-2014, n. 4936). Tale pronuncia si pone nel solco di un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità per cui in tema di condominio, ove il giudice constati, con riguardo alla cosa Comune, il rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 c.c. e della struttura dell’edificio condominiale, deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza l’esatta osservanza delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue. Infatti, le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall’articolo 1102 c.c. Secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, “in tema di condominio negli edifici, qualora il proprietario di un’unità immobiliare agisca in giudizio, come nella specie, per ottenere l’ordine di rimozione di un manufatto realizzato sulle parti comuni, la liceità delle opere, realizzate da altro condomino, deve essere valutata dal giudice alla stregua di quanto prevede l’art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa Comune purché nonne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. La relativa valutazione spetta al giudice di merito (e risulta compiuta dalla sentenza impugnata), rimanendo insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. “(cfr. Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 11/02/2022) 22-02-2022, n. 5809). Invero, ai sensi dell’art. 1102 c.c. ciascun partecipante può servirsi della cosa Comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca ali altri partecipanti di fame parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. L’uso della cosa Comune da parte di ciascun condomino è sottoposto, secondo il disposto dell’art. 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa Comune e nell’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, legittima quest’ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi intendere la nozione di “uso paritetico” in termini di assoluta identità di utilizzazione della “res”, poiché una lettura in tal senso della norma “de qua”, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa Comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. I rapporti condominiali, invero, sono informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa Comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in ima materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. Sez. 2, 14/04/2015, n. 7466; Cass. Sez. 2, 30/05/2003, n. 8808; Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3368). E’ però evidente, in base alla costante interpretazione della Suprema Corte, che l’uso della cosa Comune, ex art. 1102 c.c., non possa mai estendersi all’occupazione pressoché integrale del bene, tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, all’usucapione della porzione attratta nella propria esclusiva disponibilità (così Cass. Sez. 2, 04/03/2015, n. 4372; Cass. Sez. 2,14/12/1994, n. 10699). E’ compito del giudice del merito, in presenza di ima condotta del condomino consistente nella stabile ed esclusiva occupazione del bene Comune (sia pur funzionale al miglior godimento della sua proprietà individuale) non solo valutare in fatto se ne sia alterata la destinazione, ma comunque se vi sia compatibilità con il pari diritto degli altri partecipanti E’ quindi imposta al giudice, ove sia denunciato il superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c., per l’occupazione della cosa Comune fatta da un condomino, un’indagine diretta all’accertamento della duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione, e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti (Cass. Sez. 6-2, 18/01/2011, n. 1062; Cass. Sez. 2, 14/06/2006, n. 13752). Ciò posto, alla luce di tali principi, può essere analizzata la fattispecie in esame. Dalla consulenza tecnica espletata si evince che: – La convenuta (omissis) ha istallato, sulla parte di balcone di sua proprietà e in aderenza al divisorio Comune che divide la sua proprietà da quella di parte attrice, un mobile/armadio in listelli di legno color miele con altezza pari a 202 cm e larghezza di 96,50 cm, con alla base una soletta anch’essa in legno, mentre in alto termina precisamente a livello dell’altezza dell’ultima doga del divisorio di confine/ lasciando così un’apertura di circa 90 cm, (tra soletta del balcone del 7° piano e l’ultima doga in alto del divisorio di confine tra le proprietà (omissis) – Il mobile è stato posto quindi in aderenza al divisorio di confine, occupando così tutta la sua estensione sia in larghezza che in altezza e risultando aduso e utilizzo esclusivo della convenuta (omissis) Il mobile rientra rigorosamente tra le doghe del parapetto del balcone e la tamponatura di facciata del fabbricato, senza lasciare alcuna fessura tra gli spazi laterali indicati, terminando in altezza a livello dell’ultimo elemento in ferro del divisorio (cfr. Come si evince foto nn. 10-11-13 CTU) – a causa della presenza del mobile/armadio addossato al divisorio di confine, la parete in muratura ove è situata la finestra della camera da letto risulta in “ombra” e con questo tipo di “ostacolo” va da se che non passa più né sufficiente luce attraverso il vetro e le doghe, né i raggi solari attraverso le fessure tra le doghe soprastanti, che in condizioni di bel tempo e giornate assolate, come rappresentato nella foto n. 13, favoriscono il riscaldamento anche delle pareti in ombra contribuendo, seppur in minima parte, a fornire maggior comfort abitativo all’interno. – senza il mobile/armadio, dalla camera da letto della proprietà (omissis) si potrebbe godere di una semi-veduta sia obliqua che laterale, quindi parziale ma non completamente oscurata. – La veduta dalla camera da letto di parte Attrice risulta compromessa dal retrostante pannello del mobile fino all’altezza delle doghe del divisorio di confine; la stessa può usufruire solo della veduta frontale e non più di quella laterale e obliqua (Foto 14-15-16). – Nell’ analisi dell’armadio si rilevano dei “fori” che presumibilmente sono stati effettuati al fine di poter ancorare il mobile alle doghe retrostanti, ma il CTU in sede di sopralluogo ha comunque rilevato che il mobile non era affatto ancorato, ma solo appoggiato alla parete del divisorio tra le proprietà. Tale circostanza, non rispetta i requisiti di sicurezza e ambiente in quanto risulta alquanto pericolosa in caso di bufere e forti venti, come si verifica all’altitudine ove è situato l’edificio condominiale, soprattutto nel periodo invernale, costituendo grave pericolo per l’incolumità delle persone/cose. Dalla consulenza tecnica espletata in ordine allo stato dei luoghi, è stato accertato, dunque, che la convenuta ha posto, in aderenza al divisorio Comune, un armadio di dimensioni notevoli che occupa in altezza e in larghezza l’intero divisorio del balcone in legno e vetro tale da ridurre notevolmente l’ingresso di luce in favore dell’abitazione dell’attrice (prima garantito dalla presenza di spazi tra le doghe in legno del divisorio e dal pannello in vetro) e di determinare un ostacolo alla visuale laterale e obliqua dalla camera da letto e dallo stesso balcone. E’ evidente, pertanto, che tale istallazione dell’armadio ha inciso certamente sull’utilizzo del divisorio Comune tra i due balconi in violazione dell’art. 1102 c.c. E’ pacifico, infatti, che “L’uso della cosa Comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto, configurando, pertanto, un abuso la condotta del condomino consistente nella stabile e pressoché integrale occupazione di un “volume tecnico” dell’edificio condominiale, mediante il collocamento di attrezzature ed impianti fissi funzionale al miglior godimento della sua proprietà individuale”. Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 12/05/2017) 23-06-2017, n. 15705. Del resto, la giurisprudenza ha comunque affermato la violazione dell’art. 1102 allorché le opere realizzate, comportino una riduzione dell’ingresso di luce ed aria alla proprietà inferiore (“le opere denunciate, in violazione dell’art. 1102 c.c., comportassero proprio una sensibile riduzione all’ingresso di luce ed aria nella proprietà inferiore G. conseguibile dalla facciata esterna Comune dell’edificio” cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10704 del 14/12/1994; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1132 del 11/02/1985). Ed ancora, sul punto, si rinviene, in tema di diritto del singolo condomino di servirsi della cosa Comune, anche per fine esclusivamente proprio (ma non a vantaggio di un immobile esterno: cfr., da ultimo, Cass. ord, 5 febbraio 2020, n. 5060), e, perciò, nel caso dei muri perimetrali – sia esterno che interno – dell’edificio condominiale, di apportarvi modificazioni (come aperture ulteriori o di dimensioni o forma non corrispondenti a quelle già esistenti) che gli garantiscano una qualunque utilità aggiuntiva rispetto a quelle godute dagli altri condòmini (a condizione – beninteso – che 1: non venga limitato il diritto di costoro all’uso del muro; 2: non ne venga alterata la normale destinazione; 3: tali modificazioni non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio), un chiaro arresto giurisprudenziale di legittimità (cfr. Cass., 3 gennaio 2014, n. 53; vedi anche Cass., 9 giugno 2010, n. 13874; Cass., 23 maggio 2007, n. 12047; Cass., 26 febbraio 2007, n. 4386; Cass., 27 ottobre 2003, n. 16097; Cass., 18 febbraio 1998, n. 1708) del seguente tenore: “ai sensi dell’articolo 1102 c.c., gli interventi sul muro Comune, come l’apertura di una finestra o di vedute, l’ingrandimento o lo spostamento di vedute preesistenti, la trasformazione di finestre in balconi, sono legittimi dato che tali opere, non incidono sulla destinazione del muro, bene Comune ai sensi dell’articolo 1117 c.c., e sono l’espressione del legittimo uso delle parti comuni. Tuttavia, nell’ esercizio di tale uso, vanno rispettati i limiti contenuti nella norma appena indicata consistenti nel non pregiudicare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio, nel non menomare o diminuire sensibilmente la fruizione di aria o di luce per i proprietari dei piani inferiori, nel non impedire l’esercizio concorrente di analoghi diritti degli altri condomini, nel non alterare la destinazione a cui il bene è preposto e nel rispettare i divieti di cui all’ articolo 1120 c. c. “(pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato, pregiudizio al decoro architettonico o rendere alcune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino). In merito a quest’ultimo punto, infatti, va evidenziato che nella stessa CTU è stato indicato che il mobile/armadio posto sul balcone di proprietà della convenuta risulta ben visibile anche dallo stesso cortile dell’edificio ponendosi in netto contrasto con la facciata omogenea dell’edificio condominiale e che lo stesso/ pur se presenta dei fori che fanno presumere che fosse ancorato al divisorio, attualmente non risulta essere fissato in alcun modo al balcone ed è soggetto, pertanto, agli eventi atmosferici piuttosto rigidi e frequenti dovuti all’altitudine in cui è ubicato l’immobile, con il rischio per la sicurezza di cose e di persone. Ne consegue, dunque, l’accoglimento della domanda dell’attrice di condanna della convenuta, alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi con eliminazione dell’armadio/mobile istallato sul balcone. Non vale ad escludere tale assunto la circostanza che il mobile istallato non sia ancorato al balcone e non sia quindi definibile come “opera”. Secondo la Suprema Corte, da un lato la normativa è certamente applicabile in presenza di costruzioni in senso stretto, ma la stessa sarebbe vincolante anche in presenza di opere che, pur non essendo letteralmente tali, comunque ostacolino stabilmente la vista del vicino (cfr. Cass. n. 10500/1994). Tale valutazione [circa le caratteristiche di stabilità e consistenza del manufatto e la loro idoneità ad ostacolare l’inspectio e la prospectio], poi, non sarebbe necessaria sempre, ma soltanto laddove l’opera eseguita non integri un fabbricato in senso tecnico e propri, ma un manufatto diverso (quale ad esempio una rete plastificata o una recinzione in telo), non costituente costruzione in senso tecnico pur nell’accezione molto ampia accolta dalla giurisprudenza; con riguardo a tali manufatti si sostiene che essi, ai fini della tutela del diritto di veduta, appaiono assimilabili al fabbricato soltanto a condizione che effettivamente ne ostacolino l’esercizio” (cfr. Cass. ord.7269/2014). Pertanto, sebbene una tenda non possa di per sé ritenersi tale (e su questo è la giurisprudenza è unanime), si è ritenuto che le sue dimensioni ed il suo ingombro spesso sono tali da impedire il passaggio della luce ed ostruire la vista, ragion per cui la disciplina in materia dovrebbe trovare applicazione anche in detto caso (cfr. Cfr. Cass. n.1598/93; in senso analogo cfr. Cass. n.22838/2005). La valutazione cui è chiamato il giudice di merito deve quindi riguardare “la struttura dell’edificio, lo stato dei luoghi e i diritti spettanti ai singoli condomini” nonché “l’idoneità dell’opera del vicino ad ostacolare l’esercizio, valorizzando, in tale prospettiva, la finalità della norma, che è indubbiamente quella di assicurare al titolare del diritto una quantità sufficiente di aria e di luce.” (Cfr. Cass n.22838/2005, Cass. n.682/1984). Infine, va integralmente rigettata la domanda riconvenzionale di parte convenuta non solo perché la stessa era subordinata alla qualificazione del pannello divisorio come ‘luce” ai sensi dell’art. 902 c.c., ma anche perché assolutamente generica non avendo parte convenuta specificato quali prescrizioni avrebbe violato il pannello rispetto all’art. 901 c.c. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo secondo i parametri di cui al DM 55/2014. Al pari le spese di CTU vengono poste integralmente a carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

– Accerta e dichiara l’illegittima istallazione del mobile/armadio effettuata da (omissis) sul balcone dell’unità immobiliare sita nel condominio (omissis) in R. Via (omissis) su parti comuni dell’edificio condominiale (divisorio balcone) in violazione dell’art. 1102 c.c. in quanto riduce l’uso e il godimento delle cose comuni alla condomina (omissis) proprietaria dell’unità immobiliare contigua (interno ..) del medesimo condominio;

– Per l’effetto, condanna (omissis) alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi (eliminazione mobile/armadio) istallato sul balcone di sua proprietà;

– Rigetta la domanda riconvenzionale svolta da (omissis) Condanna (omissis) al pagamento, in favore di (omissis) delle spese di lite che liquida in € 4.835 (scaglione sino a € 26.000, fase studio, introduttiva, istruttoria e decisionale-tariffe medie) per compensi, oltre iva c.p.a. e spese forfettarie come per legge ed € 264 per spese esenti.

– Condanna (omissis) al pagamento delle spese e dei compensi del CTU liquidati come da separato decreto e al rimborso di quelli eventualmente anticipati dall’attrice al consulente.


Sostieni laleggepertutti.it

Non dare per scontata la nostra esistenza. Se puoi accedere gratuitamente a queste informazioni è perché ci sono uomini, non macchine, che lavorano per te ogni giorno. Le recenti crisi hanno tuttavia affossato l’editoria online. Anche noi, con grossi sacrifici, portiamo avanti questo progetto per garantire a tutti un’informazione giuridica indipendente e trasparente. Ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di andare avanti e non chiudere come stanno facendo già numerosi siti. Se ci troverai domani online sarà anche merito tuo.Diventa sostenitore clicca qui

Lascia un commento

Usa il form per discutere sul tema (max 1000 caratteri). Per richiedere una consulenza vai all’apposito modulo.

 


NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA

Canale video Questa è La Legge

Segui il nostro direttore su Youtube