Orario di lavoro: quando è illegale superarlo?


Per il tribunale di Milano, costringere un dipendente a prestare maggiore attività senza i riposi previsti comporta l’obbligo di risarcimento.
C’è una sostanziale differenza tra l’essere disponibili e l’essere fessi. Vedersi costretti a superare ogni giorno l’orario di lavoro stabilito dalla legge e, per di più, non ottenere i giusti riposi, oltre ad avere dei riflessi negativi sulla salute, dà il diritto ad un risarcimento da parte del datore. Lo ha ricordato una sentenza del tribunale di Milano, richiamando la normativa sull’orario di lavoro. Quando è illegale superarlo?
Tale normativa la si trova sia nella Costituzione sia in un’apposita direttiva dell’Unione europea [1]. In entrambi i casi, il rispetto dell’orario di lavoro e dei riposi vengono posti come diritti irrinunciabili del lavoratore. Non mancano, però, le aziende che, con scuse più o meno plausibili, pretendono che i dipendenti guardino l’orologio solo per essere puntuali al momento di iniziare il lavoro ma non per vedere se è già ora di tornare a casa. Ecco quando è illegale superare l’orario.
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Il regime generale dell’orario di lavoro
Va detto che ogni contratto collettivo può stabilire delle regole sull’orario di lavoro attinenti al proprio settore produttivo di riferimento. C’è, comunque, una disciplina generale che considera quello che succede nella maggior parte delle aziende e che prevede:
- orario normale settimanale: 40 ore;
- orario massimo settimanale: 48 ore;
- orario giornaliero: a seconda della mansione e del settore;
- riposo giornaliero: 11 ore;
- riposo settimanale: 35 ore;
- pausa minima giornaliera: 10 minuti.
Sull’orario di lavoro settimanale, la legge stabilisce, dunque, un normale limite di 40 ore. Ma i Ccnl possono:
- stabilire una durata inferiore;
- riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno.
Le ore di lavoro settimanale possono essere ripartite su 5 o su 6 giorni sia dal contratto collettivo sia dal datore di lavoro previa comunicazione o trattativa.
Qual è il limite legale dell’orario di lavoro giornaliero?
La legge non stabilisce esplicitamente un limite giornaliero all’orario di lavoro. Lascia che siano la contrattazione collettiva e le esigenze dell’azienda a farlo. Volendo, però, lo fa in modo indiretto, poiché fissa in 11 ore il tempo minimo di riposo, il che significa che un dipendente può essere chiamato a lavorare per le restanti 13 ore con le relative pause.
Il datore può adottare un sistema orario:
- elastico, consentendo che il lavoratore cominci e finisca entro una determinata fascia al mattino e alla sera (ad esempio, iniziare tra le 8.30 e le 9 e concludere tra le 17.30 e le 18);
- rigido, perché le esigenze produttive e organizzative impongono che si debba iniziare a lavorare a una precisa ora.
L’orario settimanale multiperiodale
L’azienda può stabilire degli orari settimanali superiori e inferiori a quello normale, a condizione che la media oraria corrisponda alle 40 ore settimanali (o alla minore durata stabilita dai contratti collettivi), riferibile ad un periodo non superiore all’anno. È il cosiddetto orario multiperiodale.
Nelle settimane in cui l’orario normale viene superato, le ore lavorate in più non vengono considerate ore di straordinario ma vengono recuperate in periodi successivi dell’anno grazie ad una riduzione oraria.
I contratti nazionali di categoria possono fissare dei tetti massimi di orario annuo entro cui realizzare la flessibilità, la modalità di retribuzione (di norma, quella regolare sia quando si lavora di più sia quando si lavora di meno) e le procedure da seguire per attuare questo particolare tipo di orario di lavoro.
Quali sono i riposi giornalieri fissati dalla legge?
La legge prevede l’obbligo di rispettare dei momenti di riposo per consentire al lavoratore di riprendere le energie spese.
Se l’orario di lavoro giornaliero supera le sei ore, il dipendente ha diritto ad una pausa finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche, all’eventuale consumazione del pasto e all’attenuazione del lavoro ripetitivo e monotono. Durata e modalità sono in genere stabilite dai contratti collettivi. In caso contrario, il lavoratore ha diritto ad una pausa non inferiore a dieci minuti consecutivi. Il datore di lavoro, però, stabilisce il momento in cui è possibile «staccare», a seconda delle esigenze tecniche e produttive dell’azienda.
L’orario inferiore alle sei ore di lavoro o quello della neomamma che fruisce dei permessi giornalieri di allattamento non prevede la pausa.
Il lavoratore ha diritto, inoltre, a 11 ore di riposo consecutive ogni 24, calcolate dall’ora d’inizio della prestazione lavorativa. Il periodo di riposo minimo non può essere diminuito da accordi tra le parti. La consecutività del riposo può essere sostituita con più pause durante il giorno nel caso in cui l’attività lo richieda e previo accordo tra le parti.
Quali sono i riposi settimanali fissati dalla legge?
Nella cosiddetta settimana corta di cinque giorni (di solito da lunedì a venerdì), il sabato non deve essere considerato un giorno di riposo ma un giorno «non lavorativo». Il riposo settimanale, quindi, è quello della domenica.
Il diritto al riposo settimanale scatta:
- ogni sette giorni;
- per almeno 24 ore consecutive;
- cumulato con le ore di riposo giornaliero.
Ci sono delle situazioni in cui il datore di lavoro non è tenuto a concedere il riposo settimanale ogni 7 giorni: il tempo di riposo consecutivo è, infatti, calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Significa che il principio di periodicità del riposo è rispettato anche se in un arco temporale di 14 giorni vengono concessi due riposi. Per fare un esempio, un dipendente può lavorare da lunedì a domenica e stare a casa di riposo il lunedì e il martedì successivi.
La mancata concessione del riposo settimanale è illecita e non può essere validamente disciplinata né dal contratto né dalla legge.
Quando è illegale superare l’orario di lavoro?
L’abbiamo appena accennato: costringere un dipendente a superare l’orario di lavoro giornaliero o settimanale e non riconoscere il riposo che gli spetta per le ore spese in più è illegale. In tal caso, il lavoratore ha diritto al risarcimento.
Secondo una sentenza del tribunale di Milano [2], non conta il fatto che il dipendente abbia dato il suo consenso a lavorare più ore del dovuto oppure che l’attività extra sia compensata in busta paga con una maggiorazione alla retribuzione: i limiti massimi di durata – scrivono i giudici meneghini – hanno una natura indisponibile, cioè non possono essere messi in discussione. In caso contrario, il datore è tenuto al risarcimento.
La sentenza milanese richiama un pronunciamento della Cassazione [3] secondo il quale la mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale, in assenza di accordi collettivi che consentano di derogare alle norme di legge o del Ccnl, equivale ad un danno patrimoniale che va riconosciuto mediante una semplice presunzione.
In pratica, ricorda la Suprema Corte, va tenuta in considerazione la tutela dell’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento del datore. Una tutela prevista dalla Costituzione che espone direttamente il datore all’obbligo di risarcire il danno subito dal dipendente, anche quando è stata pagata una maggiorazione o quando il dipendente abbia dato il proprio consenso all’attività fuori orario.
note
[1] Direttiva europea n. 2003/88/CE.
[2] Trib. Milano sent. dell’08.08.2022.
[3] Cass. sent. n. 18884/2019.