Rinuncia al diritto di abitazione: quali conseguenze?


Quali sono i risvolti civili e le implicazioni fiscali per chi decide di rinunciare al diritto di abitazione in un immobile ricevuto in eredità o assegnato a seguito di separazione o divorzio.
Hai deciso di rinunciare al diritto di abitazione in una casa che avevi ereditato o in quella di proprietà del tuo ex coniuge separato o divorziato, che ti era stata assegnata dal giudice. Puoi liberamente farlo, perché si tratta di un diritto disponibile, ma per decidere bene è meglio che tu sappia a quali conseguenze vai incontro compiendo questa scelta.
Indice
Diritto di abitazione: cos’è?
Il diritto di abitazione è previsto dall’art. 1022 del Codice civile e consiste nella possibilità di abitare in una casa di proprietà altrui, limitatamente ai propri bisogni ed a quelli della propria famiglia. Il godimento dell’immobile, quindi, è limitato alle finalità meramente abitative, e non comprende gli usi ulteriori.
Perciò si tratta di qualcosa di meno rispetto all’usufrutto – che consente di usare l’immobile altrui, ed anche di trarne i frutti economici, ad esempio affittandolo – e qualcosa di meno rispetto al diritto dell’inquilino ad abitare nell’immobile preso in locazione (infatti il diritto di abitazione è un diritto reale, che come tale può essere esercitato nei confronti di tutti, e non solo nei confronti delle altre parti contraenti).
A chi spetta il diritto di abitazione?
Essendo un diritto reale immobiliare, il diritto di abitazione deve essere validamente costituito in forma scritta: dunque per atto pubblico notarile o mediante scrittura privata autenticata. In entrambi i casi l’atto di attribuzione, per essere opponibile ai terzi, deve essere trascritto nei pubblici registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2643 del Codice civile. C’è poi la possibilità di acquisire il diritto di abitazione senza atto scritto, mediante usucapione, con l’uso protratto del bene e continuato per almeno 20 anni.
Quindi la costituzione del diritto di abitazione può avvenire, a seconda dei casi, in tre diversi modi: per contratto, per usucapione o per successione ereditaria. Infatti la legge [1] prevede espressamente il diritto di abitazione, in favore del coniuge rimasto superstite dopo il decesso dell’altro, nella casa adibita a residenza familiare, compreso l’uso dei mobili che la arredano.
Infine, si può conseguire il diritto di abitazione nella ex casa familiare con il provvedimento del giudice che dichiara la separazione o il divorzio: questo accade quando il coniuge assegnatario rimane a vivere lì insieme ai figli minori che sono stati collocati presso di lui (o di lei, perché il caso più frequente riguarda la madre) in modo da consentirgli di permanere nella stessa casa in cui stavano crescendo prima del distacco tra i loro genitori.
Come si rinuncia al diritto di abitazione?
La perdita del diritto di abitazione può avvenire o con un atto formale di rinuncia espressa, con un’apposita dichiarazione ricevuta dal notaio, o con un comportamento materiale di abbandono dell’immobile: in tal caso il trasferimento di residenza equivale alla rinuncia al diritto di abitazione (anche l’ex coniuge assegnatario, se si trasferisce altrove, perde il diritto di abitazione nella casa familiare).
Inoltre, se il contratto di costituzione del diritto di abitazione prevedeva un termine, alla scadenza programmata ci sarà la decadenza automatica, senza bisogno di ulteriori provvedimenti. C’è poi l’ipotesi del raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica dei figli del coniuge assegnatario, che comporta la decadenza dal diritto di abitazione; a quel punto, il giudice dichiarerà cessate le esigenze che avevano determinato l’assegnazione e la casa tornerà nella piena disponibilità del proprietario.
Rinuncia al diritto di abitazione: tassazione
L’atto di rinuncia al diritto di abitazione è soggetto all’imposta sulle donazioni: dal punto di vista fiscale viene considerato alla stregua di un vero e proprio trasferimento immobiliare, che come tale subisce questa forma di tassazione ed è anche soggetto all’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale, rispettivamente dell’1 e del 2%, che vengono calcolate sul valore del diritto rinunciato e con riferimento alla data dell’atto: la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo questo metodo di calcolo [2].
L’Agenzia delle Entrate ha ribadito questa posizione in una recente risposta all’interpello di un contribuente [2] ed ha chiarito che la tassazione si applica anche al caso di rinuncia, a titolo gratuito, del diritto di abitazione da parte del coniuge superstite, che, come abbiamo detto, potrebbe continuare a vivere nell’ex casa familiare anche in deroga ai criteri di attribuzione dei beni agli eredi.
C’è da dire, infine, che in concreto l’imposta sulle donazioni prevista in caso di rinuncia al diritto di abitazione può risultare non applicabile, grazie alle esenzioni e franchigie previste tra i familiari stretti, che possono arrivare fino ad un milione di euro di valore dei beni, e con applicazione di un’aliquota agevolata sull’eccedenza. Al riguardo leggi “Imposta sulle donazioni: quando non si paga“.
note
[1] Art. 540 Cod. civ.
[2] Art. 1 D.Lgs. n. 346/1990, che menziona tra gli atti soggetti all’imposta sulle donazioni anche quelli che hanno ad oggetto «la costituzione di diritti reali di godimento e la rinunzia a diritti reali o di credito»; Cass. ord. n. 2252/2019.
[3] Agenzia Entrate, risp. n. 525/2022.