Cosa succede se si superano i 180 giorni di malattia?


Quando l’assenza dal lavoro si protrae per più di 6 mesi si rischia davvero il licenziamento o c’è il modo per evitarlo? Tutto dipende dal superamento del periodo di comporto.
Sei assente dal lavoro da diversi mesi e il tuo stato di salute non migliora. La convalescenza si sta protraendo e il medico ti ha detto che non riuscirai a rientrare in attività in tempi brevi. Così ti domandi seriamente: cosa succede se si superano i 180 giorni di malattia? C’è davvero il rischio di licenziamento, come molti dicono, oppure ci sono delle eccezioni ed è possibile evitarlo?
Sicuramente sai che durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia hai diritto alla conservazione del posto, così come alla percezione della retribuzione (in forma di indennità di malattia erogata dall’Inps), alla maturazione dell’anzianità e all’accantonamento delle quote di Tfr. Ma questa situazione non dura a tempo indefinito: oltre la scadenza del periodo di comporto le cose cambiano. Iniziamo da qui ed esaminiamo questo limite; poi vedremo se e come è possibile superarlo.
Indice
Indennità di malattia: quanto dura?
Devi sapere subito che 6 mesi, o 180 giorni che dir si voglia, sono il limite oltre il quale l’Inps non corrisponde più al lavoratore l’indennità di malattia, quella che sostituisce la retribuzione. Per la precisione, il limite opera con riferimento all’anno solare, perciò se un lavoratore si ammala e resta assente dal lavoro per malattia a cavallo di due anni successivi – ad esempio, gli ultimi 4 mesi del 2022 ed i primi 5 mesi del 2023 – avrà diritto a percepire l’indennità di malattia per l’intero periodo.
Periodo di comporto: cos’è?
Il periodo di comporto è il numero massimo di assenze per malattia che un lavoratore può fare in un determinato arco di tempo. Esistono due fondamentali tipi di comporto:
- il comporto secco, in cui il periodo massimo di assenze si calcola per ciascun episodio di malattia, di durata ininterrotta: qui tutte le giornate di assenza sono consecutive;
- il comporto per sommatoria, che conteggia il totale delle varie assenze dovute a singole malattie (anche quelle di durata brevi), avvenute in un determinato arco temporale.
La durata del comporto non coincide affatto con il termine limite di 6 mesi per ciascun anno solare che è previsto per l’indennità Inps di malattia, ed è, generalmente, molto più estesa, in base alle previsioni contenute nei contratti collettivi di riferimento: in alcuni casi di qualifiche particolarmente elevate e di notevole anzianità di servizio può arrivare anche fino a 3 anni.
Comporto: quanto dura?
La durata massima del periodo di comporto è stabilita dalla legge soltanto per gli impiegati: il limite è di 3 mesi per coloro che hanno un’anzianità di servizio minore di 10 anni e di 6 mesi per chi ha un’anzianità superiore. Per tutte le altre categorie la durata del comporto è individuata dai contratti collettivi nazionali di lavoro, che prevedono anche se il computo debba avvenire in maniera secca o per sommatoria: è questo il metodo più frequentemente utilizzato, che di solito considera le assenze per malattia compiute nell’arco di un biennio o di un triennio.
Considera che il comporto per sommatoria serve a prevenire il fenomeno dell’assenteismo, in quanto il dipendente che si pone frequentemente in malattia sa che tutte le sue giornate di assenza verranno considerate nel calcolo finale, e dunque è bene non eccedere.
Superamento comporto: c’è licenziamento?
In linea generale, se il periodo massimo di comporto viene superato, il datore di lavoro non è più soggetto all’obbligo di conservare il posto al dipendente ammalato e pertanto può licenziare chi è stato assente per malattia in maniera protratta oltre i limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento: è questa la principale conseguenza della scadenza del periodo di comporto.
La lettera di licenziamento, per essere valida, dovrà comunque riportare dettagliatamente tutti i periodi di malattia considerati ai fini del superamento del comporto, per consentire di verificare la legittimità del calcolo operato. Il licenziamento intimato prima che il periodo di comporto sia interamente decorso è nullo per contrarietà a norme imperative di legge: lo hanno affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione [1].
La giurisprudenza ha precisato che è nullo anche il licenziamento adottato ai sensi del “Jobs Act” (quindi nei confronti dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015) prima della fine del comporto: perciò il dipendente ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro. Neanche la malattia per Covid rientra nel comporto: la legge emanata all’inizio della pandemia, infatti, ha espressamente escluso dal computo i periodi di quarantena e di isolamento dovuti all’infezione di Covid-19.
Troppe assenze per malattia: si può evitare il licenziamento?
Per evitare che il periodo di comporto si compia interamente, il lavoratore può interrompere il suo decorso chiedendo la concessione delle ferie già maturate. L’istanza va presentata per iscritto e prima della scadenza del periodo di comporto.
Ma il metodo più utilizzato per evitare il licenziamento dovuto alle troppe assenze per malattia, e dunque al superamento del limite massimo di comporto, è la possibilità per il lavoratore di fruire di un ulteriore periodo di assenza: stavolta non per malattia, bensì a titolo di aspettativa non retribuita. Molti contratti di lavoro prevedono espressamente questa facoltà: per maggiori ragguagli leggi l’articolo “Come non farsi licenziare per superamento del comporto“.
Approfondimenti
Pe r conoscere la più recente giurisprudenza in materia, leggi “Licenziamento per superamento del periodo di comporto: ultime sentenze“.
note
[1] Cass. S.U. sent. n. 12568 del 22.05.2018.