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Videosorveglianza di nascosto in città: è legale?

18 Novembre 2022 | Autore:
Videosorveglianza di nascosto in città: è legale?

Riconoscimento facciale con dati biometrici e occhiali ad infrarossi: cosa e come si può utiizzare secondo il Garante della privacy?

Certi sistemi di controllo, una volta, erano considerati impensabili. Roba da film di fantascienza o di spionaggio. Ci facevano vedere l’agente segreto che parlava tramite l’orologio o che aveva una piccola telecamera integrata nella montatura degli occhiali. Quando si era bambini e si vedevano degli episodi del genere in tv, si sognava di poter avere a disposizione questi dispositivi che allora sembravano impossibili ma che ci avrebbero resi potenti e invincibili. Aggeggi del genere esistono attualmente, come sappiamo. Sempre più sofisticati ma anche sempre più indiscreti, in grado di controllare chi non si accorge di essere visto, fotografato, ripreso. Nulla vieta di utilizzarli ma dipende a quale scopo: quando si viola la privacy altrui, scatta il divieto. Che ad usarli sia un semplice cittadino o un pubblico ufficiale la soglia di attenzione deve essere particolarmente elevata specialmente nel secondo caso. Qualcuno potrebbe sollevare il problema: la videosorveglianza di nascosto in città è legale?

Ad esempio, un agente di Polizia locale potrebbe andare in giro con dei dispositivi sofisticati in grado di controllare chi va e chi viene e di fare riconoscimenti facciali senza un efficace piano sul trattamento dei dati? Non sempre il fine giustifica i mezzi, secondo il Garante della privacy. Il quale, chissà perché, ha sentito recentemente il bisogno di intervenire sull’argomento.

L’Autorità deve aver fatto un salto sulla sedia quando è venuta a sapere che in un paio di Comuni, a Lecce e ad Arezzo, sono stati messi a punto un paio di sistemi di videosorveglianza alquanto sofisticati. Uno prevede l’uso di una particolare tecnologia per il riconoscimento facciale nei dispositivi di videosorveglianza. L’altro, l’utilizzo di particolarissimi occhiali ad infrarossi capaci di rilevare le violazioni al Codice della strada e il numero di targa del veicolo a bordo del quale è stata commessa l’infrazione. Ma tali tecnologie garantiscono anche il collegamento con le banche dati nazionali per riuscire ad accertare la regolarità dei documenti di guida. Roba da ispettore Gadget, per chi ricorda i cartoni degli anni ’80.

La sicurezza pubblica giustifica l’uso di questi dispositivi all’insaputa dei cittadini? Si è posto la stessa domanda il Garante della privacy che, nell’aprire due istruttorie in merito, ha ricordato non solo alle autorità di Lecce e di Arezzo ma a chiunque pensasse di adottare questi sistemi di videosorveglianza alcune cose che riguardano il diritto alla riservatezza.

Intanto, premette il Garante, il trattamento dei dati personali realizzato da soggetti pubblici mediante dispositivi video «è generalmente ammesso se necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri». E fin qui, sembrerebbe tutto a posto.

Arrivano, però, i paletti. Secondo l’Autorità, i Comuni possono utilizzare impianti di videosorveglianza «solo a condizione che venga stipulato il cosiddetto patto per la sicurezza urbana tra Sindaco e Prefettura». Si tratta di un accordo per l’uso di sistemi di controllo normalmente finalizzato in modo specifico alle azioni di prevenzione e di contrasto dei fenomeni di criminalità.

Tuttavia – avverte il Garante –, in attesa che venga approvata ed entri in vigore una legge specifica in materia e, comunque, fino al 31 dicembre 2023, «in Italia non sono consentiti l’installazione e l’uso di sistemi di riconoscimento facciale tramite dati biometrici, a meno che il trattamento non sia effettuato per indagini della magistratura o prevenzione e repressione dei reati. La moratoria nasce dall’esigenza di disciplinare requisiti di ammissibilità, condizioni e garanzie relative al riconoscimento facciale, nel rispetto del principio di proporzionalità».

È, dunque, vietato utilizzare sistemi di riconoscimento facciale attraverso dati biometrici se non sono stati autorizzati da un giudice o se non servono per prevenire o reprimere un determinato reato.

In ogni caso, il Comune che intende utilizzare degli strumenti di controllo particolarmente sofisticati deve fornire all’Autorità per il trattamento dei dati personali:

  • una descrizione dei sistemi adottati;
  • le finalità e le basi giuridiche dei trattamenti dei dati;
  • un elenco delle banche dati consultate dai dispositivi;
  • la valutazione d’impatto sul trattamento dati, che il titolare è sempre tenuto ad effettuare nel caso di sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico.


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