Limiti di importo per il fermo auto: quando si rischia e chi può subirlo.
Quando non si pagano le cartelle esattoriali, tra le varie misure che l’Agente per la riscossione può adottare vi è il fermo amministrativo, anche noto come «fermo auto» o «ganasce fiscali». Tale misura, strumentale a preservare il bene da eventuali danneggiamenti in vista di un eventuale pignoramento, è di solito di per sé sufficiente a spingere il contribuente a sanare la morosità. Sicché, non avviene quasi mai che, dopo il fermo, scatti anche la messa all’asta del veicolo (per quanto teoricamente possibile).
Ci si chiede spesso se la legge preveda un debito minimo per il fermo amministrativo, un importo cioè al di sotto del quale tale misura non possa essere adottata. Il dubbio sorge perché sono previsti specifici limiti per quanto invece riguarda l’ipoteca (il debito deve essere superiore a 20.000 euro) e il pignoramento immobiliare (120.000 euro).
Potrebbe l’Esattore iscrivere un fermo per un debito di modesto importo, ad esempio per 100 euro? A riguardo, la legge non dice nulla.
In questo vuoto normativo si è inserita, diversi anni fa, una direttiva dell’ex Agente per la Riscossione, Equitalia Spa. Tale documento stabiliva che:
- per debiti inferiori a 2.000 euro, il fermo poteva essere iscritto su una sola auto del debitore;
- per debiti di valore compreso tra 2.000 e 10.000 euro, su un massimo di 10 veicoli;
- infine, per debiti di valore superiore a 10.000 euro, su tutti i veicoli del debitore.
Tale disciplina non costituiva però fonte del diritto essendo un atto interno alla società sicché la sua eventuale violazione non poteva essere contestata dinanzi al giudice. Peraltro, c’è da aggiungere che Equitalia Spa oggi ha lasciato il posto ad Agenzia Entrate Riscossione (in attesa che quest’ultima venga assorbita dall’Agenzia delle Entrate). La diversità tra i due soggetti fa sì che la predetta disciplina possa ormai ritenersi superata.
Detto ciò, non resta che vedere se la giurisprudenza ha inteso colmare tale lacuna prevedendo delle soglie minime di debito per l’iscrizione del fermo auto.
Ebbene, anche se in passato alcune sentenze hanno disposto l’annullamento del fermo per via della sproporzione tra il valore del veicolo e il debito vantato dall’Esattore, oggi la Cassazione [1] ha offerto un’interpretazione diametralmente opposta. Secondo la Suprema Corte, il fermo amministrativo può essere disposto indipendentemente dall’ammontare del credito iscritto a ruolo e non pagato, trattandosi di misura afflittiva volta a indurre al pagamento il debitore. Questo significa che le ganasce fiscali possono scattare anche in presenza di importi modesti.
Rifacendosi a un’ordinanza del 2015 delle Sezioni Unite [2], la Cassazione ha detto che l’Esattore può procedere a espropriazione forzata oppure a fermo amministrativo, indipendentemente dall’ammontare del credito iscritto a ruolo.
Peraltro, come non esiste un limite quantitativo al debito che può generare il fermo, non esistono neanche limiti relativi al tipo di imposta o di sanzione. Il fermo infatti può derivare dall’omesso pagamento di una imposta erariale (Irpef, Iva, ecc.), un’imposta locale (Imu, Tari, bollo auto), di una sanzione amministrativa (multe stradali, ecc.).
Tuttavia, affinché possa scattare il fermo auto è necessario che:
- il contribuente abbia ricevuto la notifica della cartella esattoriale: il fermo non può mai essere iscritto prima dell’invio della cartella. Non potrebbe, ad esempio, disporre il fermo la Regione per l’omesso versamento del bollo auto; questa dovrebbe prima iscrivere il debito a ruolo, poi delegare l’esattore per la riscossione e quest’ultimo dovrebbe infine notificare la cartella di pagamento;
- 30 giorni prima del fermo, deve essere inviato un preavviso: tale atto serve a mettere il contribuente nella condizione di pagare o chiedere la rateazione, evitando così che venga adottata tale misura nei suoi riguardi. Senza il preavviso, il fermo è illegittimo.
note
[1] Cass. ord. n. 32506/2022 del 4.11.2022.
[2] Cass. S.U. ord. n. 15354/2015.
(…) Fondata è, invece, la seconda censura, con la quale parte ricorrente si duole dell’erronea interpretazione dell’art. 86, dpr n. 602 del 1973, avendo il giudice di appello ritenuto esistente una “soglia di debito” al di sotto della quale il fermo è illegittimo. Si legge nella impugnata sentenza che “dall’analisi delle cartelle relative a tributi erariali si evince che il credito cautelando è costituito da imposte locali (Ici), tassa di smaltimento rifiuti (Tarsu), crediti che in gran parte sono peraltro prescritti” e ancora che “il credito residuo ammonta (…) a somme di estrema modestia tali da non giustificare il provvedimento di fermo amministrativo, inutilmente afflittivo”.
L’art. 86, dpr n. 602 del 1973, nel testo ratione temporis vigente, recita: 1. Decorso inutilmente il termine di cui all’articolo 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza. 2. Il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. 3. Chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo è soggetto alla sanzione prevista dall’articolo 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. 4. Con decreto del ministro delle finanze, di concerto con i ministri dell’interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalità, i termini e le procedure per l’attuazione di quanto previsto nel presente articolo. Ne discende che l’Amministrazione finanziaria può, alternativamente, procedere a espropriazione forzata ovvero a fermo amministrativo, indipendentemente dall’ammontare del credito iscritto a ruolo, trattandosi di misura, quest’ultima, puramente afflittiva volta a indurre il debitore all’adempimento (Cass. Sez. U., n. 15354/2015). La sentenza impugnata va, conseguentemente, cassata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Puglia, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. La violazione di legge commessa dal giudice d’appello è palese e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Puglia (…).