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Cronaca | Editoriale

Dire che l’omosessualità è un abominio è reato?

29 Novembre 2022 | Autore:
Dire che l’omosessualità è un abominio è reato?

Libertà di pensiero o libera discriminazione? No, citare la Bibbia per dire che gli omosessuali sono un abominio non rientra nelle facoltà di un senatore.

Italia, novembre 2022. A un anno di distanza dalla bocciatura del DDL Zan, il senatore di lunga data (oggi capogruppo di Fdi) Lucio Malan, afferma con piena consapevolezza e con quel tanto di spocchia di chi crede di avere l’autorizzazione di poter affermare qualunque fesseria credendo di passare inosservato, di essere contrario ai matrimoni gay. E fino a qui, discutibile opinione a parte, non c’è nulla di strano: si tratta delle scontate parole di un fiero esponente di Fratelli d’Italia. Il problema sorge quando il senatore afferma che «nella Bibbia c’è scritto di peggio e anche in modo più esplicito: l’omosessualità è un abominio» (versetto biblico 18:22).

Come direbbe qualcuno, «First reaction shock». Del resto, se dobbiamo citare la Bibbia alla lettera, senza alcuna spiegazione e giusto per portare acqua al proprio mulino, una donna non vergine la notte del suo matrimonio andrebbe messa a morte (Deuteronomio 22:13-22 [6]); così come ogni bambino che mostra odio nei confronti dei genitori (Marco, 7:10) e chiunque lavori il sabato (Esodo 35:2), mentre chi mangia carne al sangue o con grasso dovrebbe automaticamente essere decapitato (Sam I – 14, 33 Lev  19, 26 + 7, 25).

Insomma, forse qualcuno avrebbe dovuto spiegare a Malan che citare alla lettera un libro scritto nel VI secolo a.C. per spiegare le ragioni per cui è contro alle nozze gay sarebbe stato piuttosto controproducente.

Ma la vera domanda sorta spontanea nella mente di molti è stata: un Senatore della Repubblica italiana, appena rieletto da una parte del popolo votante, che in ogni caso rappresenta l’intera Nazione (e pertanto, che gli piaccia o meno, anche quegli omosessuali che tanto disprezza), può affermare con simile cinismo e sufficienza una frase tanto violenta e discriminatoria? A rigor di logica, considerata l’intoccabile libertà di pensiero che in questi casi viene sbandierata come il vessillo di una democrazia che quando fa comodo viene celebrata, altre volte calpestata, verrebbe da dire che il senatore Malan potrebbe esprimere qualsiasi forma di intollerabile pensiero che ci riporti direttamente nell’era delle Crociate.

Se si approfondisce un po’ di più la questione però, e si solleva il velo di Maya che nasconde le reali intenzioni di chi si nasconde sempre dietro alla inviolabile libertà di dire quello che si vuole perché «tanto si può», si scoprirebbe che frasi simili – peraltro tranquillamente annunciate da chi rappresenta un’Istituzione come il Senato – vanno ben oltre alla critica politica di un certo partito. Criticare una o più persone definendole un abominio biblico esclusivamente in virtù del loro orientamento sessuale rischia di essere un comportamento diffamatorio (peraltro discriminatorio).

E la giurisprudenza che dice in merito? In una recente sentenza [1], la Corte di Cassazione ha chiarito che l’estensione del diritto di cronaca politica può tollerare la polemica e lo scetticismo su temi di rilevanza sociale (come possono essere le posizioni di contrasto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso). Ciò che non è concesso sono attacchi personali nei quali viene aggredita la sfera morale altrui (come avviene quando si definiscono abominevoli gli omosessuali), e tramite i quali vengono diffuse notizie non corrette.

Nel caso concreto esaminato dalla Suprema Corte, l’imputato aveva diffuso informazioni false relative all’attività di informazione e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili effettuata da un’associazione attiva contro le discriminazioni sessuali. La Corte di Cassazione era stata chiamata a stabilire se, con le sue dichiarazioni diffamatorie, l’imputato esulava dalla sfera protetta dal diritto di cronaca e di pensiero, oppure se i fatti potevano essere ricondotti alla sua libertà di espressione. Ai giudici spettava l’importante decisione di capire da che parte stesse effettivamente il diritto. Quel diritto che, è doveroso ricordare, finisce quando inizia quello altrui, parafrasando Martin Luther King.

La Cassazione nella sua analisi parte proprio dalla necessità di bilanciare i beni in conflitto. Come ricordato dai giudici, rilevante è la capacità dell’informazione diffusa a contribuire alla formazione della pubblica opinione. In sostanza serve capire quanto, l’opinione espressa, influenza i destinatari dell’informazione. È facile immaginare che, nel caso di un senatore, la risposta sia «tanto».

In ogni caso, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (anche quando si tratta di critica politica) deve essere controbilanciato con i precetti costituzionali fondamentali che garantiscono che quel pensiero non leda l’integrità morale di qualcun altro. E l’errore sulla veridicità o correttezza dei fatti affermati (come può essere il professarsi poeta e affermare che gli omosessuali sono un abominio solo perché la Bibbia afferma ciò, senza che sia stata fatta alcuna interpretazione o contestualizzazione del versetto biblico 18:22 «Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole» citato) non esclude il dolo.

Per la fattispecie della diffamazione, è sufficiente la consapevolezza di formulare giudizi oggettivamente lesivi della reputazione della persona offesa. Il reato, però, richiede anche l’attribuzione della condotta offensiva a una o più persone determinate o determinabili: un elemento difficilmente riscontrabile in questo specifico contesto, non essendosi Malan rivolto a qualcuno di specifico ma alla generalità degli «omosessuali».

La doverosa distinzione da fare, poi, è tra le dichiarazioni relative a fatti (es. «quando venne scritta la Bibbia l’omosessualità era considerata un abominio») e quelle che contengono un giudizio di valore (es. «a sostegno della mia tesi c’è anche la Bibbia, che reputa l’omosessualità un abominio»). In queste ultime, la critica è concessa se viene contenuto un nucleo fattuale veritiero e sufficiente per permettere di trarre un giudizio proprio. In tal senso, il diritto di critica (anche politica) è concesso, correlato al diritto alla libera espressione del pensiero, che non può in alcun caso portare all’istigazione all’odio.

Nel caso in cui la libertà di espressione si traducesse in istigazione alla discriminazione a danno di uno specifico gruppo, come nel caso esaminato dalla Corte, è corretto limitarla. Per questo i giudici hanno deciso di annullare la sentenza con cui in secondo grado era stata sostenuta l’innocenza dell’imputato, rinviando alla Corte d’appello il caso per un nuovo esame.

Nessuno, neppure un Senatore che esprime l’idea di un intero partito, può nascondersi dietro alla libertà d’espressione quando, senza alcun limite o vergogna, lede un’intera comunità con parole diffamatorie, anche se questo non costituisce formalmente un reato.


note

 [1] Corte Cass. sent. n.25759/2022

Autore immagine: pixabay.com


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