Cass. civ., sez. lav, ord., 13 luglio 2022, n. 22115
Presidente Tria – Relatore Leone
Fatti di causa
La Corte di appello di Bologna con la sentenza n. 469/2019 aveva rigettato il reclamo proposto da C.L. avverso la decisione con cui il tribunale di Ferrara aveva dichiarato legittimo il licenziamento a lui intimato in data (omissis) da (omissis) spa (già (omissis) srl), a causa dell’incidente occorso in data (omissis); in tale occasione l’autovettura di servizio guidata dal C., su cui era posizionata la gru retrocabina, andava a sbattere, a causa del mal posizionamento di quest’ultima, contro la trave del ponte situato sulla strada provinciale percorsa. La società datrice di lavoro valutava la grave inadempienza del dipendente, causativa dell’incidente, oltre che la mancata compilazione del disco orario obbligatorio e del cronotachigrafo, attestativo della velocità del mezzo, e quindi recedeva dal rapporto di lavoro senza preavviso. Per quel che in questa sede rileva, la corte territoriale riteneva legittimo il licenziamento, attesa la gravità della condotta fortemente lesiva del vincolo fiduciario, anche valutando proporzionata la sanzione espulsiva. Il C. impugnava la decisione con unico motivo di doglianza cui resisteva con controricorso la società.
Ragioni della decisione
1) Con unico motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2016 e 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., con riferimento alla proporzionalità del licenziamento. Parte ricorrente ha evidenziato come la Corte territoriale non abbia considerato in alcun modo l’eccezione sollevata con riguardo al diverso trattamento riservato ad altri dipendenti per inadempienze similari a quelle del ricorrente. In particolare il ricorrente richiama quei principi della Cassazione in virtù dei quali “seppur ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento sia irrilevante che un’analoga inadempienza commessa l’altro dipendente sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro, qualora risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore sia tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, tuttavia l’identità delle situazioni può privare il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa” (Cass. n. 14251 del 2015; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 10550 del 2013). Il motivo così formulato sollecita una più attenta lettura dell’intero testo delle pronunce richiamate. Deve infatti essere posto in evidenza come nelle stesse sia anche chiarito che ..”E’ condivisibile l’affermazione che non si possa porre a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe (cft. Cass. n. 5546 del 2010) e tuttavia ove nel corso del giudizio non emergano quelle differenze che giustificano il diverso trattamento dei lavoratori correttamente può essere valorizzata dal giudice l’esistenza di soluzioni differenti per casi uguali al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata” Il principio posto, letto nella sua interezza, evidenzia come la eventuale disparità di trattamento debba emergere nel corso del giudizio attraverso elementi a tal riguardo significativi e tali da non richiedere, nella esplicitazione delle ragioni del licenziamento, una contestuale ricognizione da parte del datore di lavoro diretta a giustificare la diversità di trattamenti adottati. La possibile valorizzazione da parte del giudice di situazioni similari, al fine di una valutazione di irragionevole disparità, non può che trovare presupposto in allegazioni presenti nella causa, tali da consentire una indagine di fatto ed una possibile comparazione. Il profilo allegatorio e probatorio assume quindi valore essenziale al fine di consentire al giudice del merito il concreto apprezzamento di similarità di situazioni trattate, irragionevolmente, in maniera differente. Venendo all’attuale motivo di censura e tenendo presenti i principi posti, se ne deve rilevare la genericità e carenza di specificazione; esso è sguarnito di quelle necessarie indicazioni che avrebbero dovuto essere allegate già nel giudizio di merito (con l’indicazione del dove, ove, e quando erano entrate nel processo). La loro eventuale omessa valutazione, peraltro, avrebbe dovuto essere oggetto di un profilo di vizio differente rispetto a quello attualmente azionato (violazione di legge), non coerente rispetto al contenuto della doglianza e soprattutto privo dei necessari elementi di valutazione (sulla decisività del fatto storico omesso Cass. n. 18368 del 2013; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 2268 del 2022; Cass. n. 22397 del 2019). Il ricorso è pertanto inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma -quater, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma -quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Cassazione civile sez. lav., 22/02/1995, n.2018
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 11 dicembre 1992-16 gennaio 1993, il Tribunale di Cosenza – Sezione del Lavoro, rigettava l’appello proposto da MORANO Giovanni nei confronti della CASSA DI RISPARMIO DI CALABRIA E DI LUCANIA, dalla quale il 27 gennaio 1989 era stato destituito per motivi disciplinari, avverso la sentenza resa inter partes il 5 marzo 1991 dal Pretore-giudice del lavoro di quel mandamento che aveva respinto la domanda del Morano diretta a far richiamare l’illegittimità del provvedimento disciplinare e ad essere reintegrato nel posto di lavoro.
Ricorre per cassazione il Morano con tre motivi.
Resiste con controricorso la CARICAL s.p.a., succeduta alla Cassa di risparmio di Calabria e di Lucania.
Diritto
Motivi della decisione
Col primo mezzo di annullamento, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 con riferimento all’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. ed all’art. 89 del regolamento dei servizi della CARICAL e sostiene che detta norma regolamentare impone all’ufficio controllo della CARICAL una stretta, continua e giornaliera sorveglianza di tutte le posizioni di rischio con obbligo di informare l’ufficio ispettorato in caso di inadempienze; lo stesso doveva altresì informare il reparto vigilanza ed analisi del settore fidi. Non si giustifica dunque il giudizio di tempestività formulato dal Tribunale in ordine alle contestazioni formulate nei confronti del dipendente solo nel 1988, relativamente ad attività di preposto alle agenzie di Corigliano Calabro e di Corigliano Scalo, cessata nel 1986, dopo che si erano succedute varie ispezioni a seguito delle quali non erano mancati rilievi in ordine ad arbitrarie iniziative nell’erogazione del credito e nella conseguente assunzione di rischi.
La decisione del Tribunale sarebbe in contrasto con documenti di data certa, e comunque sarebbe omissiva o comunque errata nella valutazione di circostanze rilevanti.
Non avrebbe potuto la CARICAL contestare al Morano le risultanze della sentenza dichiarativa del suo fallimento, al fine, in particolare, di gettare nuova luce su quanto già accertato nelle ispezioni interne, in quanto la declaratoria di fallimento era stata revocata e, dunque, le risultanze delle ispezioni non potevano costituire fondamento di contestazioni rispetto ad esse assolutamente tardive da parte della Banca.
Inoltre, la CARICAL non aveva dato prova puntuale circa l’epoca della propria conoscenza, dei fatti contestati e, a tale carenza, non avrebbe potuto certo supplire disponendo una ispezione pretestuosamente volta ad ancorare detta conoscenza ai risultati di essa.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha ritenuto tempestive, ai fini dell’art. 7, comma secondo della legge 20 maggio 1970, n. 300, le contestazioni degli addebiti da parte della Cassa di risparmio dell’agosto-ottobre 1988, pur in presenza di irregolarità accertate, in primo luogo, in ispezione del novembre-dicembre 1986 (ispettori De Simone ed altri), preceduta da altra visita ispettiva e da successiva visita settoriale del 1986 (nelle quali già erano state rilevate anomalie), presso l’agenzia di Corigliano Calabro, alla quale il Morano era stato preposto dal giugno 1978 al luglio 1984; in secondo luogo, presso l’Agenzia di Corigliano Calabro Scalo (alla quale il Morano era stato preposto da luglio 1984 al settembre 1986) nel marzo 1986 (visita ispettiva dell’ispettore De Simone ed altri) e in visita settoriale del luglio 1986.
Erano seguite diffide e richiami nei confronti del Morano (lettere 19 marzo e 18 giugno 1986). Altri accertamenti si erano succeduti nel gennaio 1987, (visita ispettiva Molinari).
Le contestazioni dell’agosto e dell’ottobre 1988, ad avviso del Tribunale erano tempestive in quanto esse avrebbero dovuto porsi in relazione ad una accurata ispezione conclusasi nel giugno-luglio 1988 con una relazione di “18 verbali per complessive 191 pagine zeppe di rilievi” diversi da quelli frutto di precedenti ispezioni. La relazione del luglio 1988 fu anche conseguente agli analitici accertamenti del marzo precedente ad opera della Guardia di Finanza – richiesti dall’autorità giudiziaria nell’ambito di procedura fallimentare – i quali indussero la CARICAL ad un più meticoloso accertamento ispettivo.
In particolare, la visita ispettiva del marzo 1986, eseguita quattro mesi prima del trasferimento del Morano dall’Agenzia di Corigliano Scalo, non poteva riguardare l’intera gestione e comunque accertò anomalie che apparvero “meno rilevanti” per l’andamento “notevole” della gestione e per l’assicurazione da parte del Morano della “sistemazione delle partite c-insoluti e protestati”; dopo tale visita non ve ne erano state altre prima del giugno-luglio 1988, in quanto la relazione del gennaio 1987 non fu il frutto di una ispezione; rispetto ad essa erano del tutto nuovi gli addebiti relativi alla posizione di certo Talarico (in rapporto alla quale la precedente relazione dell’ispettore Molinari si era risolta in un “breve esame” della posizione contabile – operativa – amministrativa e cioè in un “riepilogo formale, sommario e necessariamente frettoloso del rapporto bancario”.
Dalle ispezioni del giugno-luglio 1988 erano dunque emersi rilievi in gran parte nuovi in ordine alle posizioni di Curia, Albamonte e Nigro (agenzia di Corigliano Calabro) e del tutto nuovi in ordine ai rapporti Salimbeni e Funaro; per quanto riguardava l’agenzia di Corigliano Scalo erano in gran parte nuovi i rilievi relativi alla gestione dei rapporti Brandi-Pericolo; Albamonte; Caroli, Sassone-Shcettini-Carella; Gentile, Campana; Greco Cosmo; Sanasi Giovanni; Barci-Rende-Capalbo; Russo Giovanni; Tassitani Casimia, ISA. Di Ianni; Lucibello-Crispo.
In conclusione, secondo il Tribunale, solo a seguito delle indagini della G. di F. del marzo 1988 e dei successivi elementi emersi a carico del Morano, in particolare in relazione alla posizione Talarico, gli organi centrali della Cassa avevano disposto assai più rigorosi accertamenti ispettivi che avevano fatto emergere non semplici “anomalie” (delle quali si parlava nelle relazioni del 1986 e del 1987), ma effettive, gravi e reiterate trasgressioni.
L’eccezione di non immediatezza della contestazione doveva essere disattesa, secondo quel Collegio, anche per la “diversa pregnanza” delle precedenti trasgressioni viste nel “contesto complessivo” quale emerso solo ultimamente – il quale dava ragione altresì di delibere favorevoli al Morano, come il suo trasferimento presso la filiale di Castrovillari del settembre 1986, la sua promozione a funzionario capo-servizio del 20 febbraio 1987, la sua riammissione in servizio l’8 marzo 1988, peraltro seguita dall’immediato collocamento in congedo per ferie maturate -.
Osserva, anzitutto, la Corte che, in presenza di una così puntuale, dettagliata ed argomentata esposizione da parte del giudice di appello delle ragioni che lo avevano indotto a ritenere la tempestività delle contestazioni, non possa assolutamente censurarsi la sentenza impugnata per vizio di motivazione ai sensi del n. 5 (richiamato nel motivo) dell’art. 360 c.p.c..
Nè può ritenersi sussistente la violazione di legge, pure dedotta nel motivo, sotto il profilo della lesione del principio di immediatezza della contestazione.
È, infatti, insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità che il requisito della immediatezza deve essere interpretato con ragionevole elasticità (con riferimento alla particolarità delle infrazioni commesse ed alla necessità di un certo margine temporale per il loro preciso accertamento da parte del datore di lavoro; – che il relativo accertamento costituisce una indagine di fatto, sindacabile in sede di legittimità nei limiti della verifica – con il metro della logicità e della congruità – delle ragioni addotte dal giudice del merito (Cass. 17 aprile 1987, n. 3845; 11 maggio 1987 n. 4346; 19 febbraio 1988 n. 1762; 7 dicembre 1989 n. 5423; 7 dicembre 1990 n. 11753; 23 novembre 1991 n. 12617; 21 dicembre 1991 n. 13829); – che nel caso in cui i comportamenti addebitati al lavoratore siano reiterati, il requisito dell’immediatezza del provvedimento disciplinare deve essere valutato in relazione alla ripetizione degli stessi (Cass. n. 13829-1991 cit.).
Ciò premesso, non si ravvisano da parte di questo Collegio le incongruenze di motivazione sul punto sottolineate dal ricorrente.
In particolare, l’obbligo degli organi di vigilanza di riferire in ordine a comportamenti scorretti del dipendente dell’Istituto di credito non comporta di per sè ed automaticamente la conoscenza di tali comportamenti da parte dell’organo preposto a valutarli sotto il profilo disciplinare.
Tanto meno lo comporterebbe nel clima di grave lassismo, dallo stesso ricorrente denunciato, nel quale la Cassa di risparmio versava.
In ogni caso, il giudice di merito ha dato ampiamente ragione di come gli ultimi accertamenti operati, in particolare dalla Guardia di finanza e dalle conseguenti ispezioni interne, a seguito anche di gravi vicende giudiziarie, non solo connotassero in modo assai più grave le anadempienze pregresse, sì da giustificare una nuova e diversa valutazione del comportamento complessivo del dipendente, ma fossero di per sè idonei a configurare mancanze di gravità tale da giustificare la sanzione risolutiva del rapporto per il venire meno di quella fiducia particolarmente indispensabile nell’espletamento dell’attività bancaria.
La circostanza che la sentenza di fallimento fosse stata revocata per ragioni di ordine giuridico non impediva certo alla Cassa di risparmio di contestare al Morano fatti storici emersi nel corso di quella procedura e che furono oggetto di riscontri da parte della Guardia di finanza oltreché di ispezioni interne.
Deve, infine, essere sottolineato che la tardività della contestazione disciplinare in relazione all’epoca della piena conoscenza del comportamento inadempiente del lavoratore (con il duplice riflesso sulle possibilità di difesa dell’incolpato ed in ordine all’eventuale quiescenza del datore di lavoro il quale, tardando nella contestazione, rivelerebbe il perdurare della fiducia) forma oggetto di eccezione, onde l’onere probatorio relativo spetta al lavoratore, non già, come dal Morano si sostiene, al datore di lavoro che procede al licenziamento.
Col secondo motivo di ricorso, il Morano deducendo A) violazione ed errata applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.civ., anche con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 103 del 1989, si duole che il Tribunale abbia affermato l’inesistenza nell’ordinamento di un principio che imponga al datore di lavoro un comportamento obiettivo ed esente da valutazioni discriminatorie. La doglianza viene posta in relazione al fatto che in presenza di altri comportamenti analoghi o anche più gravi (non privi talvolta da connotazioni penalistiche) di altri dipendenti, la CARICAL non avrebbe risolto il rapporto di lavoro. Il Tribunale non aveva poi adeguatamente valutato la rilevanza dell’avvenuta revoca della dichiarazione di fallimento, anche per l’inesistenza di una società di fatto tra il Talarico ed esso Morano; del pari non aveva valutato l’avvenuto proscioglimento con formula piena di esso Morano da procedimento penale iniziatosi su denuncia dello stesso Talarico.
Nella valutazione concreta delle colpe il Tribunale aveva omesso di tener conto di quelle assai più rilevanti degli organi centrali dell’Istituto. Inoltre non si era considerato che molti dei rapporti dell’agenzia di Corigliano Scalo, oggetto di rilievi, erano stati “ereditati” dal precedente preposto. Lo standard di diligenza esigibile dal Morano, nelle concrete condizioni di lassismo e di disordine in cui versava la Cassa (successivamente commissariata) avrebbe dovuto essere valutato con quello offerto da altri colleghi di pari grado (ritenuto accettabile dall’Istituto). In presenza di irregolarità accertata a carico del rag. Accrogliano e del rag.
Curti, rispettivamente nella gestione della agenzia di Corigliano Scalo antecedente e susseguente a quella di esso Morano, non avrebbe potuto sanzionarsi tanto gravemente ed in modo evidentemente discriminatorio l’operato di esso Morano con contestazione di addebiti “assai più vaghi” e di difficile prova o addirittura destituiti di fondamento, non potendosi fare affidamento su quanto affermato dagli ispettori.
B) deducendo ancora violazione dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 ed 11 della legge 15 luglio 1966 n. 604 e dell’art. 2697 c.civ., con riferimento all’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., in relazione anche alle lettere di contestazione del 2 agosto e 6 ottobre 1988, il Morano si duole che il giudici di merito non avessero accolto le sue richieste istruttorie, dirette all’acquisizione degli atti del rapporto della Guardia di finanza del 19 giugno 1988, e l’esibizione di provvedimenti disciplinari adottati dalla Cassa nei riguardi di altri dipendenti, specificamente indicati e comunque non avesse ammesso prova e consulenza tecnica contabile. I giudici di merito avevano, invece accettato come prova i verbali di ispezione del 1988 (privi di efficacia probatoria). Esso ricorrente aveva contestato le risultanze delle ispezioni, così come aveva contestato le opinioni espresse dagli ispettori in ordine ad un suo preteso comportamento doloso ed aveva anche chiesto prove contrarie, immotivatamente non ammesse.
Il motivo è destituito di giuridico fondamento.
Rileva, infatti, la Corte, quanto alle censure sopra sintetizzate sub A), che dell’invocato principio di parità è stata recentemente ribadita dalle Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 6031-1993) l’inesistenza nel nostro ordinamento in materia di trattamenti economico-normativi (v. anche rec. Cass., sez. lavoro n. 3024-1994).
A maggior ragione non può ravvisarsi la vigenza di tale principio nella materia eminentemente caratterizzata dall’intuitu personae delle valutazioni disciplinari, anche per la pratica impossibilità di comparare sotto ogni profilo, oggettivo e soggettivo, comportamenti di rilevanza disciplinare tenuti da diversi dipendenti in circostanze e tempi diversi.
Nè il Morano ha dedotto atti discriminatori nei propri confronti caratterizzati dai motivi o dalle finalità di cui all’art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i soli che, de iure condito, avrebbero potuto determinare la nullità del licenziamento.
Deve, poi, essere disatteso l’assunto del ricorrente secondo cui la Cassa di risparmio (oltretutto all’epoca ente di diritto pubblico) avrebbe dovuto in certo senso acquietarsi al clima di grave lassismo che nel proprio ambito si sarebbe diffuso a tutti i livelli e conformandosi ad esso, adottando cioè un metro altrettanto tollerante, valutare la condotta dello stesso Morano. Si pretenderebbe, così, il perpetuarsi, più che della dedotta tolleranza, di una vera e propria connivenza di tutti i funzionari responsabili ed in particolare degli organi disciplinari, rispetto a comportamenti gravemente illeciti e sotto ogni profilo deleteri per gli interessi dell’Istituto.
Intorno alla sentenza di fallimento si è già detto; è opportuno tuttavia sottolineare come sia assolutamente incensurabile, perché conforme ad un corretto criterio di interpretazione dei fatti storici la sentenza del Tribunale, laddove osservava – per giustificare la reiezione della domanda diretta a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento – che se era vero che il fallimento del Morano, dichiarato in estensione di quello del cliente della banca Talarico Angelo, era stato revocato per mancanza di prova circa l’affectio societatis e la sussistenza di un fondo comune, nella motivazione della sentenza di revoca si era dato atto di rapporti di affari sicuramente intercorsi tra i due o di intromissione del Morano negli affari del Talarico, con pesanti interventi anche presso terzi, clienti della banca o comunque in relazione con essa, al fine di favorire il Talarico o di lucrare sui suoi affari; si era poi accertato dalla Corte di appello di Catanzaro che il Morano, “travalicando apertamente i limiti connaturali all’espletamento delle sue mansioni di funzionario di banca” aveva esplicato una “costante opera di sostegno dell’attività imprenditoriale svolta dal Talarico”.
Quanto ai fatti emersi in procedimento penale che si sostiene concluso con ampia formula di proscioglimento del lavoratore, il Tribunale non ha tratto dagli stessi fatti elementi decisivi ai fini della pronuncia resa.
Ancora, il giudice di appello ha argomentato in modo del tutto ineccepibile – disattendendo le giustificazioni addotte dal Morano, ha rilevato (oltre alla pochezza della maggior parte di esse, ed alla parziale ammissione di taluni addebiti, giustificati talora con le corresponsabilità di altri) – nel sottolineare che, se “molti” dei rapporti in contestazione presso l’agenzia di Corigliano erano stati dall’appellante “ereditati” da precedente gestione, non si trattava di “tutti” i rapporti e comunque il Morano non si era attivato negli oltre due anni di sua gestione ad eliminare le irregolarità esistenti, malgrado diffide ricevute, così dando prova di grave negligenza.
Quanto alle critiche formulate dal Morano sub B), osserva la Corte che il ricorrente aveva bensì chiesto al giudice di appello – v. numeri da 1) a 4) delle conclusioni rassegnate in quella sede -, di ordinare l’esibizione o di disporre l’acquisizione di atti e documenti attinenti alla posizione di altri lavoratori, oltretutto di diverse dipendenze della Cassa di risparmio, ma l’irrilevanza di siffatte indagini discende da quanto già detto in punto di insussistenza di un principio di parità di trattamento disciplinare.
Del pari inammissibile, in parte per le stesse ragioni ed in parte perché con essa si intendeva condannare al tecnico il giudizio che solo al Tribunale era demandato, era la richiesta di consulenza di ufficio diretta a “stabilire il grado di correttezza tecnica dell’operato del Morano in comparizione con i suoi predecessori e successori presso l’Agenzia di Corigliano Scalo, nonché in confronto con le risultanze delle relazioni ispettive sulle altre filiali”.
Non censurabile, infine, è l’operato del Tribunale per avere posto a fondamento della sanzione espulsiva i verbali di ispezione del 1988, redatti da funzionari ispettivi di ente pubblico.
Oltretutto, il giudice di appello, come si è detto, aveva dato atto anche di parziali ammissioni del lavoratore e della concordanza di molti dei rilievi con gli accertamenti della Guardia di finanza. Il Morano non ha precisato nel motivo quali fossero le “prove contrarie” dedotte (salvo quanto già considerato dalla Corte in punto di richiesta di acquisizioni documentali).
Col terzo mezzo di annullamento, il Morano deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 2106 c.civ., con riferimento all’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., dolendosi della sproporzione della sanzione rispetto al fatto contestato, e comunque della carenza di motivazione in proposito, sproporzione tanto più evidente in considerazione, da un lato, della posizione gravemente irregolare degli organi della Banca e d’altro lato delle sanzioni meno pesanti irrogate ad altri preposti.
Il motivo è infondato.
Già si è detto circa la non deducibilità della pretesa sproporzione della sanzione in comparazione con l’atteggiamento assunto dalla Banca nei confronti di altri dipendenti o di propri dirigenti.
In punto di sproporzione del licenziamento rispetto ai fatti contestati, il Tribunale ha, invece, motivato molto ampiamente, affermando, tra l’altro (ed oltre quanto già è stato sopra richiamato) che, a seguito degli ultimi accertamenti ispettivi, osservava il Tribunale che si era addebitato al Morano di avere ripetutamente fornito “benefondi” per assegni tratti dal Talarico al di fuori di disponibilità o, addirittura di “sospesi”, al fine di utilizzare il contante derivante dalla negoziazione per il ritiro di effetti giacenti e così ricreare le condizioni per ulteriori sconti commerciali; di avere scontato “carta commerciale oltre i limiti dell’accordato”; di avere sistematicamente consentito il rinnovo di effetti risultati insoluti e protestati, senza pretendere interessi; di avere concesso fido (sostituendosi agli organi competenti) consentendo al Talarico maggiori utilizzi oltretutto non garantiti da fideiussione, come necessario. Non solo, ma dalle produzioni istruttorie era poi risultato che il Morano faceva uso di libretti di assegni del Talarico e addirittura aveva tratto assegni a firma Talarico sul proprio conto corrente, in una occasione cancellando poi la firma di emissione.
Da tali elementi concernenti la posizione “Talarico” e dall’esame della posizione di altri clienti della CARICAL, prese a campione, tra le numerosissime segnalate per irregolarità nei verbali di ispezione, il Tribunale traeva il convincimento di un comportamento gravemente inadempiente del lavoratore consistito in occultamento di gravi e precarie posizioni debitorie, inesatte o false informazioni agli organi centrali; sconfinamento su saldi contabili (nonostante diffida del 18 giugno 1986); sconfinamento nei fidi; trattenimento di titoli oltre i termini del protesto (malgrado altra diffida); rinnovo di effetti senza maggiorazione per interessi di mora; benefondi per assegni su conti privi di disponibilità; concessioni di finanziamenti collaterali per alleggerire alcune posizioni finanziarie di clienti; creazione di liquidità fittizie; omissione di iniziative per il recupero dei crediti; false indicazioni di causali di versamento; consenso alla interposizione di persone per la gestione di conti correnti; sconto di titoli di comodo di soggetti protestati. Da siffatto comportamento, teso ad agevolare taluni clienti, era sorto un contenzioso per la Cassa, accertato in sede ispettiva, in circa 18 miliardi, comunque di notevole gravità anche se dovesse ritenersi pari a 6 miliardi, come ex adverso prospettato, con un credito di circa cento milioni di interessi di mora non percepiti.
Non solo, ma “dall’allarmante dettagliato rapporto della Guardia di Finanza” si rilevava che il Morano si era “avvalso del suo incarico di direttore della Carical di Corigliano Calabro, costringendo e promettendo ad alcuni acquirenti agevolazioni ad acquistare gli immobili al solo fine del suo lucro nella vicenda ed altri facendoli risultare debitori nei confronti della CARICAL e del Talarico”.
In presenza di fatti di così rilevante gravità oggettiva e soggettiva e della conseguente lesione della fiducia indispensabile da parte della Banca verso il proprio dipendente, la destituzione di quest’ultimo era, secondo il giudice di appello, la sola misura disciplinare adeguata.
La Corte non è legittimata ad interferire nei giudizi del Tribunale appena esposti, trattandosi di valutazioni di fatto, riservate al giudice del merito, ma deve sottolinearne il rigore logico. Esse sono pienamente appaganti circa la ritenuta legittimità del licenziamento, in particolare, sotto il profilo della giustificazione della ritenuta proporzionalità della sanzione rispetto alle gravissime, numerose e ripetute inadempienze del lavoratore.
Assorbita, quindi, ogni altra considerazione o censura, il ricorso deve essere rigettato.
Consegue (art. 91 c.p.c.) la condanna del ricorrente nelle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare a controparte le spese in Lire 220.000 oltre gli onorari L. 3.000.000.
Così deciso in Roma, addì 6 giugno 1994.