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Maltrattamenti in famiglia: quando c’è legittima difesa?

14 Dicembre 2022 | Autore:
Maltrattamenti in famiglia: quando c’è legittima difesa?

Violenza domestica: quando si può reagire contro chi abusa abitualmente delle persone conviventi? Uccidere il marito violento è legittima difesa?

La legge consente di ricorrere alla forza quando è necessaria per salvare sé o altri da un pericolo imminente. Si tratta della nota “legittima difesa”, cioè della causa di giustificazione che consente eccezionalmente di compiere un’azione che, altrimenti, sarebbe illegale. Perché si possa invocare questa scriminante a propria discolpa occorre però che ricorrano requisiti ben precisi, in assenza dei quali c’è il rischio di essere accusati di un reato, anche quando la vittima è tutt’altro che una persona perbene. È in questo contesto che si inserisce il seguente quesito: quando c’è legittima difesa per maltrattamenti in famiglia?

A questa domanda ha risposto, seppur indirettamente, una recente sentenza della Corte di Cassazione [1] la quale ha deciso di non fare sconti, nemmeno in presenza di una donna che era abitualmente vittima degli abusi del convivente. Secondo la Suprema Corte, infatti, non si può invocare la legittima difesa se non c’è un pericolo imminente per la propria incolumità. Approfondiamo l’argomento e vediamo quando si può reagire contro l’autore di violenze domestiche.

Quando scattano i maltrattamenti?

Per la legge si può parlare di “maltrattamenti” in presenza di ripetuti abusi nei confronti di una persona convivente [2].

Questi abusi possono essere sia fisici che psicologici, potendo quindi incorrere in reato anche chi si “limita” a umiliare costantemente il convivente, a denigrarlo o a insultarlo pubblicamente.

La vittima non deve essere necessariamente un familiare: è sufficiente che viva sotto lo stesso tetto dell’autore del reato.

Quando c’è legittima difesa?

La legittima difesa è una causa di giustificazione di condotte che, altrimenti, costituirebbero reato.

Secondo la legge [3], la difesa è legittima soltanto se:

  • è indispensabile, nel senso che non se ne può fare a meno per proteggere i propri diritti;
  • serve a tutelarsi da un pericolo attuale. Non è legittima difesa sparare a chi è in fuga, in quanto non c’è più pericolo;
  • è proporzionata all’offesa. La proporzione va fatta rispetto ai beni giuridici in gioco e non agli strumenti di difesa.

Ad esempio, è sproporzionato picchiare violentemente un ladro, per quanto possa essere grave il suo furto; ciò perché il patrimonio non può essere equiparato all’incolumità fisica di una persona.

Violenza domestica: ci si può difendere?

Secondo la sentenza della Corte di Cassazione citata in apertura, non c’è legittima difesa se la donna, vittima di violenze abituali da parte del compagno, si arma di coltello e colpisce alle spalle il convivente a seguito di un semplice diverbio verbale, per quanto animato sia stato.

Poco importa che l’uomo fosse imputato, in altro processo, proprio per il delitto di maltrattamenti: nel caso affrontato dalla Cassazione, infatti, non c’era nessun pericolo imminente per l’incolumità della donna, la quale ha ingiustificatamente accoltellato alle spalle il convivente, colpendolo di sorpresa mentre era a letto.

La Suprema Corte mette quindi l’accento sulla contestualità del pericolo da cui il soggetto che agisce decide di difendersi.

Quando si parla di legittima difesa, infatti, non contano nulla i pregressi rapporti o gli abusi subiti: conta solamente ciò che accade in quel momento, cioè quando si decide di colpire l’altra persona.

Tanto è confermato da una sentenza di merito di qualche anno fa [5], con cui il giudice disponeva l’archiviazione del procedimento penale avviato nei confronti di una giovane donna accusata di aver ucciso il padre violento.

Nel caso di specie, l’imputata aveva accoltellato il genitore per difendere sé stessa e tutta la sua famiglia (la mamma e le sorelle) da una delle tante violenze messe in atto dal padre il quale, nell’episodio incriminato, aveva inseguito le donne fino in strada minacciando di ucciderle. In un caso del genere, sussiste la legittima difesa in quanto la donna doveva scegliere tra reagire oppure soccombere.

È quindi chiaro che la legittima difesa per maltrattamenti scatta solamente in presenza di un imminente pericolo per la propria incolumità fisica; gli abusi psicologici, pertanto, non giustificano alcuna reazione violenta.

Uccidere il marito violento: è legittima difesa?

Quando una donna uccide il marito violento, si può parlare di legittima difesa? Solamente se la donna non ha altre alternative, cioè quando, se non agisse, andrebbe probabilmente lei stessa incontro alla morte.

Ovviamente, non è possibile sapere anticipatamente quali siano le intenzioni dell’aggressore; perché scatti la legittima difesa occorre che la violenza in cui si rischia di incorrere si mostri, almeno apparentemente, così grave da giustificare una reazione altrettanto estrema.

Ad esempio, se l’uomo si avvicina minaccioso con un coltello, allora la donna ben potrà armarsi a propria volta per difendersi, magari anche con una pistola.

Il pericolo, però, deve essere concreto, nel senso che la semplice “dimostrazione di forza” dell’uomo non sarebbe sufficiente a giustificare la replica.

E così, se il coltello è stato brandito con lo scopo evidente di minacciare e di non colpire, la vittima delle intimidazioni non potrà assolutamente reagire.


La legittima difesa per maltrattamenti scatta solamente in presenza di un imminente pericolo per la propria incolumità fisica; gli abusi psicologici, pertanto, non giustificano alcuna reazione violenta.

note

[1] Cass., sent. n. 46874 del 12 dicembre 2022.

[2] Art. 572 cod. pen.

[3] Art. 52 cod. pen.

[4] Gip Tivoli del 14 maggio 2020.

Autore immagine: depositphotos.com


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