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Infortunio sul lavoro: l’azienda (quasi) sempre responsabile

9 Marzo 2016 | Autore:
Infortunio sul lavoro: l’azienda (quasi) sempre responsabile

Se il lavoratore subisce un infortunio sul lavoro la società datrice è quasi sempre responsabile, quando ha avuto un interesse o vantaggio nell’evento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione [1] ci dà lo spunto per trattare l’argomento della responsabilità delle società in caso di infortunio sul lavoro.

Come è noto, allorquando si verifica un infortunio sul lavoro, si ipotizza sempre che lo stesso sia conseguenza di un reato penale (ad esempio, il reato di lesioni personali colpose). La responsabilità penale è sempre e solo strettamente personale ma la legge [2] estende alle società le responsabilità dei propri rappresentanti e dirigenti che hanno commesso il reato penale.

La legge [2], conseguentemente, prevede un regime di responsabilità a carico dell’azienda datrice derivante dalla commissione o tentata commissione di determinate fattispecie di reato perché verificatesi nell’interesse o a vantaggio della società medesima. Dato che questo tipo di responsabilità è in capo alla persona giuridica, si tratta di un illecito di tipo amministrativo, e si affianca alla responsabilità penale della persona fisica che ha fattivamente commesso il reato.

Infortunio sul lavoro e responsabilità: Il caso di specie

Nel caso di infortunio sul lavoro trattato dalla Cassazione, una società veniva condannata [3] ritenendo che il delitto (lesioni colpose in danno di un lavoratore) era stato commesso nell’interesse dell’azienda ed a vantaggio della medesima, avendo omesso di adottare ed efficacemente attuare, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

La società ricorreva per Cassazione avverso questa decisione e i giudici ribadivano alcune importanti circostanze.

La Cassazione rilevava che la legge [2] individua una responsabilità di tipo oggettivo nel fatto che il reato presupposto (le lesioni personali, ndr.) sia stato commesso nell’interesse o vantaggio (anche non esclusivo) della società, da persone che rivestono funzioni di amministrazione, rappresentanza direzione o gestione.

La responsabilità è invece esclusa se il reato è stato commesso dalle suddette persone nel loro proprio esclusivo interesse, ovvero non ammettendo il vantaggio aziendale.

Se la società ha vantaggio è sempre responsabile?

Sempre la Cassazione ha recentemente precisato che i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico: infatti non rispondono all’interesse della società, o non procurano alla stessa un vantaggio, la morte o le lesioni riportate da un suo dipendente in conseguenza di violazioni di normative antinfortunistiche, mentre è indubbio che un vantaggio per la società possa essere ravvisato, per esempio, nel risparmio di costi o di tempo che la stessa avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l’infortunio sul lavoro.

Peraltro, bisogna ricordare che i termini di “interesse” e “vantaggio” esprimono concetti giuridicamente diversi e possono essere alternativi: ciò emerge dall’uso della congiunzione “o” nel testo letterale della norma.

La differenza tra Interesse e vantaggio della società

In particolare, il concetto di “interesse” attiene a una valutazione antecedente alla commissione del reato presupposto, mentre il concetto di “vantaggio” implica l’effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato (e, dunque, una valutazione ex post).

Nel reati colposi d’evento (come ad esempio nel reato di lesioni personali, ndr.), il finalismo della condotta prevista dalla legge [3] è compatibile con la non volontarietà dell’evento lesivo, sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest’ultimo sia stata determinata da scelte rispondenti all’interesse della società o sia stata finalizzata all’ottenimento di un vantaggio.

In altre parole, ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento (morte o lesioni del lavoratore) ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica; ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta scientemente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse della società (per esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione).

Ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto della società (ad esempio l’amministratore delegato o un dirigente, ndr.), pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.

Occorre, perciò, accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, che ha determinato l’infortunio, rispondesse ex ante a un interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio, per esempio, risparmiando i costi necessari all’acquisto di un’attrezzatura di lavoro più moderna, ovvero all’adeguamento e messa a norma di un’attrezzatura vetusta.

Quando si può escludere la responsabilità di un’azienda?

Per escludere la responsabilità dell’azienda va analiticamente dimostrato che:

– sono stati adottati ed efficacemente attuati, prima della commissione dei fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

– il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo;

– non vi è omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b.

In altri termini, la responsabilità della società per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose commesse da suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro potrà essere esclusa soltanto dimostrando l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi di cui alla legge sulla sicurezza sul lavoro e l’attribuzione a un organismo autonomo del potere di vigilanza sui funzionamento, l’aggiornamento e l’osservanza dei modelli adottati.


note

[1] Cass. Civ. Sent. n.2544/2016.

[2] Il D.Lgs. n. 231/2001.

[3] Art. 5 del D.Lgs. n. 231/2001.

Corte di Cassazione, Sezione 6 civile

Sentenza 9 febbraio 2016, n. 2544

Presidente Curzio, Relatore Arienzo

Data udienza 15 dicembre 2015

SENTENZA
sul ricorso 26681-2013 proposto da:
REGIONE ABRUZZO (OMISSIS), in persona del Presidente della Regione pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 685/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del 9/05/2013, depositata il 25/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ARIENZO Rosa;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
La Corte di appello di l’Aquila ha rigettato l’appello proposto dalla Regione Abruzzo confermando la sentenza del Tribunale di Sulmona che aveva dichiarato il diritto di (OMISSIS) alla perequazione della retribuzione individuale di anzianita’ a quella percepita da altri dipendenti inquadrati in pari ruolo a norma della Legge Regionale Abruzzo n. 16 del 2008, articolo 1 e Legge Regionale Abruzzo n. 6 del 2005, articolo 43 ed Legge Regionale Abruzzo n. 118 del 1998, articolo 1 fino all’abrogazione sopravvenuta per effetto della Legge Regionale Abruzzo n. 24 del 2011, con condanna della Regione a corrispondergli le differenze retributive maggiorate degli interessi legali a decorrere dalle rispettive date di entrata in vigore delle citate leggi regionali. La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, ricostruito il quadro normativo di riferimento e precisato che il meccanismo perequativo di cui alla Legge Regionale n. 118 del 1999, come modificata dalla Legge Regionale n. 6 del 2005, era stato esteso per effetto della Legge Regionale n.16 del 2008 a tutti i dipendenti regionali aventi medesimo inquadramento in ruolo e qualifica in qualunque modo vi avessero avuto accesso, riteneva riferibile l’operativita’ del predetto meccanismo perequativo non gia’ all’epoca dell’immissione in ruolo del dipendente interessato all’equiparazione, quanto piuttosto al momento dell’accesso nei ruoli regionali del dipendente proveniente dall’esterno che godeva di una piu’ elevata retribuzione di anzianita’ in relazione alla quale doveva attuarsi la perequazione.
Avverso questa sentenza la Regione Abruzzo ricorre in cassazione sulla base di tre censure, cui resiste, con controricorso, il (OMISSIS), che illustra le proprie difese con memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo, la Regione ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione della Legge Regionale Abruzzo n. 6 del 2005, articolo 43 come modificato dalla Legge Regionale Abruzzo n. 16 del 2008, articolo 1, comma 2 alla luce degli articoli 36 e 117 Cost. e rileva che l’impianto della normativa regionale, su cui si fonda l’impugnata sentenza, risulta in violazione della riserva di competenza alla contrattazione collettiva del profilo retributivo del personale dipendente della Regione Abruzzo, oltre che in violazione dei criteri di riparto fra legislatore statale e regionale, nonche’ del parametro regolatore di cui all’articolo 36 Cost. Chiede pertanto che sia disapplicata la predetta normativa regionale o, in subordine, che sia sollevata la questione di legittimita’ costituzionale delle citate norme previa valutazione della non manifesta infondatezza della questione. Con il secondo motivo di ricorso la Regione Abruzzo denunzia, poi, violazione e/o falsa applicazione della Legge Regionale Abruzzo n. 6 del 2005, articolo 43 come modificato dalla Legge Regionale Abruzzo n. 16 del 2008, articolo 1, comma 2, criticando la sentenza impugnata per aver legittimato, con la sua interpretazione, un non previsto allineamento dinamico verso l’alto della voce retributiva. Con il terzo motivo, deduce la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto corretta la condanna generica pronunciata dal giudice di primo grado sebbene fosse stata chiesta una condanna specifica, cosi’ restando irrisolto ogni problema connesso alla quantificazione delle somme chieste.
Tanto premesso rileva il Collegio che questa Corte, nel decidere una controversia identica alla presente, ha rilevato, in maniera assorbente, che “la Corte costituzionale con sentenza n. 211 del 2014 investita dal Tribunale di Teramo della questione di legittimita’ costituzionale della Legge Regionale Abruzzo 8 febbraio 2005, n. 6, articolo 43 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Legge Regione Abruzzo – Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dalla Legge Regionale Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16, articolo 1, comma 2, (Provvedimenti urgenti ed indifferibili) in riferimento all’articolo 117 Cost., comma 2, lettera l), della Costituzione e dal momento che la disciplina del trattamento economico dei dipendenti regionali rientrerebbe nella materia dell’ordinamento civile che appartiene alla potesta’ legislativa esclusiva dello Stato, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della predetta Legge Regionale Abruzzo 8 febbraio 2005, n. 6, articolo 1, comma 2, come sostituito dalla Legge Regionale Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16, articolo 1, comma 2, nella parte in cui introduce nella Legge Regionale Abruzzo 13 ottobre 1998, n. 118, articolo 1 il comma 2 bis (Riconoscimento agli effetti economici della anzianita’ di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla Legge n. 144 del 1989 al personale ex Legge n. 285 del 1977). Tanto perche’ la citata Legge Regionale n. 6 del 2005, articolo 43 nel disciplinare la retribuzione individuale di anzianita’ dei dipendenti regionali, allineandone l’ammontare a quello percepito dai dipendenti che, provenendo da altre amministrazioni, sono transitati nei ruoli regionali, incide sul trattamento economico dei dipendenti regionali prevedendone un incremento allorche’ ricorrano le condizioni previste e, quindi, eccede dall’ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla potesta’ legislativa esclusiva dello Stato.” (cfr Cass. 15.12.2014 n. 26320).
Nella memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. la parte controricorrente eccepisce l’inammissibilita’ e/o improcedibilita’ dell’impugnazione proposta sul rilievo che la Regione, che aveva proposto ricorso notificato in data 8-12.11.2013, non si era avveduta della avvenuta notificazione della sentenza presso l’avvocatura distrettuale dello stato in (OMISSIS), presso la quale era domiciliata ope legis, non menzionando nel ricorso per cassazione l’avvenuta notificazione e non producendo la relativa relata nei termini previsti dall’articolo 369 c.p.c., comma 1, come sarebbe desumibile anche dalla circostanza che nell’elenco dei documenti depositati unitamente al ricorso si fa menzione solo della copia conforme all’originale della sentenza impugnata e dallo stesso tenore del ricorso in cui si fa richiamo al deposito della sentenza di gravame e non anche alla sua notifica.
E’ stata ritenuta da questa Corte la piena ragionevolezza della imposizione da parte del legislatore di regole rigide a chi intende instaurare il processo per cassazione, che, dopo la fase introduttiva, retta dalle poche regole sulla procedibilita’, si svolge tutto in maniera officiosa ed e’ stato osservato che tra queste regole v’e’, appunto, quella che assegna al ricorrente l’onere di depositare in termine la sentenza impugnata con la relazione di notificazione, se questa v’e’ stata, fermo restando che, nell’ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli e’ stata notificata, la Corte di cassazione deve ritenere che lo stesso ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il c.d. termine lungo di cui all’articolo 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua osservanza. Tuttavia, qualora o per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la S.C., indipendentemente dal riscontro della tempestivita’ o meno del rispetto del termine breve, deve accertare se la parte ricorrente abbia ottemperato all’onere del deposito della copia della sentenza impugnata entro il termine di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 1 e, in mancanza, deve dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilita’ precede quello dell’eventuale inammissibilita’ (cfr. Cass., s. u., ord. 16.4.2009 n. 9004, e, in senso conforme, Cass. 15.10.2015 n. 20883).
Nella specie, risulta dagli atti che la copia conforme dell’originale della sentenza impugnata depositata nei termini di cui all’articolo 369 c.p.c. era corredata della relazione di notificazione, sicche’ deve essere disattesa la doglianza, fondata sul dato formalistico della mancata specifica menzione della stessa nell’elenco dei documenti prodotti, essendo la indicazione della “copia conforme all’originale della sentenza impugnata” all’evidenza riferita anche all’annessa relata, la cui produzione trova riscontro all’esame diretto della produzione della parte ricorrente, che ha provveduto alla tempestiva notificazione del ricorso per cassazione nel termine di sessanta giorni dalla data della avvenuta notificazione della sentenza impugnata.
Respinta l’eccezione sollevata dal controricorrente, consegue alle osservazioni svolte che, per effetto della declaratoria d’incostituzionalita’ della Legge Regionale Abruzzo n. 6 del 2005, articolo 43 come sostituito dalla Legge Regionale Abruzzo 2008 n. 16, articolo 1, comma 2, della nella parte in cui introduce nella Legge Regionale Abruzzo 13 ottobre 1998, n. 118, articolo 1, il comma 2 bis – su cui si fonda la domanda del dipendente – il ricorso per cassazione deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata.
Non essendo, poi, necessari ulteriori accertamenti di fatto la controversia puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2 e la domanda originaria deve essere rigettata.
Il recente intervento della Corte Costituzionale in uno all’orientamento espresso dai giudici di merito inducono questa Corte a ritenere sussistenti le ragioni di cui all’articolo 92 c.p.c., comma 2, per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di cui all’originario ricorso. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.


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