CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA Prima Sezione Civile
La Corte di Appello nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Carla Fazzini – Presidente
dott. Luisa Poppi – Consigliere Relatore dott. Annarita Donofrio – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. …/2019 promossa da:
WW e per essa l’Amministratore di Sostegno Avv. JJ con il patrocinio dell’avv. …con domicilio in …
Appellante
contro
XX con il patrocinio dell’avv. ….con domicilio in ….
Appellata
Oggetto: “appello avverso la sentenza n. …/2019 del Tribunale di Forlì del 19 agosto 2019 pubblicata in data 26.08.2019, nella causa R.G. n. …”
CONCLUSIONI
rese all’udienza cartolare del 22.3.2022:
WW:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Bologna, contrariis reiectis, per tutte le ragioni così come esposte nella narrativa in atti e nelle difese rassegnate nel giudizio di prime cure, da intendersi integralmente richiamate e ritrascritte, riformare integralmente la sentenza n. …/2019 del Tribunale di Forlì emessa in data 19.08.2019, pubblicata in data 26.08.2019 e notificata a mezzo PEC in data 30.08.2019 (R.G. n. 3413/2014), e per l’effetto, in accoglimento dell’appello proposto dalla Sig.ra WW (congiuntamente all’Avv. JJ in qualità di Amministratore di Sostegno della medesima sig.ra WW):
In via principale e nel merito:
accertata e dichiarata la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 800 e 801 c.c., revocare la donazione che la Sig.ra WW ha effettuato in favore della figlia XX con atto del 30/05/2006 ai rogiti della Dott.ssa C. B. – Notaio in Forlì – (Repertorio n. (omissis), Raccolta n. (omissis)), registrato all’Ufficio del Registro di Forlì il 01/06/2006 al n. (omissis), trascritto a Forlì il 01/06/2006 (Registro Particolare n. (omissis), Registro Generale n. (omissis)), ovvero revocare la donazione avente ad oggetto il diritto di nuda proprietà sui seguenti immobili, così catastalmente individuati all’inizio del primo grado del presente procedimento:
A) porzione del fabbricato di civile abitazione sito in Forlì, con prospetto su Corso (omissis) n. (omissis) e su Via (omissis) n. (omissis), sviluppantesi sui piani interrato, terra, primo, secondo e terzo, censita al catasto fabbricati del Comune di Forlì come segue:
foglio …omissis…
B) podere denominato “(omissis)” o “(omissis)”, sito in Comune di M. (FC), Via (omissis), con sovrastante fabbricato rurale, censito nel catasto terreni di detto Comune come segue:
…omissis…
C) casa di civile abitazione sita in …(FC), Via (omissis), n. (omissis), censita nel catasto fabbricati del Comune di M. al foglio …omissis…, particella numero …omissis… sub. …omissis… (categoria A/2, classe 1, vani 15,5, rendita Euro 1.601,02), insistente su area pertinenziale coperta e scoperta censita nel catasto terreni del Comune di M. alla partita …omissis…, foglio …omissis…, particella numero …omissis… di mq. 1.046 (ente urbano);
con ogni conseguente declaratoria e con pronuncia da valere, ad ogni modo, anche in caso di intervenuti e/o interveniendi aggiornamenti/variazioni catastali dei predetti immobili;
Sempre in via principale e nel merito:
ordinare alla competente Agenzia del Territorio – Conservatoria dei Registri Immobiliari – di procedere alla trascrizione ed annotazione dell’emananda sentenza, anche in caso di intervenuti e/o interveniendi aggiornamenti/variazioni catastali dei predetti immobili, con esonero da ogni sua responsabilità;
In ogni caso:
respingere tutte le domande, eccezioni ed istanze anche istruttorie formulate dalla Sig.ra XX siccome inammissibili e, comunque, infondate in fatto ed in diritto.
Con vittoria di spese e compensi professionali di entrambi i gradi di giudizio, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge.”.
XX:
“dichiarare l’appello inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.; rigettare l’appello in quanto infondato in fatto e in diritto;
in via subordinata istruttoria si insiste, previa revoca dell’ordinanza di rigetto, per l’accoglimento delle istanze istruttorie tutte formulate nella seconda e nella terza memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c.
In particolare, si insiste per l’ammissione dell’interrogatorio formale e della prova per testi sui seguenti capitoli, già formulati con la seconda memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c.”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Primo grado
Con atto di citazione del 26.06.2014, la sig.ra WW chiedeva al Tribunale di Forlì di voler revocare, accertata e dichiarata la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 800 e 801 c.c., la donazione effettuata, in favore e dietro sollecitazione della figlia, XX, con atto del 30.05.2006, avente ad oggetto la nuda proprietà di taluni beni immobili, catastalmente individuati nello stesso atto di citazione.
L’attrice rappresentava di essere stata improvvisamente abbandonata dal proprio nucleo familiare — costituito dalla figlia, dal genero e dai nipoti — con il quale era sempre stata legata da uno stretto, affiatato e solido rapporto, improntato alla condivisione non soltanto di momenti di svago, quali le vacanze, le festività e le ricorrenze, ma anche della realtà quotidiana, abitando madre e figlia lo stesso immobile, seppure a piani diversi.
Segnatamente, tali rapporti avevano cominciato ad incrinarsi nei mesi successivi alla predetta donazione, sino a rompersi definitivamente nell’agosto dell’anno 2010, allorquando, durante una vacanza a Milano Marittima, WW instaurava un’amicizia con il diciannovenne YY, interpretata dalla
figlia come una relazione di tipo sentimentale tra il giovane, cameriere presso la struttura alberghiera ove la famiglia era solita consumare la cena durante le vacanze estive, e la madre ottantunenne.
Faceva seguito una lunga serie di diverbi ed atti ostili tra le parti, che segnava il lamentato brusco raffreddamento dei rapporti tra la WW e la famiglia della XX e che, secondo l’attrice, culminava nella pretestuosa e strumentale proposizione, da parte della figlia, di un ricorso per Cassazione contestante la legittimità del provvedimento con cui questa Corte d’Appello aveva confermato il decreto a mezzo del quale, il 28.01.2013, il Giudice Tutelare del Tribunale di Forlì aveva rigettato l’istanza di nomina di un Amministratore di Sostegno per la sig.ra WW, proposta dalla stessa XX.
Sosteneva, pertanto, l’attrice, in qualità di donante e madre della XX, che la condotta tenuta da quest’ultima integrasse pienamente i presupposti del grave pregiudizio dolosamente arrecato al suo patrimonio e della grave ingiuria verso la sua persona, atti a legittimare la revocazione della donazione.
In particolare, sotto il profilo patrimoniale, l’attrice lamentava il mancato rilascio dell’immobile di Forlì, Corso (omissis) n. (omissis), occupato dalla famiglia della XX, nonché la mancata restituzione delle spese relative all’immobile sito in M., da sempre utilizzato dalla figlia e dal suo nucleo familiare, circostanze che l’avevano costretta ad adire le vie legali per veder soddisfatte le sue legittime pretese; dal punto di vista morale, poi, riportava di aver subito aggressioni fisiche e verbali e di essere vittima di un ingiustificato accanimento da parte della figlia, che del tutto immotivatamente aveva determinato la disposizione, nel settembre 2011, di un Accertamento Sanitario Obbligatorio nei suoi confronti e, nel settembre 2013, un intervento del Pronto Soccorso, e che pervicacemente insisteva per la nomina di un Amministratore di Sostegno per la madre.
XX si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione e risposta del 24.12.2014, chiedendo il rigetto delle domande attoree, in particolare negando la sussistenza dei requisiti imposti dall’art. 801 c.c. per la revocazione della donazione ed eccependo, in via preliminare, l’avvenuto inutile decorso del termine di decadenza assegnato al donante dall’art. 802 c.c. per l’esercizio della relativa azione.
Deduceva la convenuta che il lamentato deterioramento dei rapporti con l’attrice non si era progressivamente determinato nei mesi successivi alla donazione ma che, al contrario, la rottura era dipesa unicamente dalla WW e si era verificata soltanto nel 2010, poiché la relazione con YY aveva portato quest’ultima a voler rivendicare i propri spazi e la propria autonomia nei confronti della famiglia, colpevole di non voler accettare il giovane, sospettando per l’enorme differenza d’età tra i due.
Rilevava, inoltre, la XX come nessuna violenza e nessun accanimento erano stati dolosamente esercitati nei confronti dell’anziana madre bensì soltanto legittime manifestazioni di cura ed apprensione, poiché, da un lato, l’Accertamento Sanitario era stato richiesto dalla Dott.ssa B. e la chiamata al Pronto Soccorso era stata determinata da una reale e motivata preoccupazione, dall’altro, il voler richiedere la nomina di un Amministratore di Sostegno era la naturale conseguenza delle problematiche cognitivo-comportamentali clinicamente accertate nella persona della WW.
Neppure economicamente l’attrice avrebbe potuto dolersi della perpetrazione di danni tali da configurare il presupposto per la revoca della donazione, poiché l’immobile di M. non era stato frequentato soltanto dalla famiglia XX e quello di Forlì da ventiquattro anni costituiva la casa familiare del nucleo, che solo improvvisamente se ne era vista negare l’utilizzazione.
Chiedeva, dunque, la convenuta al Tribunale di Forlì di voler rigettare la domanda di revocazione.
Ritenuto opportuno, a fronte delle richieste avanzate in tal senso dalle parti, sospendere il procedimento in pendenza di un giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, proposto dalla convenuta ed avente ad oggetto la richiesta di nomina di Amministratore di Sostegno in favore dell’attrice, il Tribunale provvedeva con ordinanza del 21.10.2015.
Il processo veniva quindi riassunto all’esito del giudizio predetto, definito con ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, ed il Giudice così provvedeva:
rigetto delle domande di cui all’atto di citazione;
condanna di WW alla rifusione delle spese di lite in favore di XX, liquidate in € 9.275,00, oltre spese generali del 15%, IVA e CPA come per legge.
Secondo grado
WW, con l’Amministratore di Sostegno nel frattempo nominato in suo favore, adiva la Corte d’Appello di Bologna proponendo appello — con contestuale richiesta di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata, con riguardo al capo di condanna alle spese di lite — avverso l’anzidetto provvedimento, n. …/2019, emesso dal Tribunale di Forlì, per i seguenti motivi:
insufficiente e, comunque, erronea motivazione della sentenza di primo grado, sia in fatto che in diritto nonché manifesta illogicità e travisamento delle risultanze processuali circa un punto decisivo della controversia: la sussistenza dei presupposti ex artt. 800, 801 e 802 cod. civ. per revocare per “ingratitudine” la donazione effettuata dalla Sig.ra WW in favore della Sig.ra XX per grave pregiudizio del patrimonio del donante.
Il Giudice avrebbe erroneamente ritenuto insussistente il presupposto del grave pregiudizio al patrimonio lamentato dall’attrice e contestato dalla convenuta, avendo omesso di valorizzare la circostanza dell’ingiustificato rifiuto opposto dalla XX alla richiesta di rilasciare l’immobile concessole dalla madre in comodato precario, costringendo quest’ultima a adire le vie legali e così privandola della possibilità di utilizzarlo o di locarlo a terzi per più di due anni (settembre 2013 – dicembre 2015), senza nemmeno volerle corrispondere un’indennità di occupazione.
Altrettanto ingiustamente il Giudice di prime cure avrebbe escluso la configurabilità del presupposto del grave pregiudizio alla luce del rifiuto della XX di rimborsare alla madre le spese sostenute in relazione all’immobile sito in M., pur potendo disporre di sufficienti risorse economiche; che il pagamento di tali costi spettasse alla sig.ra XX è stato, infatti, accertato dal Giudice di Pace di Forlì.
Insufficiente e, comunque, erronea motivazione della sentenza di primo grado, sia in fatto che in diritto, nonché manifesta illogicità e travisamento delle risultanze processuali circa un punto decisivo della controversia: la sussistenza dei presupposti ex artt. 800, 801 e 802 cod. civ. per revocare per “ingratitudine” la donazione effettuata dalla Sig.ra WW in favore della Sig.ra XX per grave ingiuria nei confronti della medesima donante.
Il Giudice di primo grado non avrebbe attribuito la giusta rilevanza alle condotte ingiuriose reiteratamente poste in essere dalla XX nei confronti della madre, culminate, in particolare, nel ricorso proposto in Cassazione avverso il decreto del 24.05.2013 della Corte d’Appello di Bologna, avente carattere pretestuoso, strumentale e da considerarsi espressivo di un sentimento di profonda avversione nei riguardi della WW, vittima di un accanimento giudiziario e non da parte della figlia. Tale ricorso, infatti, sarebbe stato proposto con scopi evidentemente persecutori ed intimidatori, ciò che sarebbe comprovato dalle motivazioni addotte, in quanto manifestamente inconsistenti, essendo emersa dai precedenti gradi di giudizio la piena capacità di intendere e di volere della sig.ra WW.
Ancora, gli atti di violenza realizzati dalla sig.ra XX, nel settembre del 2013, ai danni della madre, da quest’ultima dettagliatamente rappresentati nell’atto di citazione e consistenti nell’infondata segnalazione al 118 e nell’aggressione fisica, avrebbero dovuto determinare l’accoglimento della domanda di revoca della donazione, a nulla valendo l’avvenuta archiviazione del procedimento penale richiamata dal Giudice di prima istanza.
Del pari ingiurioso sarebbe stato, infine, l’ingiustificato rifiuto della XX di lasciare nella disponibilità della madre l’immobile di Forlì, da quest’ultima concessole in comodato precario, nonostante ne fosse stata legittimamente richiesta la consegna e non sussistessero fondate ragioni per disattenderla, e di rimborsarle le spese relative all’immobile di M..
XX resisteva in giudizio chiedendo l’integrale conferma della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di appello risulta infondato e, pertanto, non meritevole di accoglimento.
Il Giudice di prime cure, respinta l’eccezione di decadenza e preliminarmente esclusa la riconducibilità del caso di specie alle ipotesi di revocazione per ingratitudine consistenti nei fatti previsti dai primi tre punti dell’art. 463 c.c. e nell’indebito rifiuto di corresponsione degli alimenti ex artt. 433, 435 e 436 c.c., ha correttamente individuato, tra i numerosi fatti allegati dalle parti, quelli rilevanti ai fini della pronuncia, circoscrivendo l’analisi alle sole circostanze astrattamente suscettibili di integrare i presupposti del grave pregiudizio dolosamente arrecato al patrimonio del donante e della grave ingiuria verso quest’ultimo.
Quanto al primo dei succitati presupposti, i fatti rilevanti risultano essere il mancato rilascio dell’immobile di Forlì ed il mancato rimborso delle spese relative all’immobile di M..
Orbene, alla luce della documentazione in atti, è senz’altro condivisibile l’assunto per cui l’attrice ha mancato di assolvere all’onere di allegazione relativo ad entrambi i danni lamentati — sia nell’an che nel quantum — nonché all’elemento soggettivo del dolo.
Va sottolineato che il tenore letterale dell’art. 801 c.c., riflettendo il carattere tassativo delle ipotesi di revocazione in essa contemplate — posto che la regola della donazione è la sua definitività, mentre la revocabilità ne costituisce eccezione — non consente al Giudice di omettere, neppure in via analogica, una approfondita valutazione, anche quantitativa, del danno posto alla base della domanda di revocazione, atteso che non è un danno generico a poter integrare l’ipotesi, tipica, dell’ingratitudine verso il donante bensì un danno qualificato: deve trattarsi di un pregiudizio, da un lato, grave — in rapporto, evidentemente, alla situazione economica del donante — e, dall’altro, dolosamente arrecato.
Pare dunque incontrovertibile che entrambi i connotati, della gravità e del dolo, debbano ricorrere congiuntamente, ciò che non è dato rilevare nel caso di specie, ove l’attrice si è limitata a dolersi del mancato rilascio dell’immobile di Forlì e della mancata restituzione dei costi delle utenze relative all’immobile di M., senza null’altro allegare oltre alla generica asserzione per cui l’immobile di Forlì avrebbe potuto essere locato nel corso dei due anni di occupazione abusiva da parte della figlia.
Ulteriore elemento dirimente, nell’indagine circa la fondatezza del motivo di gravame de quo, è l’insussistenza in capo alla XX dell’elemento psicologico richiesto ai sensi dell’art. 801 c.c.
Invero, il rapporto di cura e affetto da sempre intercorso tra le parti, contraddistinto dalla condivisione di ogni aspetto della propria vita e bruscamente interrotto dalla vicinanza del YY — circostanza che ha quindi assunto un ruolo determinante nella vicenda, quale causa di rottura della serenità familiare —, ragionevolmente suggerisce di ricondurre la condotta della XX nell’ambito di un fisiologico stato di sorpresa, contrarietà ed apprensione per l’anziana madre e non di un patologico astio sfociato in atti posti in essere al preciso scopo di danneggiarla.
Deve, in conclusione, rilevarsi che le argomentazioni addotte dall’appellante a sostegno del motivo di gravame in discorso non paiono idonee a smentire la correttezza delle considerazioni condivisibilmente svolte dal Tribunale di Forlì.
2
Il secondo motivo di appello va altresì rigettato in quanto infondato e, pertanto, non meritevole di accoglimento.
Come sottolineato dal Giudice di prime cure, infatti, la portata della norma de qua in punto di revocazione della donazione per ingratitudine del donatario verso il donante è stata efficacemente delineata dalla giurisprudenza di legittimità che, con riferimento al requisito della grave ingiuria, ha recentemente confermato l’orientamento per cui «..l’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l’atteggiamento, a prescindere, peraltro, dalla legittimità del comportamento del donatario..» (Cass. n. 13544/2022) e che, già in passato, aveva chiarito la centralità dei caratteri della consapevolezza e della volontarietà nella qualificazione dell’azione ingiuriosa posta in essere dal
donatario (cfr. Cass. n. 10614/1990: «la revoca della donazione per ingratitudine sotto il profilo della ingiuria grave richiede un’azione consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante, risolvendosi in una manifestazione di perversa animosità verso il donante idonea a giustificare il pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità. Per contro i comportamenti del donatario (nella specie, interruzione degli studi, uso di stupefacenti e commissione di reati) che, pur potendo comportare dolorose reazioni nell’animo del donante, non sono tuttavia volti direttamente a colpirlo, non giustificano la revoca della donazione elargita in epoca anteriore.»).
La Corte, condividendo le difese svolte dalla convenuta, ritiene l’insussistenza della grave ingiuria.
In particolare, tutto quanto in atti porta a ritenere che il ricorso in Cassazione proposto dalla XX rappresenti il naturale epilogo dell’iter giudiziario volto a fornire un sostegno, anche amministrativo, all’anziana madre, che la chiamata al 118-115 si configuri quale gesto espressivo di apprensione piuttosto che di avversione e disistima nei di lei riguardi e che l’ingiustificato rifiuto di rilasciare l’immobile di Forlì e di corrisponderle la richiesta indennità di occupazione nonché di rimborsarle le spese relative all’immobile di M. si sia posto quale comprensibile — nel quadro di sopravvenuta conflittualità dei rapporti tra le parti — meccanismo reattivo a pretese inaspettate, seppur legittime, e non quale concretizzazione di un pervicace accanimento contro il patrimonio morale del donante.
Giova appena precisare, in ultimo, che l’episodio di violenza fisica asseritamente subito dalla WW il 16.09.2013 non è stato provato: da un lato, infatti, nessuna prova o indizio emerge, in atti, della responsabilità della XX e, dall’altro, il relativo procedimento penale è stato archiviato e tale circostanza è stata giustamente utilizzata dal Giudice quale prova atipica ai fini del proprio convincimento.
Pertanto, la Corte ritiene che l’appello debba essere rigettato, con conseguente condanna della parte appellante al pagamento delle spese di lite in favore della parte appellata, secondo il principio della soccombenza.
Il compenso di avvocato, avuto riguardo al valore indeterminabile della controversia, di complessità media, ed ai parametri di cui al DM 55/2014, come modificato dal DM 37/2018, applicati i compensi medi, ad eccezione della fase istruttoria, per la quale vengono applicati i valori minimi, può essere liquidato come segue: € 2.398 per la fase di studio, € 1.585 per la fase introduttiva, € 2.457 per la fase di trattazione ed € 4.083 per la fase decisoria, per un totale di € 10.523. Spettano, inoltre, il rimborso delle spese forfettarie, nella misura del 15% del compenso liquidato, e gli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da WW avverso la sentenza n. 718/2019 del Tribunale di Forlì del 19 agosto 2019, pubblicata in data 26.08.2019, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
– rigetta l’appello;
– condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore dell’appellata, spese che liquida in € 10.523,00 oltre rimb. forf. 15% e accessori di legge;
– dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, a norma dell’art. 13, comma 1 bis del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 25.7.2022. Il Consigliere estensore
dott. Luisa Poppi
Il Presidente
dott. Carla Fazzini