Come escludere un immobile dalla comunione legale?


Acquisto casa dopo il matrimonio: come fare in modo che resti bene personale di un solo coniuge.
Anche in una coppia in comunione dei beni è possibile escludere una casa dalla comunione legale: fare cioè in modo che questa appartenga solo al coniuge che la ha acquistata con il proprio denaro. Tuttavia, a tal fine, è necessario che anche l’altro coniuge partecipi al rogito notarile e renda apposita dichiarazione. Diversamente il bene rimane in comproprietà del marito e della moglie.
La giurisprudenza – e in particolare la Cassazione [1] – ha più volte spiegato come escludere un immobile dalla comunione legale dei beni. Ecco le istruzioni che bisogna seguire al fine di ottenere tale risultato.
Indice
Come funziona la comunione dei beni tra marito e moglie
Come noto, per la coppia di coniugi sposata in comunione dei beni avviene che tutti i beni – mobili o immobili – acquistati dopo il matrimonio sono di proprietà comune: ciascun coniuge cioè vanta una quota pari al 50% della proprietà del bene. Tale quota non può essere ceduta fino a quando permane la comunione stessa ossia finché la coppia è sposata. La comunione infatti cessa in caso di separazione o di decesso di uno dei due coniugi.
In regime di comunione, non importa quale denaro sia stato utilizzato per l’acquisto dei beni: anche se questi sono stati pagati da un solo coniuge, anche l’altro vanta automaticamente il diritto di comproprietà.
Quindi, ad esempio, se il marito acquista una casa con il denaro guadagnato dal proprio lavoro ed eventuali risparmi precedentemente accumulati in banca, l’immobile cade in comunione.
I beni che uno dei coniugi acquista per usucapione cadono nella comunione legale a condizione che l’effetto dell’acquisto si realizzi durante il matrimonio. Il momento determinante l’acquisto si identifica con la maturazione del termine legale di ininterrotto possesso richiesto dalla legge.
Cosa non rientra nella comunione
Per legge, alcuni beni non ricadono nella comunione legale. Questi sono:
- i beni acquistati dai coniugi prima del matrimonio;
- i beni ricevuti in donazione o in eredità anche dopo il matrimonio;
- i beni di uso strettamente personale (abiti, accessori, ecc.);
- i beni destinati all’esercizio della professione del coniuge (un computer, uno smparthone);
- la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa
- il risarcimento dei danni;
- i beni acquistati con il ricavato dalla vendita dei beni predetti (purché ciò sia chiaramente dichiarato nell’atto d’acquisto).
Tali beni quindi rientrano nel patrimonio personale del coniuge che ne diventa titolare esclusivo e non è tenuto a procedere alla divisione neanche in caso di separazione.
Quanto al denaro guadagnato dal lavoro personale di ciascun coniuge, questo non entra nella comunione finché la coppia è sposata. Il che significa che il titolare di tali somme è libero di farne ciò che vuole (spenderle, risparmiarle, investirle, ecc.), ma gli eventuali acquisti effettuati con esse rientrano nella comunione (sempre che non si tratti di uso strettamente personale o destinati all’esercizio della professione). Attenzione però: se tale denaro non viene speso (come nel caso in cui rimanga depositato in banca), in caso di separazione esso andrà diviso in misura paritaria tra i coniugi.
Così, ad esempio, la moglie che abbia depositato sul conto tutti i proventi derivanti dal proprio lavoro, vivendo con i soldi guadagnati del marito, dovrà poi dividerli con quest’ultimo qualora la coppia decida di separarsi.
Come non far cadere un immobile nella comunione dei beni
In linea generale, l’acquisto di immobili (case, terreni, ecc.) effettuato dopo il matrimonio ricade nella comunione indipendentemente da chi ne paga il prezzo o il mutuo alla banca).
Tuttavia è possibile escludere tali beni dalla comunione quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto (il cosiddetto rogito notarile). A tal fine è necessario che l’altro coniuge sia informato di ciò: egli infatti deve partecipare all’atto d’acquisto e sottoscriverlo.
Come chiarito dalla Cassazione, se una persona sposata in regime di comunione legale dei beni intende acquistare un immobile come “bene personale” (cioè non soggetto al regime di comunione legale) è necessario che:
- il prezzo per l’acquisto dell’immobile sia pagato con “denaro personale” di uno solo dei coniugi. È ciò che succede, ad esempio, quando si tratta di denaro conseguito prima del matrimonio o per eredità o per donazione o a seguito della vendita di un bene personale;
- l’altro coniuge intervenga all’atto di compravendita notarile (il cosiddetto rogito) e dichiari che il coniuge acquirente sta utilizzando, per il pagamento del prezzo, denaro suo personale.
Secondo la Suprema Corte, affinché si possa assegnare alla dichiarazione del coniuge non acquirente – verbalizzata nell’atto pubblico di compravendita – valore di confessione di un fatto storico e, come tale, revocabile solo per errore di fatto o violenza, è necessaria un’indicazione precisa della provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto: provenienza che, come detto, non deve essere di provenienza della comunione.
Per escludere l’acquisto di un bene dal regime di comunione legale, che altrimenti automaticamente si instaura, non basta che il coniuge non acquirente esprima una sua generica volontà di non volere l’assoggettamento al regime di comunione né che tale coniuge effettui un generico riconoscimento della natura personale del denaro utilizzato, ma occorre che il denaro sia effettivamente di natura personale del coniuge acquirente.
note
[1] Cass. ord. n. 35086/2022.