Cass. civ, sez. lav., ord., 14 dicembre 2022, n. 36565
Presidente Leone – Relatore Calafiore
Rilevato che:
il Tribunale di Foggia – all’esito del giudizio ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, introdotto da F.E. per contestare le risultanze della c.t.u. che aveva riconosciuto il diritto alla pensione di inabilità e non alla indennità di accompagnamento – ha rigettato il ricorso sulla base delle risultanze della c.t.u. espletata in quella sede, posto che (pur in presenza della totale inabilità derivante dal diabete mellito complicato da esiti di frattura omero sx, esiti fratturativi anca dx, esiti di stabilizzazione vertebrale L4- L5, obesità stato depressivo reattivo, BPCO, esiti di rivascolarizzazione efficace mediante PCI), non risultavano presenti né l’impossibilità di deambulare, né l’impossibilità di compiere autonomamente gli atti fondamentali della vita; inoltre, la sentenza ha disposto la compensazione delle spese del giudizio per reciproca soccombenza;
avverso tale sentenza ricorre F.E. sulla base di un motivo;
resiste l’INPS con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza non comunicata.
Considerato che:
Con l’unico motivo, si denuncia la violazione della L. n. 18 del 1980, e L. n. 508 del 1988, e dell’art. 115 c.p.c., in relazione alla circostanza che le condizioni sanitarie accertate dalla c.t.u. riportate in termini di “(…) insufficienza statico-dinamica, instabilità posturale…Con conseguenze delle molteplici cadute…Perdita di sicurezza con un declino della funzionalità,…isolamento sociale. L’instabilità è una condizione oggettivamente osservabile, caratterizzata dalla precarietà di mantenimento dell’equilibrio durante la stazione erette e/o la marcia”, conducevano necessariamente ad un giudizio di sussistenza dei presupposti sanitari per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento che il tribunale aveva invece negato;
il ricorso è manifestamente infondato in relazione al prospettato vizio di violazione di legge sostanziale e processuale (vd. in proposito Cassazione civile sez. VI, 15/06/2022, n. 19260);
in tema di indennità di accompagnamento e con riferimento alla sua spettanza, la L. n. 18 del 1980, art. 1, richiede la contestuale presenza di una situazione di invalidità totale, rilevante per la pensione di inabilità civile ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 12, e, alternativamente, dell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure dell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con necessità di assistenza continua, requisiti, quindi, diversi dalla semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà (ma senza impossibilità)” (Così, ad esempio, Cass. n. 15882 del 2015);
sotto il contestato profilo, va rilevato che il Tribunale di Foggia ha attuato pienamente il principio affermato da questa Corte, motivando che il consulente incaricato, nel rispondere alle contestazioni formulate dalla difesa dell’istante, aveva chiarito in maniera esaustiva che “…le patologie riscontrate sulla persona dell’istante non risultano di entità tale da comportare l’impossibilità di deambulare o di compiere gli atti fondamentali della vita (…). Anche a seguito di chiarimenti a seguito di nuova visita peritale nel presente giudizio, il CTU ha ribadito che “Ai fini della rivalutazione, dopo essere state clinicamente esaminate le risultanze degli accertamenti clinici e strumentali soprattutto nelle affezioni dell’apparato cardiocircolatorio si conclude che trattasi di IMA con aumento delle troponine I e T ma senza sopraslivellamento del tratto ST;
né, a sostegno delle ragioni della ricorrente, può dedursi ammissibilmente che il giudice abbia fondato il suo convincimento su una inidonea valutazione delle prove proposte dalle parti, atteso che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940 del 2017);
in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese non possono essere poste a carico della ricorrente che ha reso la dichiarazione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c.;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.