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La prova dell’usucapione

31 Gennaio 2023 | Autore:
La prova dell’usucapione

Da quando decorre il termine di 20 anni per l’usucapione: quali prove bisogna fornire al giudice per intestarsi una casa o un terreno altrui. 

In tutte le cause, l’aspetto centrale del processo è la prova, ossia la dimostrazione del diritto fatto valere. Chi non adempie a tale onere, pur avendo astrattamente ragione, si vedrà rigettare la domanda dal giudice. In questa breve guida ci occuperemo di stabilire qual è la prova dell’usucapione, ossia cosa bisogna dimostrare, nel corso del giudizio di accertamento, per ottenere l’intestazione dell’immobile altrui. 

Non esiste, a ben vedere, una norma di legge che regoli quali prove bisogna fornire per ottenere l’usucapione; dovremo pertanto affidarci alle indicazioni della giurisprudenza.

Come si ottiene l’usucapione?

Spesso si ritiene che il solo fatto di aver detenuto per molto tempo un bene altrui possa essere sufficiente per far scattare l’usucapione. Ma non è così. Abbiamo più volte spiegato su queste stesse pagine cos’è e come funziona l’usucapione. In particolare si è detto che non basta il possesso del bene altrui per 20 anni e l’assenza di rivendicazioni giudiziali da parte del proprietario. Per far decorrere il termine ventennale è necessario che il possessore compia sul bene almeno un atto tale da manifestare la sua intenzione di atteggiarsi a esclusivo proprietario. 

È dunque chi rivendica l’usucapione a dover dimostrare di aver posto in essere tale comportamento. È ciò che i latini chiamavano animus possidendi uti dominus, ossia la volontà di tenere la cosa come propria mediante l’esercizio di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà.

Quali sono i comportamenti che dimostrano l’usucapione?

Abbiamo appena detto che l’onere della prova ai fini dell’usucapione spetta al possessore del bene, a colui ciò che ne chiede l’intestazione per averlo usato come se fosse proprio per almeno 20 anni. Durante tale periodo – lo sottolineiamo di nuovo – l’effettivo titolare non deve mai aver notificato un atto giudiziale per ottenere la restituzione dell’immobile: un comportamento del genere infatti interromperebbe il termine dell’usucapione. 

In cosa consiste la prova dell’usucapione? Come dicevamo in apertura, la legge non contiene un’elencazione ma, dalle numerose sentenze, si evince che deve trattarsi di un comportamento tale da denotare una “signoria” assoluta sul bene, incompatibile con l’altrui proprietà. Insomma, il possessore deve atteggiarsi a unico titolare del bene stesso nè deve compiere atti da cui desumersi un tacito riconoscimento dell’altruità del bene (ad esempio la richiesta di autorizzazione per effettuare lavori). Quali sono questi atti? Ad esempio il fatto di creare delle recinzioni come un cancello, una sbarra o qualsiasi altro ostacolo che impedisca a chiunque, ma soprattutto all’effettivo proprietario, di entrare all’interno dell’immobile.

Anche attività edili possono essere sufficienti a far partire il decoro dei 20 anni dell’usucapione. Si pensi a chi effettui delle ristrutturazioni in un appartamento, abbatta dei muri e lo trasformi radicalmente; o a chi costruisca su un terreno una stalla o un muro. Anche la modifica della destinazione d’uso dell’immobile rientra tra i poteri che un semplice detentore non potrebbe arrogarsi e che, pertanto, manifesta l’intenzione di atteggiarsi a proprietario. Si pensi a una persona che trasforma una civile abitazione in un negozio.

La semplice coltivazione di un terreno non è prova sufficiente degli elementi costitutivi dell’usucapione, perché, di per sé, non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere; occorre invece che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta come proprietario. Allo stesso modo il fatto di pagare le utenze di un appartamento non è sufficiente per l’usucapione.

Il promissario acquirente di un immobile che, in virtù di un preliminare di vendita, ha pagato il prezzo del bene e ottenuto anticipatamente la consegna dello stesso non è un possessore in grado di acquisirne la proprietà a titolo di usucapione, poiché detiene il bene in nome di altri.

Cosa succede se il possessore è in malafede?

Non è necessario che il possessore sia in buona fede per far scattare l’usucapione. Anche chi ben conosce il fatto che il bene sia di altri può invocare l’usucapione.

La Cassazione ha precisato che l’animus possidendi “non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere; l’animus possidendi consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui.

La prova dell’usucapione dei beni in comunione 

È molto più difficile rivendicare l’usucapione di un immobile in comproprietà tra più soggetti. E ciò perché ciascuno di questi, in quanto titolare di una quota del bene, è legittimato non solo ad usarlo ma anche a trattarlo come se fosse proprio. 

Non basta però che gli altri comproprietari si astengano dall’utilizzo del bene. Al contrario è necessario che il possessore compia degli atti che rendano impossibile l’uso del bene agli altri contitolari come, ad esempio, cambiare le chiavi della porta d’ingresso senza consegnare agli altri la copia, sbarrare l’accesso con un cancello elettrico di cui solo lui ha il telecomando e così via. Potrebbe anche essere sufficiente modificare la destinazione dell’intero bene senza chiedere l’altrui consenso. Non basta, dunque, la prova del semplice non uso da parte degli altri comproprietari. Non basta neanche la prova di atti di mera gestione, né il semplice consenso degli altri contitolari.

La prova dell’usucapione dei beni condominiali 

Anche per la materia condominiale vale quanto abbiamo appena detto per i beni in comunione indivisa. Il singolo condomino può usucapire un posto auto, il terrazzo o altre parti comuni non solo possedendoli come se fosse il proprietario – in quanto avrebbe comunque diritto a farlo poiché la legge glielo consente – ma impedendo a tutti gli altri condomini di accedervi. Così, per usucapire un posto auto non basta parcheggiare il veicolo sempre nello stesso posto ma è necessario delimitarlo con catene e altri sistemi che impediscano a terzi di accedervi. Per usucapire il lastrico solare bisogna creare una porta con un lucchetto o una catena di cui nessuno, se non il soggetto interessato, abbia le chiavi.

Pertanto il condomino che rivendica di aver usucapito il bene comune deve provare di averlo sottratto all’uso comune per tutto il periodo utile all’usucapione e quindi deve dimostrare di avere tenuto una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univoci rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a questi ultimi l’intenzione di non possedere più come semplice compossessore.

Non basta quindi la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, dal momento che il diritto in comproprietà è imprescrittibile.

Che succede se il bene è stato dato in prestito?

L’usucapione può scattare anche su beni dati in prestito. Tuttavia, è molto più difficile rivendicare l’usucapione quando il proprietario è un familiare o un amico. E ciò per via del possibile atteggiamento di accondiscendenza che quest’ultimo potrebbe avere nei confronti del detentore, chiudendo un occhio sui comportamenti da questi tenuti.  

Come spiega più volte la giurisprudenza, il possesso utile a usucapire non deve essere conseguenza di accondiscendenza dovuto ad amicizia o conoscenza: gli atti compiuti con l’altrui tolleranza non servono ad acquistare il possesso. Si considerano atti di tolleranza, gli atti di godimento di portata modesta e tali da incidere molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possessore.

Per valutare se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà è compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso utile a usucapire, si deve considerare la durata dell’attività stessa: se essa è prolungata, difficilmente può parlarsi di tolleranza. 

Ad esempio, è insufficiente per provare il possesso la prolungata disponibilità delle chiavi da parte dell’attore, fratello della proprietaria, e l’utilizzo da parte dello stesso di uno dei locali.



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