Handicap e mantenimento figli: obblighi e diritti


Quanto tempo deve durare il mantenimento di un figlio con disabilità da parte del padre?
In caso di separazione di una coppia, ai figli è dovuto l’assegno di mantenimento da parte del genitore non convivente. L’assegno permane fino a quando i figli non raggiungono l’indipendenza economica o comunque non diventano potenzialmente in grado di procurarsela. In ogni caso il mantenimento cessa una volta superati i 34 anni di età. Ma cosa succede quando il figlio è disabile e non può lavorare a causa di un grave problema fisico o psichico? A fare il punto della situazione degli obblighi e diritti in tema di mantenimento dei figli con handicap è stata più volte la giurisprudenza. Ecco quali sono le linee guida seguite dai giudici.
Indice
Regole sul mantenimento dei figli
Le regole sul mantenimento dei figli possono essere sintetizzate nel seguente modo:
- entrambi i genitori devono mantenere i figli, ciascuno in proporzione alle proprie capacità economiche;
- quest’obbligo non cessa neanche in caso di separazione della coppia. Con la differenza che il genitore collocatario (quello cioè con cui vivono i figli) deve adempiere all’obbligo di mantenimento attraverso la gestione e le spese quotidiane mentre il genitore non collocatario vi provvede con il versamento di un assegno mensile e la partecipazione, pro quota, alle spese straordinarie;
- i figli hanno diritto a mantenere lo stesso tenore di vita dei genitori: sicché tanto più questi sono benestanti, tanto maggiore sarà l’assegno di mantenimento;
- i figli minori hanno sempre diritto al mantenimento;
- i figli maggiorenni hanno diritto al mantenimento solo se: a) stanno studiando con profitto; b) oppure, in assenza di studio, si danno da fare per cercare un lavoro. Lo stato di disoccupazione non può durare in eterno sicché, raggiunti i 30/35 anni (a seconda del percorso di studi intrapreso dal figlio), il diritto al mantenimento cessa comunque;
- i figli portatori di grave handicap sono equiparati ai figli minorenni, pertanto hanno sempre diritto ad essere mantenuti;
- se il figlio perde il mantenimento per aver accettato un’offerta di lavoro, detto mantenimento non rivive in caso di successiva perdita del posto, anche se ciò avviene dopo breve tempo.
Diritti dei figli con handicap
Il figlio con un grave handicap, certificato dalla commissione medica dell’Asp e pertanto portatore della cosiddetta “legge 104” ha diritto ad essere mantenuto da entrambi i genitori per tutta la vita, proprio al pari dei minorenni. Inoltre, egli – come ogni altro figlio – può rivendicare un assegno proporzionato al tenore di vita dei genitori. Difatti il mantenimento dovuto ai figli non deve tenere conto solo delle loro esigenze di sopravvivenza (vitto e alloggio) ma anche di tutte le spese necessarie a una normale vita di relazione, allo sport, all’istruzione (ivi compresa l’università), lo svago con gli amici, l’abbigliamento. Insomma, i genitori devono prendersi cura non solo dei bisogni vitali del figlio ma anche di quelli voluttuari, sempre in proporzione alle rispettive capacità economiche.
Il richiamo alla legge n. 104 del 1992 è stato effettuato al solo fine di indicare con precisione i requisiti sostanziali che il giudice civile deve incidentalmente verificare ai fini dell’applicabilità della norma.
Doveri dei genitori di figli con handicap
Sul versante opposto, il genitore di un figlio con handicap grave lo deve mantenere proprio al pari di un figlio minorenne.
Dunque, afferma la Cassazione, in caso di separazione o divorzio, per i figli maggiorenni con un grave handicap, riconosciuto dalla legge 104, valgono le stesse regole previste per i figli minori riguardo a:
- mantenimento;
- assegnazione della casa coniugale;
- visite del genitore non collocatario.
Tuttavia ai figli maggiorenni con handicap non si applica la disciplina sull’affidamento (congiunto o condiviso) che vale invece solo per i minorenni. La patria potestà infatti cessa con il raggiungimento della maggiore età del figlio. Diversamente si dovrebbe concludere – precisano i giudici – che il figlio portatore di handicap, magari solo fisico, anche se maggiorenne, si possa considerare in automatico privo della capacità di agire. L’intento del legislatore è di creare una figura ulteriore protettiva dei figli maggiorenni con handicap. E questo con la volontà di protrarre, anche dopo i 18 anni, per un tempo indeterminato, il dovere dei genitori di curare e accudire il figlio la cui condizione fisica o psichica richieda un impegno equiparabile a quello del genitore di un minore.
La Suprema corte, afferma il dovere di mantenere i figli maggiorenni con handicap grave, estendendo le norme previste per il mantenimento dei minori (articolo 337 del Codice civile). Spetterà poi al giudice valutare il grado di autonomia e la necessità o meno di un intervento assistenziale permanente. Quindi, tanto la misura del mantenimento quanto la presenza dei genitori nella vita del figlio disabile dipenderà dal grado di disabilità e dall’autonomia di questi.
Il figlio maggiorenne con handicap ha diritto a vivere nella casa familiare, e il genitore non convivente non può, per effetto della separazione o del divorzio, sentirsi esonerato dai compiti quotidiani di assistenza e di accudimento scaricandone il peso, per un tempo indefinito sul genitore convivente. Il giudice può intervenire in caso di mancato rispetto di questo dovere.
note
[1] Cass. sent. n. 2670/2023. Sin dall’entrata in vigore del nuovo articolo 155 quinquies del codice civile la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sulla portata del secondo comma della norma, con particolare riferimento alla parte che ha previsto l’estensione integrale ai figli maggiorenni portatori di handicap grave delle disposizioni previste in favore dei figli minori. Al proposito deve ritenersi che la norma non ha inteso determinare in via generale una generalizzata dichiarazione di incapacità dei portatori di handicap, equiparandoli ai minorenni, poiché il richiamo alla legge n.104 del 1992 è stato effettuato al solo fine di indicare con precisione i requisiti sostanziali che il giudice civile deve incidentalmente verificare ai fini dell’applicabilità della norma. L’interpretazione della disposizione non deve arrestarsi perciò al suo dato letterale e va elaborata in modo sistematico, avuto riguardo ai principi generali del nostro ordinamento in tema di tutela dei disabili e in generale delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, per evitare risultati paradossali e discriminatori nei confronti dei figli maggiorenni disabili che conservano pienamente integra la capacità di intendere e volere. L’intento del legislatore, infatti, è quello di creare una vera e propria figura protettiva dei figli maggiorenni portatori di handicap, ulteriore rispetto a quelle previste dalla legge, con la volontà di protrarre, anche dopo il compimento della maggiore età e per un tempo indeterminato, il dovere genitoriale di cura e di accudimento del figlio la cui condizione fisica o psichica richieda un impegno in tal senso equiparabile a quello del genitore del figlio minore. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato in esecuzione del principio di diritto secondo cui «in tema di regolamentazione della crisi familiare in relazione ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, ai sensi della legge n. 104 del 1992, in forza dell’art. 337 septies c.c. (già art. 155-quinquies c.c.) trovano applicazione le sole disposizioni in tema di visite, di cura e di mantenimento da parte dei genitori non conviventi e di assegnazione della casa coniugale, previste in favore dei figli minori, ma non anche quelle sull’affidamento, condiviso od esclusivo».