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Cosa rischia chi ricarica l’auto elettrica con la corrente del condominio?

31 Gennaio 2023 | Autore:
Cosa rischia chi ricarica l’auto elettrica con la corrente del condominio?

Allaccio abusivo alla luce condominiale e furto di energia elettrica: quali rischi legali.  

Non capita di rado che qualche condòmino utilizzi la corrente condominiale per scopi personali come, ad esempio, per ricaricare l’auto elettrica, per alimentare un tosaerba o per portare luce dentro il garage privato. Ma quali sono le pene per il furto di corrente elettrica del condominio? E, più nel dettaglio, cosa rischia chi ricarica l’auto elettrica con la corrente del condominio? 

La questione è stata oggetto di lunghi dibattiti in giurisprudenza. E ciò per via del fatto che, quando il codice penale definisce il reato di furto, parla di appropriazione della “cosa mobile altrui” mentre la corrente è un bene impalpabile, non visibile e privo di una propria consistenza materiale. Tuttavia, agli effetti della legge penale, si considera «cosa mobile» anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico.

La crescente diffusione di vetture elettriche che possono essere ricaricate attraverso la rete elettrica ha suggerito di soffermarsi sul problema, peraltro molto più ricorrente di quanto si sarebbe portati a credere. L’argomento dei “prelievi occultidi luce non involge quasi mai grandissimi interessi economici, ma la sua soluzione implica sempre sottile e ardua questione giuridica, dalla cui decisione dipende la possibilità di configurare o meno una condotta criminosa e quindi la sussistenza di un reato. 

Proprio per questo la Suprema Corte di Cassazione ha ormai sdoganato la possibilità di parlare di furto di energia elettrica comune (e non di semplice appropriazione indebita) nel caso di un condòmino che, mediante allaccio abusivo a valle del contatore condominiale, si impossessi di energia elettrica destinata all’alimentazione di apparecchi e impianti di proprietà comune.

Anzi, a ben vedere non si tratta di furto comune ma di furto aggravato quando il comportamento avviene attraverso l’impiego di un mezzo fraudolento. Leggi sul punto Furto di energia elettrica: cosa si rischia?

L’abrogazione dell’articolo 627 del Codice penale nel 2016 ha sollevato la questione di come considerare la condotta di un condòmino che abusivamente preleva energia elettrica dall’impianto comune per la sua autovettura elettrica. La Cassazione, con la sentenza del 2021 [2], ha stabilito che tale condotta integri il delitto di furto. La pronuncia ha precisato che il prelievo di energia elettrica, per la sua stessa natura, comporta una sottrazione di una cosa comune che può essere utilizzata da più persone e, pertanto, integra il reato di furto.

In conclusione, la questione dei prelievi occulti di energia elettrica per autovetture presenta aspetti giuridici complessi e delicati, e la decisione sulla configurabilità di un reato dipende dall’interpretazione delle norme giuridiche e dalla valutazione dei fatti specifici di ciascun caso.

Tuttavia, per poter parlare di reato, non basterà uno sporadico collegamento alla rete condominiale. Al contrario bisognerà dimostrare che la condotta sia stata talmente abituale da non poter essere giustificata come semplice negligenza.

Sempre secondo la Cassazione [3] chi, in maniera continuata, si approvvigiona di corrente elettrica grazie alla manomissione del contatore dei consumi e all’allaccio alla rete elettrica del condominio realizzato illegalmente risponde di furto pluriaggravato dalla circostanza di aver usato violenza sulle cose e di aver impiegato mezzi fraudolenti. E, soprattutto, soggiace a una pena che va da tre a dieci anni: il che esclude la possibilità di ottenere l’archiviazione per “tenuità del fatto”. 

Inoltre, in un caso come quello risolto, dove l’imputazione è elevata anche per la continuazione questa può rilevare ai fini dell’abitualità nel reato che è anch’essa causa ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità.


note

[1] Cass. sent. n. 33904/2022 del 27.04.2022.

[2] Cass. sent. n. 115/2021.

[2] Cass. sent. n. 40396/2022


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