È valido l’accordo che deroga alle distanze legali tra costruzioni?


Distanze legali tra terreni confinanti: l’accordo che deroga il limite di tre metri deve essere scritto?
L’articolo 873 del codice civile stabilisce quali sono le distanze legali tra costruzioni. Tale distanza, se non diversamente stabilito nei regolamenti comunali, deve essere di tre metri (salvo ovviamente che le costruzioni siano tra loro unite o aderenti).
Ci si chiede più volte se tale limite possa essere violato se c’è un’intesa tra i proprietari confinanti o se, al contrario, quanto imposto dalla legge non è suscettibile di eccezioni. In altri termini è valido l’accordo che deroga alle distanze legali tra costruzioni?
La questione ha spesso impegnato la giurisprudenza. Di recente la Cassazione ha fornito importanti chiarimenti [1]. Di questi e dell’indirizzo sposato sino ad oggi dalle aule di tribunale daremo spiegazione qui di seguito.
Indice
Quali sono le distanze tra costruzioni?
Le costruzioni su fondi confinanti appartenenti a proprietari diversi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute ad una distanza:
- non minore di 3 metri le une dalle altre, fermo restando che nei regolamenti locali/comunali può essere stabilita una distanza maggiore;
- una distanza minima di 10 metri fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, in tutte le zone omogenee del territorio comunale ad eccezione dei centri storici, nei quali per gli interventi di risanamento e di ristrutturazione, le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti fra i volumi edificati preesistenti. Tuttavia, sono ammesse distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
Nel caso in cui un soggetto costruisca un manufatto o pianti alberi senza rispettare le distanze di legge, occorre distinguere a seconda che le norme violate siano quelle:
- dettate dal codice civile (o da queste richiamate) o da altre norme di legge quali il DM 2 aprile 1968 n. 1444: il vicino può chiedere la rimozione dell’opera o della pianta che viola le distanze (riduzione in pristino) e il risarcimento del danno;
- altre regolamentazioni da osservarsi nelle costruzioni: il vicino può chiedere solo il risarcimento del danno.
Quando è possibile derogare alle distanze
Vediamo ora se i proprietari dei terreni confinanti possono, con un accordo privato, derogare alla disciplina legale della distanza tra edifici. Si ritiene a riguardo che:
- le distanze previste dal codice civile possono essere derogate. Ne deriva così la possibilità di costituire una servitù avente come contenuto il diritto di tenere l’edificio a distanza minore di quella legale
- le distanze superiori ai 3 metri eventualmente fissate da regolamenti locali/comunali e dalle normative speciali, in particolare quelle antisismiche, sono invece inderogabili.
In buona sostanza, se il Comune non ha dettato alcuna norma sulle distanze legali, si applica la regola generale dei tre metri prevista dal codice civile, sicché tale distanza può essere derogata dai confinanti. Se invece il Comune ha fissato una distanza diversa da quella del codice civile (necessariamente superiore, non inferiore a tre metri) allora questa non può essere derogata. Tutt’al più le parti potranno solo stabilire in che misura dovranno ripartire le suddette distanze tra i rispettivi fondi [3].
Così la Cassazione [2] ha detto che le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi sono dettate a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico e, pertanto, non sono derogabili dai privati. Esse non mirano soltanto ad evitare intercapedini dannose o pericolose, ma anche a tutelare l’assetto urbanistico di una determinata zona e la densità degli edifici.
Come si derogano le distanze legali tra terreni e costruzioni confinanti?
Ipotizziamo il caso di due vicini di casa in ottimi rapporti tra loro. Uno dei due chiede all’altro di poter realizzare un gazebo sul proprio giardino a meno di tre metri dal confine, per il quale ha già ottenuto il permesso di costruire del Comune. L’altro lo autorizza a voce, non avendo alcun problema all’avvicinamento della costruzione. Dopo un po’, però, quest’ultimo muore e al suo posto gli eredi si rivolgono al vicino chiedendo l’arretramento del gazebo (il problema potrebbe anche porsi in caso di vendita del terreno).
Ebbene, la questione che ora si pone è se un’autorizzazione verbale alla deroga delle distanze legali possa essere sufficiente. La risposta fornita dalla Cassazione [1] è negativa: ci vuole sempre l’atto scritto. E non basta una semplice dichiarazione unilaterale del titolare del terreno: è necessario un vero e proprio contratto che costituisca una servitù e che, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale, espliciti chiaramente detta volontà.
Il precedente della Cassazione
La vicenda analizzata dalla Suprema Corte [1] è proprio quella che abbiamo rappresentato poc’anzi nell’esempio: l’autorizzazione a costruire a distanza inferiore ai tre metri era stata concessa solo verbalmente. Ragion per cui, secondo i giudici, essa non aveva alcun valore.
La Suprema corte ha ricordato che in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati. Tali deroghe, se concordate, sono invalide; né tale invalidità può venire meno per l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici.
Peraltro, a riguardo delle deroghe consentite solo in caso di distanza prevista dal codice civile, non è sufficiente un’autorizzazione scritta unilaterale del proprietario del fondo vicino, che acconsenta alla corrispondente servitù. Al contrario è necessario un contratto che, pur senza ricorrere a formule sacramentali, dia luogo alla costituzione di una servitù prediale, ex art. 1058 cod. civ., esplicitando, in una dichiarazione scritta, i termini precisi del rapporto reale tra vicini. L’accordo, risolvendosi in una menomazione di carattere reale per l’immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio, deve far venir meno il limite legale per il proprietario del fondo dominante, che così acquista la facoltà di invadere la sfera esclusiva del fondo servente.
note
[1] Cass. ord. n. 3304/2023
[2] Cass. , sez. II , 08/10/2021 , n. 27373. Cass., sez. II , 06/11/2020 , n. 24827. T.A.R. , L’Aquila , sez. I , 06/12/2021 , n. 543.
[3] Cass. sent. 06/11/2020, n.24827.
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