Cosa fare in caso di diffamazione su Facebook?


Offese sui social e su Facebook: qual è la pena per chi diffama e come si può difendere la vittima? La denuncia e la richiesta di risarcimento danni, anche a Facebook stesso.
La diffamazione su Facebook è un fenomeno sempre più diffuso, a causa della crescente popolarità dei social network. Purtroppo, molte persone si sentono al sicuro dietro uno schermo e si sentono libere di scrivere ciò che vogliono, senza preoccuparsi delle conseguenze legali delle loro azioni. Questo comportamento può causare gravi danni alla reputazione di un individuo o di un’azienda e può avere conseguenze durature. Tuttavia, esistono mezzi legali per proteggersi dalla diffamazione su Facebook e riparare i danni causati. Ed allora cosa fare in caso di diffamazione su Facebook?
In questo articolo, esamineremo cosa si intende per diffamazione su Facebook, quali sono le conseguenze legali di questo comportamento, come raccogliere prove e cosa fare se si è vittime di diffamazione su questo social network. Scopriremo inoltre quali sono le possibili azioni legali che possono essere intraprese sia nei confronti di chi pubblica il posto che di Facebook stesso. Difatti, alcuni giudici ritengono personalmente responsabile il social network che, nonostante la segnalazione dell’utente vittima delle offese, non abbia cancellato il post.
Leggendo questo articolo, potrai ottenere informazioni utili per proteggere la tua reputazione online e sapere come difenderti in caso di diffamazione su Facebook. Ma procediamo con ordine.
Indice
- 1 Quando si può offendere una persona?
- 2 Quando la diffamazione su internet è reato?
- 3 Quando la diffamazione su Facebook è reato?
- 4 Quando la diffamazione su Facebook non è reato?
- 5 Cosa si rischia per una diffamazione su Facebook?
- 6 Cosa fare in caso di diffamazione su Facebook?
- 7 Cosa fare se Facebook non cancella il post offensivo?
Quando si può offendere una persona?
L’offesa è di per sé illegale. Il diritto di critica invece no. Questo significa che una persona che esprime un giudizio personale, con moderazione e senza attaccare gratuitamente l’altrui moralità personale o professionale, non commette diffamazione.
È ben lecito esprimere un giudizio di merito su un politico o su una associazione, ma non è consentito usare toni dispregiativi che possano pregiudicarne l’onore. Si può, ad esempio, sostenere di non essere affatto d’accordo con il programma elettorale di un candidato politico, di non avere alcuna fiducia in lui, ma non anche che questi è un millantatore, imbroglione o corrotto Si può fare una recensione negativa di un locale, sostenendo di non aver mangiato bene o di non essere stati trattati adeguatamente dal personale, ma non anche dire che, in quel luogo, i turisti vengono presi in giro.
C’è un caso in cui l’eventuale diffamazione (non solo su Facebook) è tollerata dal nostro ordinamento e pertanto non può essere punita: quando questa è l’istintiva e immediata reazione a un reato subito. Ad esempio una persona che viene diffamata da un’altra con un post su Facebook ben potrebbe, a sua volta, commentare l’episodio con un ulteriore post diffamatorio nei confronti del reo: egli infatti non commetterebbe reato trattandosi appunto di una ritorsione generata dall’altrui illecita condotta.
Quando la diffamazione su internet è reato?
Ci sono diversi modi per diffamare una persona su Facebook. In alcuni casi scatta il reato, in altri no.
Per comprendere però questo aspetto e prima di passare ai casi pratici, dobbiamo fare una premessa e spiegare qual è la differenza tra diffamazione e ingiuria.
Come molti già sanno, la diffamazione si ha quando una persona offende la reputazione di un’altra in sua assenza ma in presenza di almeno due o più persone. Un articolo su un blog può integrare la diffamazione; un post pubblicato sul proprio profilo Facebook può essere diffamazione. La diffamazione è un reato e pertanto consente alla vittima di sporgere querela. Se la diffamazione viene posta in essere sul web la pena è più pesante per via dello strumento virale utilizzato: si parla, a riguardo, di diffamazione aggravata.
L’ingiuria invece non è un reato. L’ingiuria si verifica quando una persona offende un’altra riferendosi direttamente a quest’ultima e dunque in sua presenza, indipendentemente dal fatto che a sentire o leggere l’offesa ci siano altri soggetti. Per punire l’ingiuria non si può presentare una querela ma si può solo intentare un giudizio civile di risarcimento. All’esito del processo il giudice condannerà il colpevole a pagare non solo i danni alla vittima ma anche una sanzione allo Stato da 100 a 8.000 euro.
Per l’ingiuria online non è necessario che la vittima e il colpevole siano connessi nello stesso momento. Ad esempio, si ha ingiuria quando una persona offende un’altra in una chat di gruppo, anche se la parte lesa legge il messaggio in un momento successivo.
Quando la diffamazione su Facebook è reato?
Venendo a Facebook, si ricade nella diffamazione – e quindi nel reato – quando una persona pubblica un post offensivo riferendosi a una persona determinata.
L’offesa generica, senza fare nomi, non costituisce reato a meno che l’identità della vittima non possa essere facilmente riconosciuta dai terzi. Difatti, quando è facile risalire al soggetto a cui l’offesa è diretta, benché non individuato nominativamente, si configura comunque diffamazione.
Lo stesso dicasi se l’offesa è integrata da un commento in un post altrui.
Secondo la giurisprudenza, scatta la diffamazione anche quando, al posto delle parole, si usano gli emoji. Le grafiche che rappresentano, ad esempio, la faccia del pagliaccio o gli escrementi sono tali da ledere la reputazione anche in assenza di testo.
Quando la diffamazione su Facebook non è reato?
La diffamazione su Facebook non è reato quando l’offesa diretta alla vittima viene riportata in uno scambio di reciproci commenti. Si pensi al caso di chi, sotto un post, faccia un commento denigratorio nei confronti dell’autore di quello stesso post. In questa ipotesi infatti scatta l’ingiuria. E ciò perché la discussione online tra due persone, seppur in contesti temporalmente diversi, non può essere considerata come diffamazione: l’offesa difatti è rivolta direttamente alla vittima e non viene invece proferita in una conversazione con terzi (come invece la diffamazione richiede).
Lo stesso dicasi nel caso di due persone che abbiano uno scambio di reciproci commenti sotto il post di un terzo soggetto.
Abbiamo poi detto che la diffamazione su Facebook non è reato quando è la reazione a un precedente reato subito: si pensi a chi è stato diffamato e reagisce, a sua volta, con un’altra diffamazione.
Cosa si rischia per una diffamazione su Facebook?
La pena per la diffamazione su Facebook è più elevata della diffamazione semplice. Come detto infatti c’è l’aggravante costituita dall’utilizzo di un mezzo di pubblicità che consente la facile diffusione delle frasi offensive.
In caso di diffamazione a mezzo internet, su Facebook o su altri social network la pena prevista è la reclusione fino a tre anni.
Oltre a ciò si aggiunge la richiesta di risarcimento del danno che può essere presentata nello stesso processo penale, tramite la costituzione di parte civile, oppure con autonomo giudizio civile.
Cosa fare in caso di diffamazione su Facebook?
Se ricorrono gli estremi della diffamazione che abbiano indicato sinora, la vittima può presentare una querela entro 3 mesi da quando ha avuto conoscenza del post.
La querela può essere presentata alla polizia postale, ai carabinieri o direttamente in Procura della Repubblica.
È bene presentare la stampa di uno screenshot della schermata da cui si possa leggere facilmente l’offesa. Per evitare contestazioni di controparte, è possibile recarsi da un notaio e chiedere l’autentica della fotocopia, in modo che questa venga “accertata” da un pubblico ufficiale.
Per completare la prova sarà possibile avvalersi della testimonianza di un terzo soggetto che abbia letto il post offensivo e possa confermarne l’esistenza dinanzi al giudice nel corso del processo penale.
Un altro aspetto fondamentale da considerare nella diffamazione su Facebook è la relazione tra il contenuto offensivo e l’autore. La giurisprudenza italiana ha spesso sottolineato l’importanza di una prova inequivocabile che dimostri la correlazione tra il commento e l’individuo responsabile. Infatti, in passato sono state annullate sentenze in cui i commenti non potevano essere collegati in modo univoco all’autore presunto. Di norma, i giudici tendono a ricondurre il messaggio al soggetto sulla base dei dati di registrazione, purché siano sufficientemente identificativi.
Nel caso in cui il profilo utilizzato per la diffamazione sia falso, è possibile risalire all’autore del reato grazie all’intervento della Polizia Postale e dei consulenti informatici incaricati dal giudice. Questi professionisti possono richiedere a Facebook l’accesso al server utilizzato dalla pagina per recuperare l’indirizzo IP utilizzato dall’autore del post diffamatorio.
Cosa fare se Facebook non cancella il post offensivo?
La prima tutela che la vittima di diffamazione su Facebook può esperire è la segnalazione a Facebook stesso. Ma che fare se il social network non cancella la frase? Secondo il tribunale di Milano (sentenza del 2 febbraio 2023), Facebook deve rimuovere i post del cui contenuto diffamatorio è pienamente consapevole. In caso contrario deve pagare il risarcimento danni nei confronti della vittima per non aver prestato tutela ai suoi diritti.
Facebook riveste una posizione di garanzia, in base alla quale è certo estraneo alla originaria commissione dell’illecito e tuttavia ne diventa giuridicamente responsabile se evita, per inerzia, di prolungarne le conseguenze. «In altre parole – osserva la sentenza -, all’hosting provider si rimprovera una condotta commissiva mediante omissione e, quindi, di aver concorso nel comportamento lesivo altrui a consumazione permanente».
Quanto alla conoscenza da parte di Facebook della natura illecita delle pagine pubblicate, determinante è la segnalazione e la richiesta di rimozione fatta dalla vittima. Tanto basta al Tribunale per potere affermare che Facebook sia a conoscenza della diffusione sulla propria piattaforma di contenuti giudicati diffamatori.
Non soccorre l’esercizio del diritto di critica. In caso contrario, infatti, «si attribuirebbe a ciascuno il diritto di attribuire prima, e diffondere poi, anche tramite social network, notizie in merito alla perpetrazione di reati sulla base di mere intime convinzioni».