Quando un genitore non deve versare il mantenimento al figlio?


L’obbligo di pagare gli alimenti ai figli non scatta quando un genitore non ha la capacità economica per farlo: non è detto che si debba provvedere alle esigenze del figlio solo con il denaro.
In linea generale, la legge stabilisce che ciascun genitore deve mantenere i figli. E ciò vale anche quando la coppia si separa. Tanto il padre quanto la madre deve quindi contribuire, in proporzione alle proprie capacità economiche, alle esigenze dei figli minorenni o maggiorenni ma non ancora autosufficienti.
Una recente ordinanza della Cassazione, tuttavia, sembra attenuare questo principio prevedendo un’esenzione nel caso in cui un genitore sia indigente, non abbia cioè le risorse per mantenere sé stesso. In questo modo la Suprema Corte ha chiarito quando un genitore non deve versare il mantenimento al figlio. Per comprendere però il senso della pronuncia sarà bene fare un passo indietro e spiegare come funziona l’obbligo del padre e della madre di provvedere alle esigenze del figlio.
Indice
Come funziona l’obbligo di mantenimento
I genitori, tanto quelli sposati tanto quelli conviventi, hanno i medesimi obblighi nei confronti dei figli: devono cioè provvedere alle loro necessità materiali e morali. Devono provvedervi fino a quando non diventano autonomi e autosufficienti, fermo restando il dovere del figlio di formarsi e, all’esito del percorso di studi, cercare un’occupazione. Il figlio che non studia e non lavora non ha diritto al mantenimento.
Inoltre il mantenimento si perde sempre al compimento del 35 anno di età, soglia oltre la quale, secondo la Cassazione, si presume che lo stato di disoccupazione sia attribuibile all’inerzia del giovane. E questo perché il figlio deve abbandonare le proprie aspirazioni e accontentarsi di ciò che viene laddove non abbia trovato un lavoro.
A quanto ammonta il mantenimento del figlio?
I genitori non devono provvedere solo ai bisogni essenziali del figlio, quelli legati alla sopravvivenza, come il vitto e l’alloggio. L’obbligo di mantenimento del minore da parte dei genitori deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza. L’assegno insomma deve assicurare alla prole il soddisfacimento delle attuali esigenze e ad assicurargli uno standard di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di convivenza dei genitori.
Nel caso di figlio di coppia separata, il cosiddetto «genitore non collocatario» – quello cioè che non vive più con i figli – deve versare loro un assegno di mantenimento mensile che tiene conto delle «spese ordinarie» necessarie ai loro bisogni quotidiani; inoltre partecipa alle «spese straordinarie» – come viaggi, visite specialistiche, ecc. – nella misura indicata dal giudice (di solito al 50%).
In ogni caso, la misura dell’assegno di mantenimento dei figli deve tenere conto del tenore di vita che la famiglia aveva quando ancora era unita: il giovane ha quindi diritto a un assegno tanto più elevato quanto maggiori sono le capacità economiche del genitore non collocatario.
Obblighi del genitore non collocatario
Il genitore non collocatario è tenuto a versare il mantenimento anche quando l’altro genitore ha le capacità economiche per provvedere da solo alle necessità del figlio. E ciò perché l’obbligo di provvedere alle necessità della prole grava tanto sul padre quanto sulla madre, in proporzione alle rispettive capacità economiche.
L’assegno va versato in favore del genitore collocatario. Tuttavia, una volta raggiunta la maggiore età, il figlio può chiedere che la somma gli venga erogata personalmente, ad esempio sul proprio conto corrente.
Secondo la giurisprudenza, non basta una situazione di grave difficoltà economica per esonerare il genitore non collocatario dal versamento degli alimenti in favore dei figli: è necessario un’oggettiva e assoluta impossibilità, come quella non solo di chi perde il lavoro ma non ha altri beni personali (come case e risparmi) per far fronte all’obbligo in quesitone. La Cassazione sembra voler dire che il genitore, privo di reddito, che tuttavia abbia la proprietà di un immobile deve prima provvedere alla vendita del bene per aiutare i figli. Solo chi “non ha niente” evita una condanna penale per violazione degli obblighi alimentari.
Quando il genitore non deve pagare il mantenimento ai figli?
Come anticipato, non è con il raggiungimento della maggiore età che il genitore è liberato dal versamento dell’assegno di mantenimento. Serve innanzitutto la prova del raggiungimento dell’indipendenza economica da parte del figlio e, in secondo luogo, una sentenza del tribunale che decreti la cessazione dell’obbligo. Pertanto il padre non potrebbe interrompere di versare alla madre gli alimenti dei figli se prima non si fa autorizzare dal giudice.
Ma non è l’unica ipotesi in cui il genitore non deve più pagare il mantenimento dei figli. Come anticipato in apertura, la Cassazione ha decretato, con una recente ordinanza, un innovativo orientamento. In pratica, secondo la Corte, l’obbligo di mantenimento non scatta in automatico per il solo fatto che vi sia stata la separazione dei genitori: bisogna anche verificare se il genitore che non vive con i figli possa concretamente permettersi di pagare l’assegno. Sicché il genitore che non ha le condizioni economiche per farlo può essere esonerato dal pagamento dell’assegno.
Il caso si è presentato in occasione di una tipica vicenda familiare conseguente a un divorzio. La figlia, non più contenta di vivere con la madre, si è trasferita dal padre. In conseguenza di ciò, quest’ultimo – che prima versava l’assegno per i figli alla ex moglie – ha fatto ricorso al tribunale non solo per essere esonerato da tale obbligo (avendo ormai la figlia a proprio carico) ma anche affinché si disponesse, a carico della madre, il pagamento di un assegno mensile.
In pratica l’uomo pretendeva che fossero invertiti i ruoli tra i genitori: la madre, non più collocataria della figlia, doveva versargli l’assegno per le spese ordinarie di quest’ultima.
Ma la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’uomo, motivando la propria decisione sulla base delle seguenti argomentazioni: la madre non deve mantenere il figlio quasi maggiorenne che decide di vivere con il padre e di interrompere i rapporti con lei se ha un reddito basso e, di fatto, ha sacrificato la sua vita personale per il ragazzo.
L’obbligo di versare l’assegno non è automatico: il dovere di mantenimento dei figli, infatti, potrebbe essere pienamente e adeguatamente assolto anche solo in via diretta. La corresponsione di un importo perequativo diviene necessaria solo allorquando, stante il divario reddituale e patrimoniale tra i genitori, considerati i costi connessi al mantenimento diretto della prole anche in relazione ai tempi di permanenza dei figli presso ciascuno di essi, si renda necessario riequilibrare la proporzionalità degli oneri di spesa a carico dei genitori stessi.
Insomma l’affidamento condiviso, se, da un lato, non elimina l’obbligo dei genitori di contribuire alle esigenze di vita dei figli mediante la corresponsione di un assegno, dall’altro non implica, come sua conseguenza “automatica”, che ciascuno di essi debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze.
note
[1] Cass. ord. n. 6652/23.