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Come posso evitare il fallimento?

15 Marzo 2023 | Autore:
Come posso evitare il fallimento?

Come funziona la procedura di liquidazione controllata del sovraindebitamento, esperibile nei confronti di imprenditori individuali, professionisti e consumatori.

Se ti trovi in una situazione di crisi d’impresa, sovraindebitamento e insolvenza, probabilmente con l’acqua alla gola e l’assillo dei creditori che pretendono di essere soddisfatti, ti domandi: come posso evitare il fallimento?

Ebbene, devi sapere che nonostante le difficoltà che ti attanagliano non tutto è perduto: anzi, le soluzioni offerte dalla legge sono molteplici e consentono di risolvere la situazione senza essere costretti a depositare i libri in tribunale, perdere il controllo dell’impresa e dover dichiarare per forza bancarotta.

In particolare, il fallimento può essere evitato attraverso il concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il piano di risanamento, oppure mediante la composizione negoziata della crisi. Sono tutti rimedi legali che consentono di pagare i creditori nei limiti del possibile, con una congrua dilazione e talvolta anche con un consistente abbattimento del debito complessivamente maturato. Alcuni di essi possono essere attivati in via bonaria, altrimenti è necessario l’intervento giudiziario, che comunque tiene conto delle ragioni del debitore.

L’ordinamento giuridico attuale cerca di salvare le persone, fisiche e giuridiche, che si trovano in stato di crisi: si cerca di salvare l’organismo sofferente e “malato”, anziché sopprimerlo definitivamente, perché ciò comporterebbe costi maggiori per il sistema economico e creditizio. Fino al 15 luglio 2022 – data di entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: in breve, Ccii – il fallimento era riservato agli imprenditori di non piccole dimensioni, mentre adesso è stato esteso anche alle persone fisiche, ma ha cambiato nome: si chiama «liquidazione giudiziale», e la procedura di recupero crediti si svolge con maggiori garanzie.

In ogni caso, non conviene “fare lo struzzo” e non rispondere alle richieste di pagamento avanzate dai creditori, ai loro solleciti e alle diffide: anzi, questa strategia consente ai creditori insoddisfatti di avanzare le loro legittime istanze di fallimento in tribunale, comprovando lo stato di insolvenza di chi è rimasto sordo alle loro pretese e non ha fornito valide ragioni o giustificazioni. Insomma, in questa delicata materia è bene prendere l’iniziativa prima che la situazione degeneri.

Quando si fallisce?

Il fallimento tradizionale presuppone uno stato di insolvenza, ossia l’incapacità di pagare regolarmente i propri debiti: è molto di più di un inadempimento sporadico di un’obbligazione, o di un semplice ritardo, perché si tratta di una situazione cronica, non contingente, sintomatica di un grave stato di difficoltà economica e finanziaria, che preclude il dissesto vero e proprio.

Ci sono anche dei requisiti soggettivi di fallibilità: in particolare, per essere assoggettati alla procedura ed, infine, dichiarati falliti bisogna essere imprenditori commerciali ed avere:

  • un attivo patrimoniale complessivo, nel triennio precedente, uguale o superiore a € 300.000,00;
  • realizzato, nello stesso triennio, ricavi lordi pari o superiori a € 200.000,00;
  • un ammontare di debiti insoluti di almeno uguale o inferiore a € 500.000,00.

Ti sintetizziamo il tutto nell’articolo: “5 requisiti per dichiarare fallimento“. Il quinto è quello di non essere un piccolo imprenditore, ma con le modifiche apportate alla vecchia legge fallimentare del 1942 esso è stato superato, come ti spieghiamo nel prosieguo: non c’è il fallimento vero e proprio, ma una procedura molto simile ad esso, anche nelle conseguenze. Perciò è bene conoscerla in modo da rispondere compiutamente al nostro quesito – come evitare il fallimento – anche in favore degli imprenditori sottosoglia e delle persone fisiche, come i liberi professionisti e gli artigiani.

Una persona fisica può fallire?

Con il nuovo Ccii, anche una persona fisica, come un imprenditore titolare di una ditta individuale, un professionista, o un semplice consumatore, pur essendo al di sotto dei requisiti dimensionali che abbiamo descritto, può fallire attraverso una procedura chiamata liquidazione controllata. In particolare, è considerato consumatore «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una Snc, Sas o di una Sapa per i debiti estranei a quelli sociali».

Questa nuova procedura di liquidazione controllata è prevista in tutti i casi in cui non è applicabile la liquidazione giudiziale, che, come abbiamo detto, corrisponde al fallimento tradizionale, riservato agli imprenditori di dimensioni maggiori. Precisamente, la liquidazione controllata si applica – oltre che ai consumatori – anche a:

  • imprenditori minori (sono tali quelli con attivo patrimoniale annuo non superiore a 300mila euro, ricavi non maggiori di 200mila euro nei tre esercizi antecedenti e debiti non superiori a 500mila euro);
  • professionisti (sono tali le persone fisiche o giuridiche che agiscono nell’esercizio di un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, e in ciò si distinguono dai consumatori;
  • imprenditori agricoli, secondo la definizione fornita dall’art. 2135 Cod. civ;
  • start-up innovative.

Come si chiede la liquidazione controllata?

La liquidazione controllata è un provvedimento giudiziario, finalizzato alla liquidazione del patrimonio di un debitore che si trova in stato di crisi o di insolvenza. Non basta, quindi, non aver pagato alcuni debiti, ma occorre un’incapacità cronica di adempiere alle obbligazioni assunte; ciò diventa evidente quando il debitore è stato sottoposto ad azioni esecutive per iniziativa dei creditori.

Siccome la liquidazione controllata riguarda patrimoni di entità più limitata di quelli delle grandi imprese, ed anche l’accertamento dei crediti è meno complesso, la procedura è semplificata rispetto a quella prevista per la liquidazione giudiziale vera e propria. In particolare, possono chiedere l’apertura della procedura di liquidazione controllata i seguenti soggetti:

  • i creditori, se a carico del debitore pendono già procedure esecutive individuali;
  • il pubblico ministero, ma solo se l’insolvenza riguarda un imprenditore;
  • il debitore stesso, se si trova in stato di sovraindebitamento. E questa è una grossa opportunità per prevenire ed evitare il fallimento.

Quali beni sono esclusi dalla procedura fallimentare?

Mentre la liquidazione giudiziale comprende, tendenzialmente, tutti i beni del soggetto sottoposto alla procedura, che così perde la disponibilità del suo patrimonio, dalla liquidazione controllata sono esclusi i seguenti beni, crediti e attivi patrimoniali del debitore, che, dunque, rimangono in suo possesso o possono essere legittimamente incassati senza timore di vederli prelevati dai creditori:

  • i crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 del Codice di procedura civile;
  • i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento;
  • gli stipendi, le pensioni, i salari e «ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia»;
  • i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall’articolo 170 del Codice civile;
  • le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge (ad esempio, il Reddito di cittadinanza).

Come si svolge la liquidazione controllata?

La domanda di liquidazione controllata deve essere presentata, da uno dei soggetti che abbiamo indicato (creditore, debitore o pubblico ministero) al tribunale territorialmente competente, che è da individuarsi in quello nel cui circondario il debitore ha la residenza, il domicilio o comunque il centro dei propri interessi economici e di vita. In questo modo, si attiva la procedura giudiziaria che, mediante la nomina di un liquidatore (un professionista che ha poteri analoghi a quelli del curatore fallimentare), porterà al riparto dei beni del debitore tra i creditori procedenti, secondo le modalità ed i termini stabiliti dal giudice in sentenza.

Alla domanda deve essere allegata un’attestazione dell’Occ (Organismo di composizione della crisi: è lo stesso organo che interviene nelle procedure di sovraindebitamento) con tutte le informazioni necessarie a ricostruire la posizione economica del debitore. Se l’Occ, su richiesta del debitore, attesta che non esiste un attivo da distribuire ai creditori e che le somme loro spettanti non possono essere recuperate neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie esecutive, la procedura di liquidazione controllata si blocca e non può proseguire. In questi casi, infatti, sarebbe inutile intraprendere una procedura che sin dall’origine si rivela infruttuosa e tale da non soddisfare gli interessi dei creditori.

Composizione negoziata della crisi per prevenire il fallimento

La procedura fallimentare è lunga e costosa, e mette a dura prova non solo il debitore ad essa assoggettato, ma anche gli stessi creditori. Consapevole di ciò, il nuovo Codice sulla crisi d’impresa e dell’insolvenza ha introdotto un nuovo istituto conciliativo: è la composizione negoziata della crisi, che serve a trovare un accordo con i creditori in via bonaria e stragiudiziale, senza l’intervento del tribunale. In questo modo si può prevenire il fallimento, o liquidazione giudiziale che dir si voglia, in maniera “non contenziosa”, e, il più delle volte, con maggior soddisfazione reciproca.

La procedura di composizione negoziata della crisi si svolge su una piattaforma telematica, in cui l’imprenditore insolvente viene affiancato da un esperto contabile nelle trattative da instaurare con i creditori. Si può trovare una soluzione idonea al superamento della crisi, ad esempio mediante un piano di rientro e/o di dilazione dei pagamenti proposto dal debitore ed accettato dai creditori interessati; altrimenti il debitore può presentare in tribunale una proposta di concordato per la liquidazione del patrimonio mediante la cessione di alcuni beni dell’impresa.

Possono accedere alla composizione negoziata della crisi tutti i soggetti iscritti nel Registro delle imprese, compresi quelli che non possono fallire perché al di sotto dei requisiti dimensionali, ma che altrimenti potrebbero essere aggrediti, con pignoramento dei beni ed esecuzioni forzate, dai creditori insoddisfatti.

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