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Prendere in giro un collega di lavoro omosessuale: cosa si rischia?

10 Marzo 2023 | Autore:
Prendere in giro un collega di lavoro omosessuale: cosa si rischia?

Scopri cosa rischia chi insulta un collega gay o lesbica; ecco le conseguenze legali e disciplinari di questo comportamento discriminatorio.

In molti paesi, la discriminazione basata sull’orientamento sessuale è considerata illegale e, quindi, chi si rende responsabile di comportamenti omofobi può essere soggetto a sanzioni legali e risarcimenti per danni. Tuttavia, in Italia, non esiste ancora uno specifico reato per chi si prende gioco delle scelte sessuali altrui. Un tentativo di regolamentazione venne avanzato, nel 2021, con il DDL Zan che voleva punire gli insulti omofobi; tuttavia il testo non venne mai approvato dal Parlamento. Ad oggi esiste la possibilità di punire le offese basate sull’orientamento sessuale solo quando integrano gli estremi del reato di diffamazione, ossia quando la derisione avviene in assenza della vittima e in presenza di almeno due persone. 

Ciò non toglie che, almeno nei luoghi di lavoro, esiste pur sempre la possibilità di punire, a livello disciplinare, chi turba la serenità dell’ufficio e crea attrito con i colleghi. L’offesa nei confronti del collega gay o lesbica può portare a un licenziamento. Una recente pronuncia della Cassazione [1] ha spiegato cosa si rischia nel prendere in giro un collega di lavoro omosessuale. 

La Corte ha affrontato il caso sotto un profilo civilistico, si è pronunciata cioè sulla legittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro nei confronti di un impiegato che aveva detto «lesbica» a una collega. 

Bisogna fare una premessa. In passato, la stessa Cassazione, nell’ottica di sottolineare che l’orientamento sessuale non è – e non deve essere – un fattore discriminante tra le persone poiché, qualunque essa sia, una scelta sessuale caratterizza ognuno di noi, disse che chiamare una persona «gay» non costituirebbe ingiuria. Se infatti è vero che gli omosessuali sono uguali agli eterosessuali, non ha ragione d’essere qualificato come insulto una definizione del genere che, appunto, non deve assumere valenza offensiva.

Eppure la stessa Cassazione ha poi fatto marcia indietro. Non si può infatti negare che il fatto di dare dell’omosessuale a una persona, nel linguaggio comune avvenga con lo scopo di umiliare, offendere ed emarginare. 

La pronuncia qui in commento prosegue questa linea di pensiero. Pertanto, secondo la Suprema Corte, rischia di essere licenziato chi fa apprezzamenti in ufficio sulle scelte sessuali dei colleghi.

Per gli “Ermellini” costituisce innegabile conquista dell’evoluzione sociale degli ultimi decenni il rispetto di qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che esso attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona. L’intrusione in tale sfera, effettuata peraltro con modalità di scherno e senza curarsi della presenza di terze persone, non può pertanto essere considerata come una semplice violazione di regole formali di buona educazione. Del resto, è la stessa Costituzione che dà ruolo centrale ai diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), il riconoscimento della pari dignità sociale, “senza distinzione di sesso”, il pieno sviluppo della persona umana (art. 3), il lavoro come ambito di esplicazione della personalità dell’individuo ( art. 4), oggetto di particolare tutela “in tutte le sue forme ed applicazioni”;

Propio nell’ambito del lavoro sono state approvate una serie di normative antidiscrimnatorie intese ad impedire o a reprimere forme di discriminazione legate al sesso. Tra queste assume particolare rilievo il d. lgs. n. 198/2006, (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) il cui articolo 26, primo comma statuisce che «Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo». 

Ebbene, è proprio quest’ultima norma a poter essere richiamata come base giuridica per confermare l’illecito disciplinare di chi prende in giro il collega omosessuale dandogli del “gay” o della “lesbica”. È indubbia infatti la volontà della legge di garantire una protezione specifica e differenziata — attraverso il meccanismo dell’assimilazione alla fattispecie della discriminazione – , alla posizione di chi si trovi a subire nell’ambito del rapporto di lavoro comportamenti indesiderati per ragioni connesse al sesso.

Risultato: chi insulta il collega omosessuale sul lavoro può essere licenziato perché sta violando il codice delle pari opportunità.

 


note

[1] Cass. ord. n. 7029/23 del 09.03.2023

Autore immagine: depositphotos


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