Avvocato: quando non va pagato?


Il difensore ha diritto al compenso anche se la causa va male? Cosa succede se il legale intraprende azioni completamente inutili?
L’avvocato è un libero professionista e, in quanto tale, ha diritto a essere pagato per il lavoro svolto per conto dei suoi clienti. L’entità della parcella deve essere resa nota sin da subito sottoponendo al proprio assistito un preventivo scritto già al momento del conferimento dell’incarico; la violazione di questo obbligo costituisce un illecito deontologico che, in ogni caso, non fa perdere il diritto a essere retribuito. Ci sono casi in cui l’avvocato non va pagato?
A tale domanda ha risposto una recente sentenza della Corte di Cassazione [1], precisando quali sono le attività che non fanno maturare, in capo al difensore, il diritto a essere retribuito. A queste ipotesi si aggiungono quelle in cui il legale è stato totalmente inadempiente ai propri obblighi. Vediamo di cosa si tratta.
Indice
Come si calcola il compenso dell’avvocato?
La parcella dell’avvocato si calcola in base all’effettiva attività svolta dal difensore. Ad esempio, se si conferisce incarico per un certo procedimento ma, a metà della causa, si decide di togliere il mandato, l’avvocato avrà diritto a essere pagato per ciò che ha compiuto fino al momento della revoca.
L’onorario del legale va quindi sempre calcolato in base a ciò che ha concretamente svolto, anche quando c’è un preventivo firmato al momento del conferimento dell’incarico: se infatti il preventivo riguarda una serie di attività ma di queste solo alcune vengono portate a termine, allora l’avvocato avrà diritto a essere pagato solamente per ciò che ha realmente fatto.
L’avvocato va pagato anche senza preventivo?
Come anticipato in apertura, le prestazioni professionali dell’avvocato vanno sempre pagate, anche in assenza di un preventivo scritto.
In effetti, la legge impone al legale di far sottoscrivere un preventivo al momento del conferimento formale dell’incarico; il venir meno a questo obbligo, però, può avere solamente conseguenze disciplinari, non intaccando il diritto a essere retribuito.
In altre parole, l’avvocato che non sottopone un preventivo scritto contenente tutte le voci di spesa può essere segnalato al Consiglio dell’ordine ma conserva ugualmente il diritto a essere pagato.
In questa ipotesi, cioè in assenza di preventivo, la parcella dell’avvocato si calcola in base ai parametri forensi stabiliti dalla legge per il tipo di attività svolta (processo civile, penale, amministrativo, ecc.).
In quali casi l’avvocato non va pagato?
Secondo la sentenza della Corte di Cassazione citata in apertura, l’avvocato non va pagato per attività inutili che non servono a tutelare le ragioni del proprio assistito.
Ciò non significa che il legale debba essere pagato solo se vince la causa, ma semplicemente che le prestazioni assolutamente superflue non possono far maturare il diritto al compenso.
Si pensi all’avvocato che, dovendo recuperare un modesto credito vantato dal proprio cliente, decida di intraprendere una costosa procedura di ricerca telematica dei beni da pignorare, pur avendo già la certezza della capienza del conto corrente del debitore.
Stessa cosa si dica nel caso in cui l’avvocato intraprenda un’azione inammissibile, come ad esempio lo sfratto in presenza di un valido contratto di locazione.
Tanto era stato affermato anche da una precedente sentenza della Suprema Corte, secondo la quale lo svolgimento di un’attività professionale, da parte dell’avvocato, totalmente inutile, già pronosticabile come tale sin dall’inizio, non gli attribuisce alcun diritto al compenso [2].
L’avvocato non va pagato nemmeno se è stato inadempiente ai propri obblighi. Si pensi, ad esempio, al difensore che dimentica di depositare l’appello entro i termini stabiliti dalla legge: in un’ipotesi del genere l’avvocato non potrebbe di certo chiedere di essere retribuito per l’atto che non è servito a nulla in quanto tardivo.
L’avvocato va pagato se perde la causa?
Come anticipato, l’avvocato va pagato anche se perde la causa: il compenso non è infatti subordinato al raggiungimento del risultato positivo bensì alla diligenza e al massimo impegno che il legale si impegna a profondere.
Più tecnicamente, si dice che quella dell’avvocato (così come di ogni professionista) non è un’obbligazione di risultato ma di mezzi.
L’avvocato si impegna ad assistere con professionalità e attenzione il proprio cliente; di conseguenza, se la causa va male e all’avvocato non è rimproverabile nulla (ad esempio, perché è sempre stato presente in udienza, ha depositato tempestivamente tutte le memorie, ecc.), avrà comunque diritto alla parcella.
In estrema sintesi, l’obbligo dell’avvocato è quello di comportarsi diligentemente, non di garantire il risultato finale che, quindi, può anche essere negativo.
Ci sono però circostanze in cui l’avvocato assume l’impegno di conseguire un obiettivo preciso; in questi casi, si dice che egli assume un’obbligazione di risultato.
È proprio il caso visto in precedenza: se un cliente conferisce incarico all’avvocato affinché faccia appello contro una sentenza, il mancato rispetto dei termini per proporre impugnazione comporterà la violazione dell’impegno che l’avvocato si è assunto, con conseguente impossibilità di chiedere la parcella.
In pratica, l’avvocato non va pagato se non compie l’attività che gli è stata chiesta. In queste ipotesi, peraltro, sussiste anche responsabilità professionale in capo al difensore, il quale potrebbe essere chiamato a risarcire i danni.
note
[1] Cass., sent. n. 3822/2023.
[2] Cass., sent. n. 5440/2022.
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