Come ottenere il pagamento del mantenimento


La guida per ottenere il versamento dell’assegno di mantenimento all’ex coniuge o gli alimenti per i figli: rimedi civili e penali.
Il pagamento del mantenimento è un obbligo previsto dalla legge per la tutela dei figli e del coniuge non autosufficiente. Tuttavia, non sempre questo obbligo viene rispettato, e il beneficiario del mantenimento si trova costretto ad affrontare un iter giudiziario per ottenere il pagamento. In questo articolo scopriremo come ottenere il pagamento del mantenimento e quali sono le opzioni a disposizione del beneficiario.
Scopriremo in particolare che esistono due rimedi per agire contro l’ex marito che non versa gli alimenti alla moglie e/o ai figli: la tutela penale, costituita dalla querela e dalla denuncia, e quella civile, costituita invece dalla procedura di esecuzione forzata rivolta a pignorare lo stipendio e gli altri beni dell’obbligato.
Analizzeremo inoltre alcune pronunce della giurisprudenza che offrono uno spaccato di quali siano gli attuali orientamenti dei tribunali in materia di omesso pagamento dell’assegno di mantenimento. Ma procediamo con ordine.
Indice
Quando bisogna pagare il mantenimento?
L’assegno di mantenimento può essere dovuto nei confronti dell’ex coniuge o dei figli. Ma i presupposti sono diversi.
Nei confronti dell’ex coniuge, il mantenimento scatta solo se sussiste una sentenza di condanna del giudice o un accordo delle parti definito sia dinanzi al tribunale che in sede di negoziazione assistita (con l’ausilio dei rispettivi avvocati).
Nei confronti dei figli, invece, il mantenimento scatta per il semplice fatto che questi sono nati. Sicché, in caso di separazione dei genitori, quello che si allontana dalla dimora familiare deve inviare periodicamente un assegno per il sostentamento della prole, indipendentemente dal fatto che ancora non c’è stata una sentenza a condannarlo e a quantificare un importo preciso.
Per quanto riguarda le coppie di fatto, infine, il mantenimento all’ex partner non è mai dovuto, salvo diverso accordo definito in un patto di convivenza. È invece dovuto il mantenimento ai figli: difatti gli obblighi dei genitori nei confronti di questi ultimi prescindono dall’esistenza o meno di un vincolo coniugale.
Per quanto dura l’assegno di mantenimento?
L’assegno di mantenimento, sia per l’ex coniuge che per i figli, non ha una durata stabilita a priori. Infatti, il pagamento dell’assegno è legato alle condizioni economiche di entrambe le parti e può essere modificato nel tempo.
In caso di cambiamento delle condizioni economiche, come ad esempio una variazione di reddito o una nuova situazione familiare, l’importo dell’assegno può essere rivisto attraverso una richiesta di revisione presentata al giudice. Senza però che intervenga una pronuncia del giudice, qualsiasi autoriduzione del mantenimento è da ritenersi illegittima. Così, ad esempio, il padre che ritenga che il figlio sia divenuto autosufficiente non può autonomamente interrompere il versamento dell’assegno ma deve prima presentare un ricorso in tribunale affinché il magistrato revochi il precedente provvedimento che poneva su di lui l’obbligo dell’assegno stesso.
Attenzione però: la revisione dell’importo del mantenimento o la sua cancellazione definitiva sono possibili solo se intervengono circostanze sopravvenute e imprevedibili rispetto al precedente momento in cui il giudice aveva imposto l’obbligo del mantenimento.
In particolare, se il richiedente dimostra in maniera convincente un peggioramento delle sue condizioni economiche o il miglioramento di quelle del destinatario dell’assegno, il giudice può decidere di ridurre l’importo dell’assegno o di sopprimerlo completamente. Viceversa, se ci sono miglioramenti nella condizione economica del soggetto tenuto al pagamento, l’assegno potrebbe essere aumentato.
Più di un giudice ha ritenuto di revocare il mantenimento all’ex moglie ancora in età lavorativa se questa, dopo il divorzio, non dà prova di cercare un’occupazione che la renda autonoma.
Quale giustificazione per non pagare il mantenimento?
Può accadere, però, che l’obbligato – per disinteresse, rivalsa o difficoltà finanziarie – salti una o più mensilità o smetta di pagare. In questi casi l’ex coniuge o il genitore collocatario dei figli può agire nei suoi riguardi.
L’unica difesa utile è di dimostrare una oggettiva incapacità economica che impedisca in modo assoluto l’adempimento dell’obbligo alimentare. Non basta quindi un semplice peggioramento della situazione finanziaria (circostanza che potrebbe tutt’al più giustificare una richiesta di riduzione dell’assegno) o anche la perdita del lavoro. Se infatti l’uomo è ancora in grado di lavorare deve accontentarsi di qualsiasi lavoro possa consentirgli di aiutare l’ex famiglia; e se ha delle immobilizzazioni (ad esempio una casa di proprietà) deve venderle.
La tutela penale
Si può querelare il marito che non versa il mantenimento all’ex moglie così come si può sporgere una denuncia nei confronti del padre che non paga il mantenimento ai figli minorenni o portatori di handicap. L’obbligo di prestare il mantenimento vale anche per i figli maggiorenni a patto però che non abbiano ancora terminato il percorso di studi o che, se terminato, dimostrino di cercare un’occupazione. In ogni caso, raggiunta la soglia di 30/35 anni, si presume che lo stato di inoccupazione deriva dall’inerzia del giovane che, a quell’età, deve sapersi accontentare di qualsiasi proposta offra il mercato. Sicché, superato tale tetto di età, l’obbligo del mantenimento cesso definitivamente.
Dunque l’omesso versamento del mantenimento può comportare l’inizio di un procedimento giudiziario e una conseguente condanna penale. In particolare, il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare può portare alla reclusione fino a 1 anno o ad una multa da 103 a 1.032 euro per il coniuge che non rispetta il contributo assegnato all’ex moglie e/o ai figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Tuttavia, la pena alternativa o la detenzione non sono previste per ritardi o omissioni occasionali, ma solo se l’intento di evitare i propri doveri è dimostrato. Non è considerato un reato se chi non riesce a pagare dimostra di non poter farlo senza cadere in povertà, tenendo conto dei redditi personali, della ricerca di nuovi redditi, della necessità di soddisfare le esigenze basilari o di eventuali malattie che limitino la capacità lavorativa. Tuttavia, le sanzioni penali non assicurano al beneficiario alcuna forma di rimborso, pertanto, se l’ex ha proprietà o un lavoro stabile, è opportuno procedere con un’azione civile. Questo non significa che il reato non esista ancora.
Tuttavia, non basta un ritardo o una singola omissione per far scattare la detenzione o la pena alternativa, ma è necessario dimostrare l’intenzionale sottrazione ai propri doveri. Inoltre, coloro che provano di essere impossibilitati a pagare senza cadere in una vita indecorosa, in considerazione di diversi fattori come i redditi personali, gli sforzi profusi per trovare altre entrate, la necessità di soddisfare le proprie esigenze basilari o l’avere contratto malattie che riducono o azzerano la capacità lavorativa, non commettono alcun reato.
Tuttavia, le sanzioni penali non garantiscono al beneficiario del mantenimento il recupero dei debiti in questione. A tal fine infatti è necessario agire in via civile e, in particolare, con il pignoramento o il blocco dello stipendio direttamente in capo al datore di lavoro.
La tutela civile
Per procedere al recupero dell’assegno di mantenimento, non è necessario intraprendere complicate indagini sulle sostanze dell’obbligato. La giurisprudenza infatti consente all’ex coniuge di chiedere all’Agenzia delle Entrate, anche prima di avviare il pignoramento, l’indicazione dei redditi dell’ex coniuge tramite accesso all’Anagrafe tributaria.
Non è necessario poi avviare una nuova causa: già la precedente sentenza di condanna (di separazione, divorzio o revisione delle condizioni economiche) o l’accordo di negoziazione assistita che fissano l’ammontare del mantenimento sono titoli esecutivi, il che significa che basta eccepire l’inadempimento per muoversi verso il recupero delle somme dovute.
Il primo passo da intraprendere, quindi, è quello di diffidare l’obbligato a pagare. Lo si farà con una diffida scritta con raccomanda a/r inviata dall’interessato o dal suo avvocato.
In caso di mancato adempimento, è possibile notificare un atto di precetto, ossia un’ulteriore intimazione formale a saldare il debito entro 10 giorni. Se nemmeno questa azione sortisce effetto, si può procedere con il pignoramento dei beni mobili (conto corrente, depositi bancari, ecc.) o immobili (case, veicoli).
La legge prevede la possibilità di rivolgersi direttamente al datore di lavoro per eseguire una trattenuta sullo stipendio pari a un quinto. Infatti, decorsi 30 giorni dalla messa in mora dell’inadempiente, il beneficiario potrà notificare il provvedimento o l’accordo che fissano la misura dell’assegno direttamente all’azienda datrice di lavoro: il mese successivo alla notifica sarà il terzo a pagare all’avente diritto l’importo dell’assegno.
Tra i beni pignorabili rientra anche il Tfr (Trattamento di fine rapporto), che rappresenta una fonte capiente di recupero delle somme spettanti e può essere aggredito solo fino alla misura maturata al momento della richiesta.
L’avvocato della moglie può anche chiedere al giudice di autorizzare il sequestro dei beni del debitore.
Sentenze
Scatta la condanna per violazione degli obblighi di assistenza per il padre separato che non versi, anche solo in parte, il mantenimento disposto in favore dei figli minori. L’obbligato, infatti, non ha alcun potere di adeguare l’importo sancito dal giudice.
Cassazione, sentenza 43032 dell’11 novembre 2022
Non ha responsabilità l’obbligato che, pur non del tutto indigente, provi l’impossibilità di pagare, considerati diversi fattori: misura dell’assegno, redditi ed esigenze personali di vita, impegno nel reperire altre entrate.
Tribunale di Trieste, sentenza 857 del 16 maggio 2022, Cassazione, sentenza 32576 del 5 settembre 2022
Per sequestrare i beni del coniuge obbligato all’assegno di mantenimento basta anche un’inadempienza non grave e relativa non solo alla corresponsione più o meno regolare del contributo nel suo preciso ammontare ma all’insieme dei rapporti patrimoniali stabiliti tra gli ex.
Corte d’appello di Milano, decreto del 5 maggio 2022