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Come difendersi dalle accuse di atti sessuali con minorenni

15 Marzo 2023 | Autore:
Come difendersi dalle accuse di atti sessuali con minorenni

La sentenza della Cassazione non accorda giustificazione a chi non conosceva l’età della ragazza.

Una recente sentenza della Cassazione sulla condanna per atti sessuali con minorenni ha sollevato molte polemiche e interrogativi in merito alle possibili difese da utilizzare in caso di contestazione del reato [1]. Difatti, secondo la Corte, si rischia l’incriminazione penale anche in caso di errore scusabile in merito all’effettiva età della ragazzina. È del tutto irrilevante che gli amici e il fratello della ragazzina non abbiano detto nulla, nonostante gli approcci tra il ragazzo di 21 anni e la 13enne, e irrilevante è anche il fatto che a prendere l’iniziativa sia stata proprio la minorenne.

Dunque, come difendersi dalle accuse di atti sessuali con minorenni? 

Ricordiamo innanzitutto che la cosiddetta «età del consenso», quella cioè a partire da cui si possono avere rapporti sessuali è 14 anni. 

Fare sesso con una quattordicenne non è reato, a prescindere dalla differenza di età che c’è tra le parti. 

Fare sesso con una tredicenne è invece reato, a meno che l’altra parte non abbia più di 17 anni. Quindi, un sedicenne può stare con una tredicenne, mentre un diciottenne no.

Fare sesso con una dodicenne o più piccola è sempre reato. Quindi un quattordicenne che sta con una dodicenne commette reato di cui egli stesso risponde atteso che la responsabilità penale scatta proprio a partire da 14 anni.

Ma cosa succede se il soggetto più adulto del rapporto non conosce l’età della ragazza? È obbligato certamente a chiederglielo. Ma ciò non basta a difendersi dalle accuse di atti sessuali con minorenni. Se infatti la ragazza mente o se comunque, dinanzi alle apparenze, si sia caduti in errore, bisognerebbe dimostrare che l’errore è stato scusabile, ossia che la situazione avrebbe tratto in inganno una persona accorta e di media diligenza. 

Ma quando, concretamente, si può dire di aver fatto di tutto per evitare l’errore? Quando ad esempio si sia chiesta la carta d’identità alla vittima prima di compiere l’atto sessuale e il documento sia risultato falsificato.

Dunque non basta, ad esempio, come fanno molti, basarsi sull’aspetto fisico o sull’uso del trucco, sulle precedenti relazioni avute dalla minore, sull’atteggiamento spregiudicato e neanche sulla circostanza che questa abbia mentito sulla propria età indicando un anno di nascita diverso sul proprio profilo social.

Si comprende bene che, in questi casi, difendersi dalle accuse di atti sessuali con minorenni è cosa tutt’altro che semplice. 

Il caso deciso dalla Cassazione servirà a fornire un ulteriore quadro della situazione.

Un ragazzo di 21 anni aveva avuto rapporti sessuali con una ragazzina di appena 13 anni: il rapporto non era stato nascosto alla comitiva di amici che frequentava la coppia. Nessuno – gli amici, finanche il fratello- avevano detto all’imputato quale fosse l’età della giovane. Ma è anche vero che questi non aveva fatto nulla per accertarsene e fugare il dubbio.  

La difesa del ragazzo aveva cercato di giustificare la sua buonafede, sostenendo che non era a conoscenza della minore età della ragazzina e che la stessa aveva preso lei stessa l’iniziativa. 

Il legale dell’imputato aveva sottolineato il fatto che «è prevista la non punibilità in caso di ignoranza inevitabile sulla minore età della persona offesa», circostanza che, sempre secondo il legale, «si era realizzata nel caso specifico», poiché «i fatti si sono svolti in presenza di amici e del fratello della persona offesa, fratello che, pur essendo consapevole della natura sessuale degli approcci tra i due giovani (che dapprima si baciavano e quindi si appartavano in spiaggia), ha dimostrato disinteresse e non ha messo in guardia l’allora 21enne, così ingenerando in quest’ultimo la convinzione che la ragazza avesse 17 anni».

Tuttavia, la Cassazione ha stabilito che l’età della persona offesa costituisce un preciso elemento costitutivo del reato e che il ragazzo avrebbe dovuto adoperarsi attivamente per accertare l’età effettiva della partner e per prendere informazioni più certe in merito.

L’ignoranza sull’età non può fondarsi sulle dichiarazioni della sola persona offesa, in quanto in questo caso è richiesto un impegno conoscitivo proporzionale alla presenza dei valori in gioco». E in questa ottica «il ragazzo avrebbe dovuto attivarsi per sincerarsi dell’età della ragazzina», magari «adoperandosi mediante consuete ricerche sui social media, oppure solo chiedendo maggiori informazioni agli amici e al fratello della ragazzina ovvero proprio alla ragazza, alla quale, invece, non ha assolutamente chiesto l’età».

Dunque, per evitare una condanna per atti sessuali con minorenni è importante conoscere le leggi in materia e rispettare le norme che tutelano i minori. Inoltre, è fondamentale attivarsi per accertare l’età effettiva della persona con cui si ha un rapporto sessuale, e ciò vale anche quando si tratta di una relazione occasionale.

Se si viene accusati di atti sessuali con minorenni, è necessario affidarsi a un avvocato specializzato in diritto penale e seguire scrupolosamente le indicazioni della difesa. È importante anche evitare di fornire dichiarazioni spontanee o di cercare di giustificare la propria posizione senza l’assistenza di un professionista.

Infine, è bene tenere presente che la condanna per atti sessuali con minorenni può comportare anche gravi conseguenze sociali e personali, oltre che penali. La norma violata è quella dell’articolo 609-quater del codice penale, norma che prevede appunto una condanna penale a carico di chi compie atti sessuali con persona che al momento del fatto: 

  • non ha compiuto gli anni quattordici; 
  • non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.

Ma cosa rischia concretamente chi fa sesso con una minorenne? La reclusione da sei a dodici anni. Si tratta, come è facile intuire, di un reato particolarmente grave, anche per lo stigma sociale che comporta.

Per questo motivo, è sempre consigliabile evitare comportamenti che possano mettere in pericolo la propria reputazione e la vita degli altri.

In sintesi, la recente sentenza della Cassazione rappresenta un importante monito per tutti coloro che intendono intrattenere relazioni sessuali con persone di età inferiore alla maggiore età. È importante rispettare le leggi e le norme di tutela dei minori, e agire con prudenza e cautela per evitare di incorrere in reati gravi e dalle conseguenze pesanti.


note

[1] Cass. pen., sez III, ud. 22 febbraio 2023 (dep. 10 marzo 2023), n. 10151

Cass. pen., sez III, ud. 22 febbraio 2023 (dep. 10 marzo 2023), n. 10151

Presidente Sarno – Relatore Galanti

Ritenuto in fatto

1. con sentenza del 16/05/2022, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del 28/09/2018 del Giudice per l’udienza preliminare di Catanzaro, che condannava C.F. , in esito a giudizio abbreviato, alla pena di anni uno di reclusione in ordine alla commissione del delitto di cui all’art. 609-quater c.p., per avere l’imputato commesso atti sessuali con M.M., minore di anni quattordici, consistiti in un rapporto sessuale completo, previo riconoscimento dell’attenuante di cui al comma 4 della medesima disposizione. Reato commesso in (omissis). Concedeva il beneficio della pena sospesa. Condannava altresì l’imputato alle pene accessorie previste per legge oltre al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile.

2. Avverso tale sentenza l’imputato proponeva, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione. In particolare:

2.1. con il primo motivo, lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento agli artt. 63 e 350, comma 7, c.p.p., avendo i giudici di primo e secondo grado fondato la pronuncia di condanna sulla base delle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria nell’immediatezza dei fatti, senza le garanzie difensive previste dagli artt. 63 e 64 del codice di rito, con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni stesse;

2.2. con il secondo motivo, lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento agli artt. 609-quater e 609-sexies c.p., non avendo fatto il giudice di secondo grado buon governo della disposizione che prevede la non punibilità in caso di ignoranza inevitabile della minore età della persona offesa, circostanza che si è realizzata nel caso di specie. I fatti si sono infatti svolti in presenza di amici e del fratello della stessa persona offesa che, pur essendo consapevole della natura sessuale degli approcci tra i due giovani (che dapprima si baciavano e quindi si appartavano in spiaggia), non ha messo in guardia l’imputato ed anzi ha dimostrato disinteresse, così ingenerando nel medesimo la convinzione che la ragazza avesse diciassette anni; sottolinea, da ultimo, come non si sia verificata alcuna compressione della libertà sessuale della vittima, essendo la stessa non solo consenziente, ma colei che ha assunto l’iniziativa.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo, in disparte la questione relativa all’utilizzabilità o meno nel rito abbreviato delle dichiarazioni rese dall’imputato ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p. (da ritenersi assorbita dalle considerazioni che seguono) è inammissibile sotto un duplice profilo.

In primo luogo, la censura in concreto non supera la c.d. “prova di resistenza”; secondo il costante orientamento della Corte, infatti, quando con il ricorso per cassazione si contesti l’utilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento sulla decisione; si tratta, per l’appunto, della “prova di resistenza”, essendo necessario valutare se le altre risultanze processuali, in caso di espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 29642 del 30/05/2019, Tanè, Rv. 276978; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452).

Nel caso in esame, da un lato il ricorrente non ha indicato in che modo il venir meno di tale elemento di prova avrebbe avuto incidenza determinante sul giudizio, per ciò solo presentandosi inammissibile; in secondo luogo, la Corte di appello di Catanzaro ha espressamente chiarito che “la penale responsabilità dell’imputato, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, secondo cui il giudizio di condanna fonderebbe sulle dichiarazioni rese dal C. , è stata ritenuta sulla base delle dichiarazioni della persona offesa M.M. e degli altri testi escussi, di talché l’eccezione sollevata dalla difesa non appare rilevante”.

Il motivo di ricorso non supera, pertanto, il processo di “eliminazione mentale” della prova censurata, essendo il giudizio di colpevolezza fondato sul complesso delle altre risultanze probatorie, come concordemente affermato in entrambi i gradi del giudizio di merito.

L’applicazione del suddetto principio comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso, posto che la prova di cui i ricorrenti lamentano l’inutilizzabilità non ha avuto incidenza determinante nel giudizio di colpevolezza.

In secondo luogo, da quanto sopra evidenziato emerge con chiarezza che la censura proposta in questa sede non costituisce che la mera ripetizione di quella già oggetto del precedente gravame e puntualmente valutata – come dinanzi evidenziato – dalla Corte di merito.

Questa Corte, in proposito, ha reiteratamente chiarito come sia inammissibile per genericità “il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti, in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 4, n. 19617 del 10/05/2022 Ud., non massimata; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 Ud. Rv. 260608; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 Ud. Rv. 259425; Sez. 6, n. 34521 del 27 giugno 2013; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Ud. Rv. 25568)”.

2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

La censura, in realtà, pur se presentata come violazione di legge, si articola in realtà come vizio di motivazione, limitandosi a proporre una lettura alternativa degli elementi di prova già valutati dai giudici di primo e secondo grado in modo sufficientemente esaustivo, non illogico nè contraddittorio.

La Corte di appello di Catanzaro, e prima di lei il Giudice dell’udienza preliminare (le cui motivazioni si integrano; cfr., ex mu/tis, Sez. 4, n. 19617/2022, cit.; Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929), hanno infatti:

– sottolineato (pag. 4 sent. GUP) come nel reato in parola l’età della persona offesa costituisca un preciso elemento costitutivo della fattispecie, essendo l’età il catalizzatore del disvalore del fatto; ciò in ragione del fatto che la norma tutela non già e non solo la libertà sessuale del minore, quanto il corretto sviluppo della sua acerba personalità dalle insidie provenienti da soggetti terzi (motivazione con cui il ricorrente non si confronta laddove afferma che non si è verificata alcuna compressione della libertà sessuale della vittima, essendo la stessa, secondo la prospettazione difensiva, colei che ha assunto l’iniziativa);

– ritenuto che dalla predetta considerazione scaturisce un preciso obbligo di attivarsi, in capo all’agente, per superare l’eventuale condizione di ignoranza della persona offesa, che non può fondarsi sulle dichiarazioni della sola persona offesa, in quanto in questo caso è richiesto “un “impegno conoscitivo” proporzionale alla presenza dei valori in gioco” (cita Cass. 32235-2007);

– infine, evidenziato come l’imputato avrebbe dovuto attivarsi per sincerarsi dell’età della ragazza “adoperandosi, ad esempio, mediante consuete ricerche sui social media, oppure solo chiedendo maggiori informazioni al M., al fratello ed all’amica di M.M. che si trovavano in compagnia della stessa ovvero proprio alla ragazza alla quale, invece, non ha assolutamente chiesto quanti anni aveva”.

La motivazione, sul punto, non appare illogica nè apparente in ordine all’insussistenza di quella “ignoranza inevitabile” prevista quale causa di esclusione della colpevolezza dall’art. 609-sexies c.p.

Del resto, non sembra ultroneo sottolineare come, anche utilizzando dati di comune esperienza, affatto diversa è la sembianza di una giovane donna prossima al compimento del diciottesimo anno di età rispetto a quella di una tredicenne, quale era la persona offesa al momento del fatto, ciò che avrebbe dovuto indurre l’imputato ad una ancora maggiore diligenza in ordine all’accertamento dell’età effettiva della partner. Circostanza, questa, ben chiara al giudice di primo grado laddove sottolinea che lo stesso imputato, in un primo momento, aveva espresso le sue perplessità al M. perché “quella ragazza era piccola di età”, concludendo – con motivazione logica e coerente – nel senso che “deve ascriversi a colpa, e quindi fuori dal perimetro dell’ignoranza inevitabile, la condotta dell’imputato che a fronte del dubbio sull’età effettiva della vittima ha omesso di attivarsi per acquisire certezze sul punto, pur essendo nelle sue possibilità”.

Tale affermazione risulta perfettamente in linea con la costante giurisprudenza della Corte secondo cui il fatto tipico scusante previsto in relazione all’ignoranza inevitabile circa l’età della persona offesa è “configurabile solo se emerga che nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, possa essere rivolto all’agente, per avere egli fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori” (Sez. 3, n. 29640 del 14/03/2018, non massimata; n. 3651 del 10/12/2013, dep. 2014, Rv. 259089), nonché della stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 322 del 24.7.2007), la quale, nel ribadire il principio, ha ulteriormente precisato che “qualora gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto dispone lascino residuare il dubbio circa l’effettiva età del partner, detto soggetto al fine di non incorrere in responsabilità penali, deve necessariamente astenersi dal rapporto sessuale: giacché operare in situazioni di dubbio circa un elemento costitutivo dell’illecito (o un presupposto del fatto) -lungi dall’integrare una ipotesi di ignoranza inevitabile – equivale ad un atteggiamento psicologico di colpa, se non addirittura di dolo eventuale”. Il ricorso non si confronta puntualmente nè con il contenuto del provvedimento impugnato nè con la citata, univoca, sedimentata giurisprudenza.

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del D.P.R. n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.


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