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Chi ha la 104 può uscire?

15 Marzo 2023 | Autore:
Chi ha la 104 può uscire?

Permessi legge 104: cosa può fare il lavoratore dipendente nei giorni di assenza dal lavoro? Può riposarsi?

La legge 104 del 1992 rappresenta un fondamentale strumento di tutela per le persone con disabilità o non autosufficienza. Tra le diverse garanzie previste dalla normativa, spicca il diritto del lavoratore che assiste un familiare con handicap a fruire di tre giorni di permesso retribuito al mese dal lavoro, noto come “permesso 104”. Questo permesso consente di dedicarsi alle esigenze del congiunto con disabilità senza subire ripercussioni sul posto di lavoro. Il che significa doversi necessariamente recare presso la dimora di quest’ultimo, non essendo ammessa un’assistenza “a distanza2.

Sorge tuttavia spesso il dubbio se chi ha la 104 può uscire dalla casa ove si trova il familiare disabile e quali siano i limiti e le regole che disciplinano la sua utilizzazione. 

In questo articolo analizzeremo nel dettaglio le norme che regolamentano il permesso 104 e le situazioni in cui è consentito o vietato uscire di casa durante la sua fruizione. In particolare, vedremo quali sono i diritti e i doveri del lavoratore che richiede il permesso, ma anche quelli dell’azienda che lo concede. Infine, faremo il punto sulla giurisprudenza in materia e sulle possibili conseguenze in caso di utilizzo improprio del permesso 104.

Cosa si può fare durante i permessi 104?

Cosa succede se il lavoratore che fruisce di questo permesso decide di uscire? Ha il diritto di farlo o rischia di essere sanzionato?

In realtà, la risposta a questa domanda dipende dalle circostanze specifiche di ogni caso. Tuttavia, è importante sottolineare che la legge 104/92 prevede che il lavoratore che assiste un familiare con disabilità ha il diritto di usufruire del permesso giornaliero per svolgere brevi attività personali o di svago, a patto che non compromettano l’assistenza al portatore di handicap, che è il vero e unico fine del permesso stesso. 

Si può uscire durante i permessi 104?

Il lavoratore che assiste un familiare con disabilità non può rimanere a casa propria durante i giorni di permesso ma deve recarsi presso la dimora del familiare non autosufficiente. E di lì può anche uscire: di certo può farlo se deve compiere attività necessarie al disabile come fare la spesa, acquistare le medicine o trasportarlo ovunque questi necessiti. Ma può anche uscire per provvedere alle proprie incombenze laddove di breve termine. 

Secondo una recente sentenza della Cassazione [1], il fatto di trascorrere del tempo al parco a leggere un libro durante il permesso retribuito per l’assistenza di familiari non autosufficienti non può essere considerato come giusta causa di licenziamento. In altre parole, il lavoratore che fruisce del permesso giornaliero 104 non è considerato inadempiente se dedica parte del tempo a sé stesso, a patto che in quel giorno svolga comunque il compito assistenziale. Infatti, la legge prevede che il permesso “104” sia concesso per permettere ai lavoratori di assistere familiari non autosufficienti. Questo però comprende anche la possibilità di momenti di relax personale per recuperare le energie psico-fisiche e così fronteggiare l’onere gravoso di cura verso il proprio familiare che, invece, un altro lavoratore non sopporta. Quindi, il lavoratore che utilizza questo tipo di permesso ha il diritto di dedicare del tempo anche a se stesso.

Inoltre, la coincidenza tra il periodo di permesso e l’orario di lavoro non costituisce di per sé un comportamento illecito nella fruizione del permesso. Ciò che conta è che durante il periodo di permesso venga di fatto svolto il compito assistenziale, indipendentemente dalle attività personali del lavoratore.

Durante quali ore si può uscire con la 104?

Secondo la giurisprudenza, l’assistenza al familiare disabile durante il permesso non deve svolgersi nell’intero orario di lavoro giornaliero, ma nell’arco della giornata. Pertanto nulla osta a che il lavoratore in permesso possa durante il giorno uscire dall’abitazione dove risiede il familiare sia per svagarsi un po’ sia per attendere a compiti di sostegno come recarsi in negozi o negli studi dei medici che curano il parente disabile.

Cosa si può fare nei giorni di permesso 104?

La legge sui permessi 104 prevede che, durante i giorni di assenza dal lavoro per assistere un familiare disabile, l’assistenza sia obbligatoria, ma non necessariamente continuativa. Questo significa che l’uso del permesso può essere compatibile con lo svolgimento di piccole attività quotidiane come fare la spesa o pulire la casa, a condizione che queste non diventino prevalenti rispetto all’assistenza. Tali attività dovrebbero essere viste come semplici intermezzi tra momenti di assistenza e non dovrebbero assumere troppo tempo rispetto alla giornata di permesso. 

In questo modo, il lavoratore può attendere alle sue responsabilità familiari e al tempo stesso garantire il corretto svolgimento delle attività lavorative. 

In sintesi, l’obiettivo principale della legge 104 è quello di garantire la giusta assistenza alle persone con disabilità e, allo stesso tempo, permettere ai familiari di conciliare le loro responsabilità di cura con quelle lavorative.

In una sentenza del 2016, la Suprema Corte ha stabilito che il permesso 104 è stato creato per consentire ai lavoratori che dedicano tutto il loro tempo alla cura di un familiare disabile di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere alle proprie esigenze personali. La funzione primaria del permesso 104 resta quindi quella di prestare un aiuto e assistenza continuativa ai portatori di handicap e, al contempo, un sostegno economico integrativo alle famiglie.

Tuttavia, ciò non significa che l’assistenza debba essere prestata esclusivamente durante le ore lavorative del dipendente. La legge richiede solo che venga prestata l’assistenza ma non necessariamente 24 ore su 24. È sufficiente che l’assistenza sia costante e flessibile in base alle esigenze del lavoratore. In altre parole, l’uso del permesso 104 è compatibile con l’adempimento di piccole faccende quotidiane, ma queste non devono assumere un carattere “prevalente” rispetto all’assistenza al familiare disabile.

Approfondimenti

Cosa si può fare durante i permessi legge 104?


note

[1] Cass. sent. n. 7306/2023.

[2] Cass. sent. n. 54712/16. 

Corte di Cassazione Sezione L Civile Ordinanza 13 marzo 2023 n. 7306

Data udienza 24 gennaio 2023

Integrale

Lavoro – Licenziamento – Illegittimità – Dipendente – Permessi per assistere i genitori disabili – Pausa dalla varie incombenze per leggere un libro al parco

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4944/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. (denominata anche (OMISSIS) S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI n. 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO TOSI, ANDREA UBERTI, MARCO TOSI disgiuntamente tra di loro;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI N. 35 B, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE DI PAOLO che lo rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato CARLO PAOLESSI;

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI GENOVA n. 547/2019, depositata il 25/11/2019, R.G.N. 519/2018;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2023 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO CHE

1. La Corte d’appello di Genova ha respinto il reclamo principale della (OMISSIS) spa – (OMISSIS) spa e il reclamo incidentale di Luigi (OMISSIS), confermando la sentenza del tribunale che, al pari dell’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa, intimato con lettera del 10.5.2017, per avere il dipendente (in cinque giorni – sui sette controllati tramite investigatori privati – nei mesi di ottobre, dicembre 2016 e marzo 2017) usufruito dei permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per finalità estranee all’assistenza dei genitori disabili.

2. La Corte territoriale ha premesso che il (OMISSIS) aveva diritto ai permessi di cui all’articolo 33 cit. per assistere entrambi i genitori in condizioni di handicap grave; ha accertato, attraverso plurimi testimoni, che nel mese di dicembre 2016 il predetto aveva trasferito il padre presso la propria abitazione, a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute della madre; che quindi per il tempo in cui il (OMISSIS) è rimasto nella propria abitazione, nel mese di dicembre 2016, ha usufruito regolarmente dei permessi per assicurare l’assistenza al padre; che l’accesso, il 7 dicembre, presso un negozio di articoli sanitari, rilevato dagli investigatori, era finalizzato all’acquisito di una poltrona per la madre, come riferito dai testimoni, ed era anch’esso legato alle necessità di assistenza; che nei restanti giorni, oggetto di controllo investigativo, il (OMISSIS) ha svolto altre incombenze rientranti nella finalità dei permessi, come recarsi dai medici che assistono i genitori o effettuare acquisti per le esigenze dei medesimi e, comunque, è rimasto nel quartiere ove si trovava la sua abitazione, quella dei genitori ed anche quella della sorella, con cui doveva coordinarsi, essendo anch’ella impegnata nell’assistenza ai genitori; in tale contesto, secondo i giudici di appello, dovevano considerarsi non decisivi gli intervalli di tempo non dedicati alla cura dei genitori ma, ad esempio, alla lettura di libri presso i giardini pubblici, circostanza rilevata dagli investigatori in due distinte occasioni nel periodo di tempo considerato (corrispondente all’orario di lavoro) e ogni volta per la durata di circa due ore.

3. Sulla base dei dati appena esposti, la sentenza impugnata ha ritenuto che fosse sostanzialmente garantita dal lavoratore l’assistenza ai genitori, nei sette giorni oggetto di investigazione, ed ha sottolineato come tale onere di assistenza dovesse valutarsi con la necessaria flessibilita’, in modo da poter considerare anche i bisogni personali del dipendente e l’integrita’ del suo equilibrio psicofisico, sottoposto ad una gravosa prova per le incombenze legate alla cura dei familiari in difficili condizioni di salute; cio’ secondo una interpretazione che tenga conto dei principi costituzionali di tutela della salute e della solidarieta’ familiare.

4. I giudici di appello hanno quindi escluso che la condotta del lavoratore costituisse un grave inadempimento degli obblighi sul medesimo gravanti ed hanno giudicato il licenziamento privo di giusta causa ed anche di giustificato motivo soggettivo. Hanno respinto il reclamo incidentale del lavoratore per difetto di prova del motivo ritorsivo addotto.

5. Avverso tale sentenza la (OMISSIS) spa – (OMISSIS) spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. Luigi (OMISSIS) ha resistito con controricorso. E’ stata depositata memoria, ai sensi dell’articolo 380 bis.1. c.p.c., nell’interesse della societa’ ricorrente.

Considerato che

6. Con il primo motivo di ricorso la societa’ deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 33, L. 104 del 1992.

7. Afferma, richiamando precedenti di legittimita’, come l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso debba porsi in “relazione diretta” con l’assistenza del disabile e critica la decisione d’appello nella parte in cui, richiamando la pronuncia di primo grado, reputa legittimo verificare la proporzione tra tempo-assistenza e tempo-svago avendo riguardo non all’orario di lavoro (tra le 9 e le 17) ma all’intera giornata di 24 ore, cosi’ introducendo la possibilita’ di una compensazione tra tempo-assistenza fuori orario di lavoro e tempo-svago durante l’orario di lavoro; ritiene contrario ai principi giurisprudenziali in materia che nel computo dell’assistenza prestata possano inserirsi le notti e il tempo estraneo all’orario di lavoro. A sostegno di tale lettura la societa’ ricorrente invoca il regolamento Inps (prodotto dal lavoratore all’udienza del 7.2.2018) ed il regolamento aziendale (prodotto dalla societa’ come doc. 9 del grado di appello), che riconoscono ai lavoratori il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile, anche “frazionabili in ore”, e rileva che, se si ammettesse, come fa la Corte d’appello, una possibile compensazione tra tempo-svago e tempo-assistenza nell’arco dell’intera giornata, la modalita’ di fruizione dei permessi “ad ore” non avrebbe alcun significato. Assume che, secondo la corretta logica normativa, il tempo di assistenza debba essere direttamente commisurato alla mancata prestazione lavorativa, dovendo ogni esigenza di recupero psico-fisico del lavoratore trovare spazio in orario extra lavorativo, come avviene nel caso in cui la normale prestazione di lavoro venga resa.

8. Con il secondo motivo di ricorso la (OMISSIS) spa denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 48, lettera B) del c.c.n.l. nonche’ dell’articolo 2119 c.c., assumendo che i comportamenti contestati sono certamente tali, nella loro oggettiva gravita’, da compromettere irrimediabilmente la fiducia riposta dalla societa’ nel lavoratore, pregiudicando ogni aspettativa di futura corretta prestazione; che la lesione del vincolo fiduciario e’ ancor piu’ evidente ove si consideri che la procedura “Employ Self Service” adottata dalla societa’ e che garantisce ai lavoratori piena liberta’ e autonomia nella fruizione dei permessi, impone il massimo affidamento nella loro corretta gestione.

9. Con il terzo motivo di ricorso la societa’ deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2729, c.c., sostenendo come, a fronte di fatti certi oggettivamente incompatibili con l’assistenza ai genitori, era onere del lavoratore dimostrare di avere effettivamente destinato il tempo di lavoro alla cura dei medesimi, prova in realta’ mai raggiunta ma indebitamente sostituita da reiterati richiami alla presunzione.

10. Con il quarto motivo si addebita alla sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2118 c.c. e dell’articolo 3, L. n. 604 del 1966, per aver respinto anche la domanda subordinata della societa’, di conversione in licenziamento con preavviso, nonostante fosse innegabile il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali e dei canoni etici da parte del lavoratore.

11. Con il quinto motivo si critica la decisione d’appello, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’articolo 112 c.p.c. in combinato disposto con l’articolo 18, comma 5, della L. n. 300 del 1970, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, per avere respinto, senza motivazione alcuna, anche la domanda ulteriormente subordinata di applicazione della tutela indennitaria, di cui all’articolo 18, comma 5, cit. Si assume che, se rapportati all’orario lavorativo, i tempi sottratti all’assistenza integrerebbero un’evidente sviamento rispetto alla finalita’ dei permessi e che quindi l’esclusione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso ricadrebbe nella valutazione di proporzionalita’ anziche’ di insussistenza del fatto. Si aggiunge che, pur nella denegata ipotesi in cui si decidesse di rapportare i tempi di non assistenza all’intera giornata, resterebbe comunque la certezza di una, sia pur ridotta, distrazione del permesso dalle sue finalita’ assistenziali, con conseguente sussistenza del fatto materiale e cio’ basterebbe a precludere la tutela reintegratoria e ad indirizzare verso la tutela indennitaria.

12. Il primo motivo di ricorso, che pone la questione giuridica della individuazione di tempi e dei modi dell’assistenza ai familiari disabili da parte del lavoratore che fruisce dei permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della L. 194 del 1992, e’ infondato e parimenti infondati sono i residui motivi concernenti, tra l’altro, la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di recesso nonche’ le forme di tutela applicabili al licenziamento per cui e’ causa.

13. La disposizione di cui all’articolo 33, comma 3 cit. e’ stata piu’ volte modificata, prima ad opera della L. n. 53 del 2000 (articolo 19) che ha eliminato il requisito della convivenza, e successivamente ad opera della L. n. 183 del 2010 (articolo 24, comma 1) che ha eliminato i requisiti della “continuita'” e della “esclusivita'” dell’assistenza prestata al disabile (successive modifiche sono state apportate dall’articolo 6, d. lgs. n. 119 del 2011 e, da ul (OMISSIS)o, dal Decreto Legislativo n. 105/2022). L’articolo 33, comma 3 cit., nella versione risultante dopo la L. n. 183 del 2010 e che rileva nella fattispecie in esame, prevede: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravita’, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (…), ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”.

14. Il permesso mensile retribuito di cui all’articolo 33, comma 3 cit., come sottolineato dalla Corte Cost. nella sentenza 213 del 2016, e’ espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave. Si tratta di uno strumento di politica socio-assistenziale, che, come quello del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, e’ basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravita’ prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarieta’ interpersonale ed intergenerazionale.

15. La ratio della previsione in esame e’ quella di “assicurare in via prioritaria la continuita’ nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare” (v. Coste Cost., sentenze n. 19 del 2009 e n. 158 del 2007) e si inserisce nelle piu’ ampie finalita’ della L. 104 del 1992, di tutela dei soggetti portatori di handicap in situazione di gravita’, affetti cioe’ da una compromissione delle capacita’ fisiche, psichiche e sensoriali tale da “rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione”, secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 3, della L. n. 104 del 1992 (v. Cass. n. 21416/19).

16. Nella cornice appena descritta, che ha sullo sfondo i valori di rilievo costituzionale di cui agli articoli 2 e 32 Cost. nonche’ i principi di solidarieta’ interpersonale ed intergenerazionale, il diritto ai permessi retribuiti e’ riconosciuto al “lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravita'”; il nesso che il testo normativo pone non e’ di tipo strettamente temporale, cioe’ tra la fruizione del permesso e la prestazione di assistenza in precisa coincidenza con l’orario di lavoro, bensi’ funzionale, tra il godimento del permesso e le necessita’, gli oneri, gli incombenti che connotano l’attivita’ di assistenza delle persone disabili in condizioni di gravita’. Il contenuto dell’assistenza che legittima l’assenza dal lavoro (il permesso retribuito), quindi i tempi e i modi attraverso cui la stessa viene realizzata, devono individuarsi in ragione della finalita’ per cui i permessi sono riconosciuti, cioe’ la tutela delle persone disabili, il cui bisogno di ricevere assistenza giustifica il sacrificio organizzativo richiesto al datore di lavoro.

17. E’ quindi elemento essenziale della fattispecie di cui all’articolo 33, comma 3 cit., l’esistenza di un diretto e rigoroso nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile, da intendere, come questa Corte ha gia’ chiarito, non in senso cosi’ rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile. Cio’ senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro, purche’ risulti non solo non tradita (secondo forme di abuso del diritto) ma ampiamente soddisfatta, in base ad una valutazione necessariamente rimessa al giudice di merito, la finalita’ del beneficio che l’ordinamento riconosce al lavoratore in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarieta’ sopra richiamati (v. Cass. n. 19580/2019; Cass. n. 21520/2019; Cass. n. 30676/2018; Cass. n. 23891/2018; Cass. n. 20098/2017).

18. Sulla base di tali premesse, escluso, come gia’ ribadito da questa Corte (v. Cass. n. 17968/16), un utilizzo dei permessi in funzione “meramente compensativa” delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza fornita in orario extralavorativo, spetta al giudice di merito valutare se la fruizione dei permessi possa dirsi in concreto realizzata in funzione della preminente esigenza di tutela delle persone affette da disabilita’ grave, e pur nella salvaguardia di una residua conciliazione con le altre incombenze personali e familiari che caratterizzano la vita quotidiana di ogni individuo.

19. Da cio’ consegue che ove manchi del tutto un nesso causale tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile, non puo’ riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si e’ in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede, privando sine causa il datore di lavoro della prestazione e determinando uno sviamento dell’intervento assistenziale dell’Inps (v. Cass. 17968/16;

Cass. n. 9217/2016; Cass. n. 9749/2016; Cass. n. 4984/2014); nei casi in cui il lavoratore in permesso ex articolo 33, comma 3 cit., svolga l’attivita’ di assistenza in tempi e modi tali da soddisfare in via preminente le esigenze ed i bisogni dei congiunti in condizione di handicap grave, pur senza abdicare del tutto alle esigenze personali e familiari altre rispetto a quelle proprie dei congiunti disabili e pure a prescindere dall’esatta collocazione temporale di detta assistenza nell’orario liberato dall’obbligo della prestazione lavorativa, non potra’ ravvisarsi alcun abuso del diritto o lesione degli obblighi di correttezza e buona fede, quindi alcun inadempimento.

20. La Corte di appello si e’ attenuta ai principi e criteri di giudizio appena richiamati e, sulla base di un puntuale accertamento e senza inversione alcuna degli oneri di prova, ha verificato come i giorni di permesso ex articolo 33 cit. siano stati utilizzati dal lavoratore in misura prevalente per esigenze connesse all’assistenza dei genitori disabili, sia sotto forma di assistenza domiciliare e sia attraverso accessi in negozi sanitari e studi medici, contatti con altri familiari coinvolti nella cura dei genitori, escludendo di conseguenza che potesse configurarsi un inadempimento di rilievo disciplinare.

21. In coerenza con l’esito dell’accertamento svolto e con la esclusione di una condotta inadempiente rispetto ai doveri derivanti dal rapporto di lavoro, la Corte d’appello, in conformita’ ai giudici di primo grado, e’ giunta alla conclusione per cui la condotta posta in essere dal lavoratore nella fruizione dei permessi non integrasse un abuso o uno sviamento dalle finalita’ del beneficio e che quindi fosse insussistente il fatto contestato, dovendo trovare applicazione la tutela reintegratoria di cui all’articolo 18, comma 4, della L. n. 300 del 1970, come modificato dalla L. n. 92 del 2012. La mancanza di una condotta inadempiente, di rilievo disciplinare, ha logicamente determinato la impossibilita’ di configurare anche i requisiti del giustificato motivo soggettivo di recesso (Cass. n. 6848/2010; Cass. n. 25743/2007), dovendosi escludere il vizio di omessa pronuncia al riguardo. Questa Corte ha chiarito che ad integrare il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma e’ necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: cio’ non si verifica quando la decisione adottata comporti il rigetto della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. Cass. n. 24155 del 2017; n. 17956 del 2015; n. 20311 del 2011).

22. Non vi e’ spazio per invocare la tutela di cui all’articolo 18, comma 5, cit. poiche’ essa comunque presuppone che un fatto di rilievo disciplinare sia stato commesso e sia imputabile al lavoratore, ma che rispetto a tale fatto, per le caratteristiche oggettive o soggettive, risulti sproporzionata la sanzione espulsiva.

23. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto. Le spese sono regolate secondo il regime di soccombenza e liquidate come in dispositivo, con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

 


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