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Boicottaggio sul lavoro: cosa fare?

16 Marzo 2023 | Autore:
Boicottaggio sul lavoro: cosa fare?

Quando denunciare il datore di lavoro che blocca la carriera del dipendente. 

Il boicottaggio sul posto di lavoro è un fenomeno purtroppo assai diffuso in molte realtà lavorative. Si tratta di un comportamento che può avere conseguenze negative non solo sulla carriera ma anche sulla psiche del lavoratore e quindi sulla sua produttività. Ma cosa si intende esattamente per boicottaggio sul lavoro? Cosa prevede la legge e soprattutto, cosa si può fare per prevenirlo e affrontarlo?

In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande e di offrire consigli utili su come comportarsi in caso di boicottaggio sul posto di lavoro. Prima di tutto, vedremo quali sono le forme di boicottaggio più comuni, come il mobbing, lo straining e la diffamazione. Successivamente, illustreremo le conseguenze giuridiche di tale comportamento. Scopriremo che, in alcuni casi, il boicottaggio costituisce reato e consente al lavoratore di sporgere querela. Ma procediamo con ordine.

Lavoratore emarginato e boicottato

Il boicottaggio del lavoratore dipendente può essere attuato in diversi modi. Alcuni di questi consistono nel:

  • bocciare qualsiasi iniziativa o proposta del dipendente;
  • bloccare qualsiasi possibilità di crescita del dipendete;
  • rifiutare qualsiasi richiesta di promozione pur se giustificata;
  • escludere il dipendente da progetti e iniziative che vedono coinvolti i suoi colleghi;
  • emarginare il dipendente o escluderlo da qualsiasi processo decisionale;
  • costringere il dipendente a una forzosa inattività, svuotandolo di mansioni;
  • parlare male di un collega alle sue spalle.

Questi comportamenti, se reiterati e sorretti tutti da un unico scopo, ossia quello di marginalizzare il dipendente, rientrano nel cosiddetto mobbing. Il mobbing può essere integrato anche da condotte che, singolarmente prese, sono lecite ma che, nel loro complesso, non lo sono più in quanto rivolte appunto a boicottare il dipendente, allontanandolo dall’ambiente di lavoro e spingendolo a rassegnare le proprie dimissioni. 

Il mobbing, come vedremo a breve, consente a chi ne è vittima di chiedere il risarcimento del danno professionale e morale. In alcuni casi il mobbing costituisce reato sicché è possibile sporgere una querela contro il responsabile. 

Se invece il comportamento incriminato è isolato o se, in caso di una pluralità di comportamenti, questi non sono sorretti dall’obiettivo di escludere il dipendente, allora si può agire a titolo di straining. Lo straining è una forma attenuta di mobbing e consente anch’esso di chiedere il risarcimento del danno nella misura in cui l’atto possa qualificarsi come illecito. 

Secondo una recente sentenza del tribunale di Napoli [1] sussiste il mobbing in caso di condotta del datore di lavoro o dei dirigenti, protratta nel tempo, consistente in reiterati comportamenti ostili che assumono la forma di discriminazione o di persecuzione psicologica da cui consegue la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente nell’ambiente di lavoro, con effetti lesivi del suo equilibrio psico-fisico e della personalità. Pertanto il datore di lavoro deve essere condannato a risarcire al lavoratore il danno non patrimoniale e il danno alla professionalità laddove il dipendente ha subito l’impoverimento del bagaglio professionale e la riduzione delle opportunità di progressione di carriera.

Differenza tra mobbing e straining

Il mobbing e lo straining sono due fenomeni che si verificano spesso sul posto di lavoro e che possono avere conseguenze negative per la salute e il benessere psicologico dei dipendenti. Sebbene entrambi possano manifestarsi con comportamenti vessatori, esistono alcune differenze sostanziali tra i due.

Il mobbing è caratterizzato da comportamenti intenzionali e sistematici, finalizzati a emarginare, isolare o umiliare un dipendente. Questo tipo di violenza psicologica può essere perpetuato da superiori o da colleghi dello stesso livello contrattuale, e può manifestarsi attraverso azioni come il demansionamento, la diffamazione, l’isolamento e la discriminazione. Il mobbing è considerato un illecito civile e può comportare il licenziamento del responsabile, oltre a un risarcimento per danni morali.

Lo straining, d’altra parte, si riferisce a condizioni lavorative stressogene, che possono compromettere la salute mentale dei dipendenti. Questo fenomeno può manifestarsi attraverso situazioni come il sovraccarico di lavoro, la mancanza di supporto da parte dei superiori, la mancanza di risorse adeguate e la mancanza di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Lo straining può causare stress, ansia e depressione, e può portare a problemi di salute fisica come mal di testa, mal di schiena e disturbi del sonno.

La differenza principale tra mobbing e straining risiede nella frequenza e nella durata dei comportamenti vessatori. Il mobbing si manifesta attraverso comportamenti intenzionali e ripetitivi, mentre lo straining può sussistere anche con pochi episodi di comportamento vessatorio, anche uno solo ripetuto nel tempo. Inoltre, il mobbing ha come fine l’emarginazione e l’umiliazione del dipendente, mentre lo straining no. La mancanza di tale presupposto rende lo straining molto più facile da dimostrare rispetto al mobbing.

In ogni caso, sia il mobbing che lo straining sono da considerarsi illeciti. E poiché il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza e la salute psicofisica dei dipendenti, in presenza di tali circostanze è tenuto a risarcire i danni al lavoratore.

Attenzione però: poiché il mobbing è anche quello dei colleghi (cosiddetto mobbing orizzontale), in tal caso il datore è tenuto a risarcire il danno solo nella misura in cui sia stato previamente avvertito della situazione illecita.

La diffamazione ai danni del dipendente 

Il dipendente che viene deriso alle spalle è vittima di diffamazione. In tal caso può presentare una querela direttamente contro il responsabile. Non può agire contro il datore per condotte poste da altri dipendenti (a differenza di quanto avviene per il mobbing).

Se invece le offese vengono rivolte direttamente al dipendente, in sua presenza, non c’è diffamazione e non si rientra nel penale. Si è piuttosto in presenza di ingiuria che è un semplice illecito civile, ragion per cui la vittima potrà tutt’al più chiedere il risarcimento al responsabile.  

Come comportarsi in caso di boicottaggio sul lavoro?

Una volta chiarito che il boicottaggio sul lavoro può rientrare nel mobbing o nello straining a seconda che il comportamento illecito sia reiterato o meno, vediamo quali sono le tutele che predispone l’ordinamento a favore del lavoratore. 

In entrambi i casi egli può chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. I danni patrimoniali consistono nel pregiudizio alla progressione di carriera. Il danno non patrimoniale consiste nel danno alla salute (ad esempio lo stress psichico). 

Entrambi i danni richiedono però una prova compiuta e certa.

Quando il boicottaggio è reato

Il boicottaggio sul lavoro diventa reato tutte le volte in cui, rientrando nel mobbing, esso si consuma in un piccolo ambiente di lavoro, là dove il datore è a stretto e quotidiano contatto con i dipendenti. In ipotesi del genere, infatti, secondo la giurisprudenza, si configura il reato di maltrattamenti. Tale reato però si può concretizzare solo nelle piccole realtà aziendali e non in quelle grandi costituita da diverse sedi e tra datore (di solito una società) e dipendente non c’è alcun rapporto diretto. 


note

[1] Trib. Napoli, sent. n. 6663/22 del 15.12.2022.


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