Dentista: il paziente deve segnalare la propria sieropositività?


Nel mio studio odontoiatrico si è presentato un paziente che era affetto da sieropositività senza comunicarlo in anamnesi. Esiste una legge che impone a chi ha contratto l’Hiv di darne notizia ai medici prima del trattamento sanitario? Possono esserci responsabilità penali per chi tace?
Non sembra sussistere un obbligo, per il paziente, di dichiarare sempre la propria sieropositività in occasione di cure odontoiatriche.
Tanto si evince dal provvedimento (ordinanza n. 239 del 10 giugno 2021) con cui il Garante per la privacy ha pesantemente sanzionato (multa di 20mila euro) un dentista per aver raccolto, all’atto di accettazione del paziente, informazioni sulle malattie infettive tra le quali quelle relative all’Hiv, indipendentemente dal tipo di intervento da effettuare o di piano di cura da intraprendere.
È quindi illegittimo il questionario, distribuito e poi raccolto all’atto dell’accettazione del paziente in cui viene richiesto, nell’ambito di una raccolta anamnestica generale, di dichiarare di avere o avere avuto malattie infettive anche (se sospette) quali tubercolosi, epatite A, B, C e Hiv.
Al contrario, è legittima la richiesta di acquisire le informazioni al momento dell’avvio della relazione medica in vista della corretta programmazione del piano di cura più adeguato al singolo caso: in questa ipotesi, lo specialista può legittimamente raccogliere anche il dato relativo all’eventuale presenza di un’infezione da Hiv, se la predetta informazione sia ritenuta dal dentista necessaria in funzione del tipo di intervento sanitario o di piano terapeutico da eseguire sul paziente.
Insomma: la raccolta dell’informazione riguardante la propria sieropositività deve essere necessaria e propedeutica al successivo intervento medico da adottare, non essendo possibile imporre la rivelazione di tale dato già alla prima seduta, a prescindere da ogni diagnosi e dal trattamento programmato.
La rivelazione delle proprie patologie, peraltro, non dovrebbe servire a respingere il paziente quanto, piuttosto, ad offrire la miglior prestazione medica possibile, eventualmente anche con un rafforzamento delle protezioni dal rischio del contagio, la cui adozione è obbligatoria per tutti gli operatori, nelle strutture sanitarie ed assistenziali, pubbliche e private; a queste si aggiungono le precauzioni specifiche per gli operatori odontoiatrici.
A quanto appena detto si aggiungono ulteriori considerazioni. Ai sensi dell’art. 5 della legge n. 135 del 5 giugno 1990, «l’operatore sanitario e ogni altro soggetto che viene a conoscenza di un caso di Aids, ovvero di un caso di infezione da Hiv, anche non accompagnato da stato morboso, è tenuto a prestare la necessaria assistenza e ad adottare ogni misura o accorgimento occorrente per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dell’interessato, nonché della relativa dignità».
Ai sensi dell’art. 4 del d.m. 28 settembre 1990, «Gli operatori odontoiatrici, oltre ad osservare le precauzioni di carattere generale, debbono indossare i guanti durante le manovre che possono comportare contatto con mucose, sangue, saliva e fluido gengivale, sostituendoli per ogni singolo paziente. I manipoli, gli ablatori ad ultrasuoni, le siringhe aria/acqua, le frese e qualsiasi altro strumento che venga a contatto con le mucose, dopo l’utilizzo, se riutilizzabili, vanno sterilizzati per ogni singolo paziente. Nei casi in cui la sterilizzazione non sia tecnicamente possibile, è obbligatoria la disinfezione degli strumenti con sostanze chimiche di riconosciuta efficacia sull’Hiv. Tutti i rifiuti dei gabinetti dentistici debbono essere eliminati secondo la procedura di cui alla legge 10 febbraio 1989, n. 45».
A ciò si aggiunga che nessun medico, anche se esercita all’interno di uno studio privato, può mai rifiutare di prestare soccorso a un malato in gravi condizioni: in un’ipotesi del genere, il medico deve sempre assistere il paziente, nei limiti delle proprie competenze e in attesa di soccorsi specializzati.
Ad esempio, se il paziente di un dentista, mentre è in sala d’attesa, viene colto da un improvviso malore, dovrà essere tempestivamente assistito dal dentista stesso, non potendosi questo rifiutare solamente perché si tratta di cure che non riguardano la propria specializzazione.
Questo obbligo è sancito direttamente dal codice deontologico dei medici, secondo cui «Il medico, indipendentemente dalla sua abituale attività, non può mai rifiutarsi di prestare soccorso o cure d’urgenza e deve tempestivamente attivarsi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza» (Art. 7, cod. deont. med.).
Se un medico rifiuta di prestare soccorso a una persona che ne ha urgente bisogno, allora scatta il reato di omissione di soccorso (art. 593 cod. pen.), punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a duemilacinquecento euro.
Se il diniego proviene da un medico che esercita in ospedale o in altra struttura convenzionata con il servizio sanitario nazionale, si incorrerebbe nel reato di rifiuto di atti d’ufficio, punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art. 328 cod. pen.).
Quanto detto sinora si applica anche al caso del dentista che rifiuta un paziente con Hiv. Bisogna quindi distinguere:
- se il dentista esercita in una struttura pubblica o convenzionata con il servizio sanitario nazionale, non potrà assolutamente rifiutarsi di assistere un paziente con Hiv;
- se il dentista esercita come libero professionista, allora potrà rifiutare la persona sieropositiva, in quanto in capo al medico privato sussiste solamente l’obbligo di intervenire in caso d’urgenza.
Venendo ai possibili profili penalistici, la giurisprudenza ha più volte affrontato casi di imputati che, consapevolmente, hanno trasmesso la sieropositività ad altre persone.
Uno dei casi più noti ha riguardato un giovane uomo accusato di epidemia dolosa e lesioni gravissime in quanto, pur essendo pienamente consapevole della propria malattia, non lo aveva mai rivelato ai suoi partner e, senza preoccuparsi di proteggerli, nel corso di dieci anni aveva contagiato decine di persone.
Da un punto di vista strettamente giuridico, la condotta di chi accetta consapevolmente il rischio di trasmettere l’infezione ad un altro soggetto integra il reato di lesioni personali gravissime, in quanto comportante la trasmissione di una malattia «certamente o probabilmente insanabile». Ai sensi dell’art. 583 cod. pen., la pena è la reclusione da sei a dodici anni.
Tuttavia, affinché si realizzi una condotta penalmente rilevante è necessario che la persona affetta da Hiv sia consapevole del proprio stato di salute, in seguito ad una diagnostica di sieropositività.
Non è invece fondamentale che il soggetto abbia una specifica volontà di contagiare gli altri (in genere, il partner): è sufficiente che sia a conoscenza del rischio che dalla propria condotta derivi la trasmissione del virus. È sufficiente, in altre parole, ciò che in linguaggio giuridico viene chiamato “dolo eventuale”, cioè l’accettazione del rischio che l’evento penalmente rilevante si verifichi.
Se tale accettazione non c’è, allora il reato può degradare a fattispecie meramente colposa, punita in modo decisamente meno severo (art. 590 cod. pen., reclusione da tre mesi a due anni o multa da 309 a 1.239 euro).
Traslando quanto appena detto nel campo medico-odontoiatrico, è difficile pensare che un paziente, consapevolmente affetto da Hiv, si rechi dal dentista con l’intento di contagiare le altre persone; anche se ciò fosse, la volontà dolosa del sieropositivo dovrebbe comunque essere “neutralizzata” dalle precauzioni che ogni dentista dovrebbe sempre adottare (guanti, mascherina, sterilizzazione degli strumenti, ecc.).
Potrebbe invece sussistere il dolo eventuale, ma anche in questo caso la trasmissione del virus dovrebbe essere impedita dalle attenzioni tipiche dell’ambito sanitario. Il paziente, infatti, potrebbe sempre scusarsi adducendo a propria discolpa la poca attenzione del dentista il quale, a causa della sua negligenza, ha favorito la trasmissione del contagio.
In altre parole, è difficile adeguare le ipotesi di trasmissione volontaria del virus affrontate dalla giurisprudenza (praticamente tutte riconducibili a rapporti sessuali non protetti) alla fattispecie del paziente di uno studio odontoiatrico che decide di non dichiarare in anamnesi la propria patologia: ciò perché, come detto, l’eventuale trasmissione va “filtrata” attraverso gli strumenti di precauzione del medico, con la conseguenza che, anche in caso di contagio, l’operatore sanitario dovrebbe dare prova di aver adottato tutte le precauzioni ordinarie (non invece quelle “straordinarie” che sono imposte nel caso di dichiarata sieropositività).
Ci sarebbero tuttavia gli estremi per una residuale ipotesi di responsabilità colposa per lesioni personali gravissime, derivanti dalla condotta imprudente/negligente/omissiva del paziente che non ha dichiarato l’Hiv.
Tirando le fila di quanto detto sinora, possiamo così concludere:
- il dentista non può chiedere al paziente di dichiarare la propria sieropositività già in sede di accettazione. La raccolta dell’anamnesi è invece giustificata in previsione di uno specifico trattamento sanitario;
- in assenza di precise norme di legge e di giurisprudenza in materia, per incentivare la collaborazione dei pazienti è possibile inserire, nel questionario di anamnesi, che eventuali omissioni potrebbero essere fonte di responsabilità penale (nella fattispecie, di lesioni personali gravissime).