Tribunale di Torre Annunziata Prima Sezione civile
Il Tribunale di Torre Annunziata, prima sezione civile, riunito in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati
dott.ssa Marianna Lopiano – presidente dott. Francesco Coppola – giudice relatore dott. Angelo Scarpati – giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio civile di 1 grado iscritto al n. …/2019 R.G., vertente
TRA
M.P., nata a C. di S. il (…) ed elettivamente domiciliata a G. alla via V. V. n. 113, presso lo studio dell’avvocato…, che la rappresenta e difende in virtù di procura apposta a margine del ricorso, parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato in virtù di Delib. n. …del 2019, emessa dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata in data 2-4-2019.
RICORRENTE
E
F.S., nato a P. il (…) ed elettivamente domiciliato in …alla via…, presso lo studio di…, che lo rappresenta e difende in virtù di procura apposta in calce della memoria di costituzione.
RESISTENTE
NONCHÈ
Il P.M. presso il Tribunale di Torre Annunziata INTERVENTORE EX LEGE
Oggetto: separazione giudiziale
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ricorso depositato in data 27-3-2019, M.P. chiedeva a questo Tribunale che fosse pronunciata la separazione personale dal coniuge con addebito.
A tal fine esponeva di aver contratto matrimonio in data 21-7-1984 con F.S., dal quale erano nati, a S. il (…), il figlio L. e, a C. di S. il (…), la figlia M.A..
Deduceva che la prosecuzione del rapporto matrimoniale era divenuta intollerabile a causa del comportamento del coniuge e chiedeva, pertanto, l’affidamento esclusivo dei figli minori, di disciplinare il diritto di visita del padre e di porre a carico del resistente il pagamento di un assegno mensile complessivo di Euro 500,00 a titolo di contributo al mantenimento dei figli, oltre la metà delle spese straordinarie occorrenti per i figli e la somma di Euro 210,00 pari alla metà del canone di locazione per la casa coniugale.
F.S. non si opponeva alla richiesta di separazione, ma contestava le circostanze dedotte da controparte concernenti le cause della crisi coniugale, offrendo una diversa ricostruzione dei fatti; inoltre deduceva che entrambi i figli erano da tempo divenuti maggiorenni e che la figlia M.A. non più convivente con la madre ed era economicamente autosufficiente.
Pertanto, chiedeva di porre a proprio carico il pagamento di un assegno mensile non superiore ad Euro 250,00 per il mantenimento del coniuge e del figlio disabile L. oltre il 50% delle spese straordinarie occorrenti per lo stesso.
Resosi infruttuoso il tentativo di conciliazione esperito all’udienza di comparizione del 9-10-2019, il giudice delegato dal presidente emetteva i provvedimenti temporanei di cui all’art. 708 c.p.c., autorizzando i coniugi a vivere separatamente, disponendo l’affidamento del figlio L. maggiorenne portatore di handicap grave, ad entrambi i genitori con residenza privilegiata presso la madre, a cui assegnava la casa coniugale, disciplinando il diritto di visita del padre e ponendo a carico del F. il pagamento dell’assegno mensile di Euro 150,00, da corrispondere al coniuge, a titolo di contributo per il mantenimento del figlio, oltre il 50% delle spese straordinarie.
2.1. Ritiene il Collegio, investito della domanda di separazione con dichiarazione di addebito, che debba essere dichiarata la separazione giudiziale dei coniugi, risultando incontrovertibilmente provato il venir meno di quei presupposti di intenti comuni e sentimenti su cui si fonda il rapporto coniugale e, nel contempo, una crisi dello stesso di tale gravità da escludere la verosimile possibilità della ricostruzione di una serena vita coniugale.
Sorregge tale convincimento il clima di tensione e di distacco determinatosi ormai irreversibilmente tra le parti, quale si desume sia dalla condotta processuale delle parti stesse – ed in particolare dal negativo esito del tentativo di conciliazione, esperito dal Presidente in sede di comparizione dei coniugi, e dall’iniziativa intrapresa dalla ricorrente di conseguire la separazione giudiziale con addebito a carico dell’altro coniuge – sia dalla gravità delle accuse che la M. ha mosso nei confronti della controparte (violazione degli obblighi di assistenza, di collaborazione e di coabitazione, violenze fisiche e verbali ai danni del coniuge). Elementi tutti dai quali si ricava, in modo univoco, il venir meno di ogni forma di comunione materiale e spirituale tra i coniugi per cui, essendo divenuta del tutto intollerabile la prosecuzione della loro convivenza, ricorrono senza dubbio le condizioni previste dall’art. 151 c.c. e conseguentemente, in accoglimento della richiesta, deve essere pronunziata la separazione personale dei coniugi.
2.2. In accoglimento della domanda di parte ricorrente, la separazione deve essere pronunciata con addebito al marito, essendo emersa la prova della sussistenza della condotta contraria ai doveri nascenti dal matrimonio lamentata da M.P..
La ricorrente ha affermato, in ricorso, che il F. aveva assunto, nel corso del rapporto matrimoniale, una condotta mortificante ed offensiva della propria dignità, ponendo in essere ripetuti atti di violenza verbale e fisica, minacciando la moglie (anche mediante l’utilizzo di una pistola) e picchiandola, anche in presenza dei figli.
Ha aggiunto che il F. abusava abitualmente di bevande alcoliche, che lo rendevano ancora più aggressivo e pericoloso per l’incolumità della moglie e dei figli, e che aveva più volte denunziato tali accadimenti alle forze dell’Ordine e ai Servizi Sociali (cfr. denuncia/querela del 3-8-2016 ai Carabinieri di Gragnano); da ciò veniva instaurato un procedimento penale (R.G. GIP 1861/16 per fatti verificatisi dal 2000 – Tribunale di Torre Annunziata), che si concludeva – per quanto dedotto nel terzo termine assegnato ex art. 183 comma VI c.p.c. – con la sentenza di patteggiamento ad un anno e due mesi di reclusione (per il reato di maltrattamenti di familiari di cui all’art. 572 c.p. e lesioni personali di cui all’art. 582 c.p.).
Nella memoria integrativa, la ricorrente ha precisato che il resistente, dopo aver abbandonato il tetto coniugale, si era completamente disinteressato dei figli, sia materialmente che moralmente, non facendo neppure visita al figlio L. maggiorenne ma affetto da una grave patologia invalidante, allettato e bisognoso di costanti cure.
F.S. non ha contestato le allegazioni di controparte inerenti i comportamenti violenti da lui posti in essere ai danni del coniuge ma ha dedotto che la causa della crisi coniugale andava ravvisata nelle notevoli difficoltà gestionali ed economiche affrontate dal nucleo familiare durante il matrimonio, quali soprattutto la grave patologia del figlio L. e lo stato di disoccupazione del resistente iniziato nel 2003.
Quanto al lamentato abbandono del tetto coniugale, il resistente ha fornito due diverse versioni, affermando, dapprima – nella memoria di costituzione – che l’allontanamento era stato necessario in
ragione della impossibilità di trovare lavoro sul territorio e della conseguente necessità di trasferirsi a Torino; asserendo poi – nella memoria integrativa di costituzione – che era stata la ricorrente a “metterlo fuori casa, sostituendo il nottolino della serratura” (cfr. verbale di denuncia/querela del 3- 8-2016).
In ordine alla violazione degli obblighi di assistenza, dedotti dalla ricorrente, il F. ha affermato di essersi sempre preso cura dei bisogni della famiglia ed, in particolare, del figlio primogenito, fino all’interruzione della convivenza; dopodiché, a suo dire, ciò gli sarebbe stato impedito dalla ricorrente; la M. ha contestato fermamente tale circostanza, evidenziando – anche nella comparsa conclusionale – la perdurante violazione, da parte del F., dei provvedimenti emessi ex art. 708 c.p.c..
La decisione della moglie di denunciare i fatti, da cui è scaturito il suddetto provvedimento giudiziario, costituiva – a dire della ricorrente – l’estrema ratio di fronte ai reiterati e gravi episodi di violenza, perpetrati dal marito da molti anni e da lei tollerati per amore della famiglia. Tali circostanze hanno trovato conferma nella documentazione prodotta (copie della descritta denunzia, richiesta di rinvio a giudizio del 10-11-2016) e nel comportamento processuale del resistente che non ha negato tali violente azioni e ha contestato genericamente le ulteriori asserzioni di controparte, non offrendo alcuna prova di quanto sostenuto né dimostrato di aver adempiuto ai propri obblighi economici e di collaborazione e assistenza nei confronti del coniuge e dei figli.
Sulla scorta di quanto emerso in istruttoria, quindi, deve ritenersi provato l’assunto di parte ricorrente, che non risulta smentito da alcuna prova idonea ad offrire una diversa e credibile ricostruzione dei fatti. Il descritto comportamento del resistente, reiteratosi nel corso del matrimonio, pertanto, costituisce ragione sufficiente per dichiarare a lui addebitale la separazione.
Infatti, “Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei” (Cass. civ., ord., 3924/2018).
In ragione, quindi, della condotta posta in essere dal resistente, la separazione deve essere addebitata a F.S..
3.1. Ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., la casa coniugale – sita in G., alla via R. V. n. 57, condotta in locazione – deve essere assegnata alla ricorrente, collocataria del figlio L. maggiorenne ma economicamente non autosufficiente, portatore di handicap grave ex art. 3, comma 3, L. n. 104 del 1992, risultando tale abitazione il “luogo dove è individuata la residenza della famiglia, ovvero dove il nucleo familiare vive abitualmente e prevalentemente”.
3.2. Per quanto concerne i provvedimenti accessori riguardanti i figli, si deve preliminarmente dare atto che la figlia M.A. è da tempo maggiorenne, pertanto alcun provvedimento in ordine all’affidamento deve essere emesso, contrariamente a quanto richiesto dalla ricorrente.
Per ciò che riguarda il figlio L. (di 38 anni), sebbene lo stesso sia portatore di handicap grave per come certificato in atti (documentazione medica datata 23-9-2019, prodotta dalla ricorrente unitamente alla memoria integrativa), essendo anche lui maggiorenne, in conformità al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità nulla va disposto in ordine all’affidamento, esclusivo o condiviso, del predetto figlio, venendo meno con la maggiore età la presunzione di incapacità (come pure la responsabilità dei genitori) e non essendo automatica la mancanza di capacità di agire del figlio maggiorenne portatore di handicap, che deve essere accertata eventualmente, in via parziale o totale, nei giudizi specifici di interdizione, inabilitazione od amministrazione di sostegno (cfr. Cass. 24-7-2012 n. 12977; Cass., ord. 21819/2021).
L’art. 337 septies, secondo comma, c.c. dispone, tuttavia, che “Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori” e la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di separazione giudiziale dei coniugi, per i figli maggiorenni che si trovino in tale condizione, trovano applicazione le ulteriori disposizioni previste in favore dei figli minori, quali quelle in tema di visite, di cura e di mantenimento da parte dei genitori non conviventi, di assegnazione della casa coniugale (Cass. 12977/2012 citata; Trib. di Potenza 12-1-2016 secondo cui “l’obbligo di prendersi cura del figlio – consistente nel dovere di apprestare quel complesso di attenzioni, di premura e di atti di assistenza ed ausilio di cui il figlio non ancora maggiorenne necessita per vivere la propria quotidianità – deve ancor più ipotizzarsi (grazie all’introduzione nell’ ordinamento dell’ormai abrogato art. 155 quinquies c.c. ed ora dell’art. 337 septies, co.2 c.c.) se esso è dettato in favore del figlio maggiorenne portatore di patologia invalidante, specie nel caso di infermità totale, riguardante sia la sfera psichica che la sfera fisica”- v. anche Trib. di Frosinone, sentenza n. 403 del 21-4-2022).
Ne consegue che nel caso di specie, ferma l’attuale collocazione del figlio L. presso la madre, con la quale vive in maniera stabile da sempre e che cura adeguatamente il figlio, supportata dalla figlia M.A. – con loro conviventi – sopperendo anche alle mancanze paterne, va comunque garantita la continuità del rapporto padre-figlio attraverso la regolamentazione del diritto-dovere di visita del padre nei termini indicati in dispositivo, conformemente a quanto stabilito in via provvisoria, tenuto conto della particolare situazione di difficoltà del ragazzo e della residenza dello F. in altra regione.
4.1. Quanto all’assegno di mantenimento richiesto – nella memoria integrativa – dalla moglie per sé, è opportuno rammentare i principi che regolano tale profilo e che sono condivisi dal tribunale.
Ai sensi dell’art. 156, comma 1, c.c., “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.
Presupposti che devono concorrere affinché il giudice conceda l’assegno di mantenimento sono, quindi, la non addebitabilità della separazione al coniuge a cui favore viene disposto il
mantenimento, la mancanza per il beneficiario di adeguati redditi propri e la sussistenza di una disparità economica tra i coniugi.
Quanto alla nozione di reddito, si ritiene che oltre al denaro, si intendono in esso comprese anche altre utilità economicamente valutabili (come la disponibilità della casa coniugale, cfr. Cass. civ., 19291/2005, 4543/1998, 961/1992). Il giudice dovrà tener conto, infatti, anche dei beni immobili posseduti, sia dal punto del valore implicito che essi hanno, sia dei proventi ricavabili dalla locazione o vendita degli stessi, nonché dei crediti esigibili dei coniugi, dei risparmi investiti o produttivi, della disponibilità della casa coniugale, dei titoli di credito, delle partecipazioni in società, della titolarità di aziende (cfr. Cass. civ., 17199/2013).
Circa la quantificazione dell’assegno di mantenimento, secondo la giurisprudenza, il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione. In quest’ambito, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria, ma anche sufficiente, una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze (Cass. civ., 13592/2006, 25618/2007).
Il secondo comma dell’art. 156 c.c., ai fini della quantificazione dell’assegno, impone al giudice di determinarne l’entità in relazione, oltre che al reddito, alle “circostanze”, e di qui la possibilità di valutare anche elementi fattuali che, se non propriamente reddituali, hanno comunque la capacità di influire sul reddito di una delle parti. E sotto tale profilo, assume rilievo l’attitudine a lavorare che il giudice deve valutare, nel senso che, laddove il coniuge beneficiario sia nella concreta possibilità di svolgere un’attività lavorativa retributiva, tale circostanza andrà ad incidere sulla quantificazione dell’assegno, comportandone un decremento. Ma ciò con la precisazione che l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (Cass. civ., 12121/2004); “In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica. Peraltro, l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva negato un contributo al mantenimento alla moglie in considerazione della sua giovane età, delle sue buone condizioni di salute, del possesso di un diploma di laurea,
dell’esperienza professionale pregressa, senza, tuttavia, valutare le condizioni reddituali e patrimoniale al momento dell’accertamento della sussistenza del diritto)” – (Cass. civ., 3502/2013).
Nella specie, M.P. ha dedotto di vivere unitamente ai figli L. e M.A., nonché alla nipotina M., nella casa coniugale, condotta in locazione, per la quale paga la somma mensile di Euro 402,84.
Ha aggiunto di aver sempre svolto attività lavorativa, in costanza di matrimonio, per far fronte alle esigenze familiari, lavorando presso la società O. S.r.l, dal 1-12-1998 e percependo una retribuzione netta mensile pari ad Euro 900,00; dalla certificazione reddituale prodotta, infine, è emerso che ha percepito nel 2019 Euro 15.102,48, nel 2020 Euro 14.128,62 e nel 2021 Euro 17.828,05 (cfr. certificazioni modello CUD 2020/21/22).
F.S., invece, ha dedotto di essersi trasferito a Torino, ove lavora dal 1-9-2017 presso la T.S. Società Cooperativa in qualità di facchino, guadagnando mensilmente circa Euro 1.100,00.
Il resistente – nell’udienza di comparizione in sede di libero interrogatorio innanzi al presidente – ha precisato di pagare un canone mensile di Euro 500,00 per la locazione dell’abitazione in cui vive e di sostenere le ulteriori spese mensili di Euro 112,00 e 166,00 per due finanziamenti contratti; ha percepito un reddito lordo di Euro 17.918,00 nel 2019, Euro 12.677,79 nel 2020 ed Euro 11.657,98 nel 2021 (cfr. certificazioni modello CUD 2020/21/22).
4.2. Sulla scorta di tali circostanze, deve escludersi il diritto della ricorrente al riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento richiesto, essendo rimasto provato che la medesima disponga di adeguati mezzi economici propri e non emergendo alcuna disparità economica tra i coniugi, in quando – dalla valutazione comparativa – le parti producono redditi quasi omogenei.
Pertanto, i mezzi economici attualmente percepiti dalla ricorrente risultano idonei a mantenere il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, al quale – per stessa ammissione della M. – la moglie ha contribuito personalmente, in maniera quasi assoluta, mentre il resistente risulta essere stato disoccupato dal 2003 al 2017.
4.3. Alcun provvedimento economico deve essere disposto in favore della figlia maggiorenne M.A. (di anni 36) – richiesta formulata dalla ricorrente – risultando che la stessa – come eccepito dal resistente nella memoria integrativa – dopo aver costituito un nucleo familiare autonomo (cfr. verbale di denuncia/querela del 3-8-2016,), a seguito dell’interruzione della relazione sentimentale con il padre di sua figlia M. (di anni 17), è ritornata, solo recentemente, nella casa coniugale, convivendo nuovamente con la madre ed il fratello L. (cfr. certificato di stato di famiglia in atti).
Il resistente – nella memoria integrativa di costituzione – ha allegato che la figlia M., in possesso di idonea qualifica professionale, svolge attività lavorativa in qualità di estetista; tale circostanza è stata, in parte, contestata dalla ricorrente – da ultimo, nella comparsa conclusionale – la quale ha eccepito l’assenza di una stabile occupazione.
Ebbene, in materia di assegno di mantenimento per il figlio, che abbia – come nel caso di specie – ampiamente superato la maggiore età, si è di recente pronunciata la Suprema Corte statuendo che “Il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso” (Cass. civ., ord. n. 38366 del 3-12-2021).
Peraltro, anche la precedente creazione di una famiglia di fatto da parte della figlia deve ritenersi che sia sufficiente per ritenere la stessa abbia all’epoca raggiunto una condizione di autonomia economica, desumendosi ciò sia dalla scelta di formare un nuovo nucleo familiare autonomo in luogo diverso da quello in cui risiedeva la madre, sia perché la convivenza e la relativa prestazione di assistenza da parte del convivente medesimo, tenuto conto anche della presenza di un figlio, costituiscono elementi da valutare in ordine alla disponibilità di mezzi sufficienti, considerata anche la sua età.
A tal fine, la successiva fine della convivenza e il ritorno presso la casa materna, non incrina tale conclusione, poiché una volta venuti meno i presupposti del mantenimento, a seguito del raggiungimento della piena autosufficienza economica del figlio maggiorenne – che nella specie deve presumersi a seguito della formazione del nuovo nucleo familiare -“la sopravvenienza di circostanze ulteriori che determinano l’effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico” non può far risorgere l’obbligo “potendo sussistere al massimo, in capo ai genitori, un obbligo alimentare” (Cass. civ., 2171/2012, 5174/2012, 1585/2014).
4.4. Deve, invece, essere accolta la richiesta della ricorrente di porre a carico del padre un assegno per il contributo al mantenimento del figlio L. maggiorenne ma economicamente non autosufficiente, portatore di handicap grave ex art. 3, comma 3, L. n. 104 del 1992.
In ordine all’importo dell’assegno dovuto dal genitore a titolo di contributo per il mantenimento dei figli, precisato che l’obbligo di mantenere il figlio minore e quelli maggiorenni conviventi non economicamente indipendenti, continua a ricadere su entrambi i coniugi anche dopo la separazione, va rammentato, in diritto, che l’art. 337 ter c.c., al comma IV, prevede che salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Difatti, per come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori è istituto che, in quanto fondato sull’esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l’istituto stesso implichi, come conseguenza “automatica”, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze (Cass. civ. Sez. I, Sent., 1-7-2015, n. 13504).
Occorre rilevare, altresì, che – come chiarito dalla Suprema Corte – ai fini del riconoscimento dell’assegno di mantenimento, la condizione giuridica dei figli maggiorenni, portatori di handicap grave, è equiparata, sotto tale profilo, a quella dei figli minori ex art. 337 septies c.c., ma unicamente se sussista il presupposto ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 3, comma 3, richiamato dall’art. 37 bis disp. att. c.c., ossia se la minorazione, singola o plurima, della quale il medesimo sia portatore, abbia ridotto la sua autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, essendo, in caso contrario, la condizione giuridica del figlio assimilabile non a quella dei minori bensì allo status giuridico dei figli maggiorenni (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza n. 21819 del 29-7-2021).
Nel caso di specie, la ricorrente ha versato in atti documentazione medica, rilasciata dall’A.N.S., attestante che, in merito a F.L., “persistono le condizioni sanitarie evidenziate dalla certificazione n. 123/104 del 26-11-2003 rilasciata dall’A.N. (oggi NA3 SUD) UFF. INV. CIVILI di grave handicap fisico (comma 1 e 3 dell’art. 3 della L. n. 104 del 1992). Il paziente è allettato.” (cfr. produzione per M.P.), non disconosciuta dalla controparte.
Conseguentemente, in applicazione delle riferite coordinate ermeneutiche, tracciate dalla Corte di legittimità, il figlio maggiorenne L. poiché portatore di handicap grave ex art. 3, comma 3, L. n. 104 del 1992 e, dunque, trovantesi in una condizione assimilabile a quella di un minore, ha diritto al riconoscimento di un contributo permanente al proprio mantenimento, dovendosi accogliere la richiesta in tal senso formulata dalla madre con il medesimo convivente.
Pertanto, tenuto conto delle descritte circostanze, nonché della capacità di reddito e di lavoro dei coniugi e del tenore di vita di costoro in costanza di matrimonio, del reddito percepito dai genitori, nonché della pensione di invalidità di Euro 813,00 – percepita dallo stesso figlio L. – e confermando quanto disposto in via provvisoria, deve essere posto a carico di F.S., l’obbligo di corrispondere alla moglie un assegno mensile, entro il giorno 5 di ciascun mese, di Euro 150,00 a titolo di contributo per il mantenimento del figlio L. maggiorenne portatore di handicap grave, con adeguamento annuale secondo l’indice Istat di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai a decorrere dal 1-3-2024.
A carico di ciascun genitore, invece, va posta la metà delle spese straordinarie per il figlio, purché previamente concordate, mentre per le sole spese straordinarie obbligatorie (ad es. le spese per tasse scolastiche ed universitarie, per libri di testo, le spese mediche e di degenza per interventi indifferibili presso strutture pubbliche o private convenzionate) sostenute da un genitore devono essere rimborsate per la metà all’altro genitore indipendentemente dal previo accordo.
5. Non può essere accolta, infine, la domanda, formulata dalla ricorrente, di porre a carico del F. l’ulteriore somma mensile di Euro 210,00, pari alla metà del canone di locazione versato per la casa coniugale, quale integrazione del contributo in favore della prole.
Sul punto, in una recente pronuncia della Corte di legittimità si riconosce al giudice della separazione e del divorzio il potere di porre, a carico del coniuge, ad integrazione del contributo in favore della prole, l’onere di contribuire al pagamento del canone di locazione dell’immobile adibito a casa familiare, anche se di essa non sia assegnatario ed indipendentemente dall’intestazione del contratto di locazione e dalla qualità di conduttore (Cass. civ., Ordinanza 22-6-2020, n. 12058).
Poiché dalle condizioni economiche delle parti, prima descritte, risulta che la ricorrente percepisce, allo stato, un maggior reddito netto rispetto a F.S., il collegio ritiene che la somma mensilmente riconosciuta in suo favore (di cui al precedente punto 4.4.), di Euro 150,00 a titolo di contributo per il mantenimento del figlio, sia adeguata e non debba essere altrimenti integrata,
6. Avuto riguardo alla natura della lite ed all’esito complessivo della stessa, ricorrono i presupposti di cui all’art. 92 comma 2 c.p.c., per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il tribunale, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da M.P. nei confronti di F.S., sentito il P.M., ogni altra istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede:
A) dichiara la separazione dei coniugi M.P., nata a C. di S. il (…), e F.S. nato a P. il (…), con addebito a F.S.;
B) ordina che la presente sentenza sia trasmessa a cura della cancelleria in copia autentica all’Ufficiale dello stato Civile del Comune di Gragnano per l’annotazione ai sensi dell’ art. 69 lettera d) D.P.R. 3 novembre 2010, n. 396 (Ordinamento stato Civile) – (atto n. 74, parte II, S. A, dei registri di matrimonio dell’anno 1984);
C) rigetta la richiesta di riconoscimento di un assegno di mantenimento per il coniuge formulata da M.P.;
D) rigetta la richiesta di riconoscimento di un assegno di mantenimento per la figlia F.A.M., formulata da M.P.;
E) dispone che F.S. concorrerà alla cura ed all’assistenza del figlio maggiorenne, ma portatore di handicap grave, che potrà vedere e tenere con sé, recandosi presso l’abitazione dello stesso allettato, tutte le volte che il figlio lo vorrà, e, in ogni caso, tenuto conto della residenza del F. in altra regione;
F) pone a carico di F.S. l’obbligo di corrispondere a M.P., entro il giorno 5 di ciascun mese, la somma di Euro 150,00, a titolo di contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne ma portatore di handicap grave F.L., con adeguamento annuale secondo l’indice Istat di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai a decorrere dal 1 marzo 2024;
G) pone a carico di ciascun genitore la metà delle spese straordinarie per il figlio, purché previamente concordate, mentre per le sole spese straordinarie obbligatorie (ad es. le spese per tasse scolastiche ed universitarie, per libri di testo, le spese mediche e di degenza per interventi indifferibili presso strutture pubbliche o private convenzionate) sostenute da un genitore devono essere rimborsate per la metà all’altro genitore indipendentemente dal previo accordo;
H) rigetta la richiesta di riconoscimento della ulteriore somma di Euro 210,00 mensile, quale integrazione del contributo al mantenimento, formulata da M.P.;
I) compensa per intero le spese processuali tra le parti. Conclusione
Così deciso in Torre Annunziata, il 7 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.