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I diritti dei lavoratori fuori sede: il trasferimento e l’indennità di trasferta

9 Maggio 2023 | Autore:
I diritti dei lavoratori fuori sede: il trasferimento e l’indennità di trasferta

Il seguente articolo offre una panoramica completa sui diritti del lavoratore fuori sede, ponendo particolare attenzione alle indennità di trasferta e alle condizioni necessarie per ottenere tali benefici. Scopri le risposte alle domande più comuni e gli esempi pratici per comprendere meglio la normativa.

Nel mondo del lavoro, è sempre più frequente che i lavoratori si trovino a svolgere la propria attività fuori sede, spostandosi in luoghi diversi e variabili. In questi casi, è importante conoscere i diritti dei lavoratori, come funziona il trasferimento e le modalità di erogazione delle indennità di trasferta. Ma quali sono le condizioni per ricevere l’indennità di trasferta? Come si determina la sede di lavoro? Quali sono i criteri per considerare un lavoratore fuori sede? Scopriamolo insieme.

Cosa si intende per sede di lavoro?

La sede di lavoro si riferisce al luogo specificato nel contratto di lavoro in cui il dipendente deve svolgere le sue mansioni. Questa informazione è particolarmente rilevante nel caso di aziende con molteplici sedi distribuite su diverse aree geografiche.

È possibile modificare la sede di lavoro. Tuttavia, un trasferimento è legittimo se l’azienda dimostra che vi sono ragioni tecniche, organizzative o produttive che lo giustificano. Inoltre, la decisione di trasferire un dipendente specifico deve essere basata su criteri oggettivi e rispettosi dei principi di buona fede e correttezza contrattuale.

L’obiettivo è limitare al massimo gli spostamenti che potrebbero avere ripercussioni negative sul lavoratore, sia in termini economici sia sul piano familiare. La giurisprudenza stabilisce che le ragioni organizzative valide possono includere anche l’incompatibilità ambientale del dipendente (ad esempio, in caso di difficoltà nei rapporti con colleghi o superiori).

La distinzione tra trasferimento e spostamento all’interno della stessa unità

Per la Cassazione il trasferimento si concretizza con il cambiamento definitivo del luogo geografico in cui viene svolta la prestazione lavorativa, di norma da un’unità produttiva all’altra. Non si tratta di un trasferimento quando si verifica uno spostamento all’interno della stessa unità, a meno che questa non includa uffici notevolmente distanti tra loro. I giudici precisano che il trasferimento del lavoratore può configurarsi anche senza il cambiamento della residenza, purché lo spostamento del luogo di lavoro comporti disagi significativi per il lavoratore e la sua famiglia, meritevoli di indennizzo e tutela.

Cosa può fare il lavoratore se ritiene che il trasferimento sia illegittimo?

Il dipendente ha il diritto di impugnare il trasferimento entro 60 giorni dalla ricezione della lettera di trasferimento. Se l’azienda non torna sui suoi passi, il dipendente può avviare un processo legale per chiedere l’accertamento dell’illegittimità del trasferimento.

Il lavoratore può rifiutarsi di trasferirsi?

Il lavoratore può rifiutarsi di trasferirsi se ritiene che il trasferimento sia illegittimo. Tuttavia, è consigliabile consultare un avvocato o un sindacato prima di intraprendere questa azione, poiché il rifiuto potrebbe comportare conseguenze legali e disciplinari. Se il trasferimento è giustificato, il lavoratore è tenuto ad accettarlo, a meno che non ci siano motivi legittimi per rifiutare, come gravi motivi familiari o personali.

Il dipendente però è tenuto a prendere posto presso la nuova sede lavorativa e a impugnare il trasferimento: non può cioè porre un comportamento di autodifesa rifiutandosi di lavorare, a meno che il trasferimento non comporti per lui un grave danno.

Il lavoratore che sostiene di aver subito un pregiudizio a causa di un trasferimento illegittimo deve dimostrare il danno non patrimoniale. Pertanto, il danno non è automaticamente provato dal solo fatto del trasferimento, ma è necessario fornire la documentazione del peggioramento delle condizioni di vita.

Sull’indennità di trasferta si pagano tasse?

L’articolo 51 del Testo Unico sulle imposte sui redditi stabilisce che le indennità e maggiorazioni retributive spettanti ai lavoratori che sono per contratto tenuti ad espletare attività in luoghi sempre diversi – anche se corrisposte con continuità – concorrono a formare reddito nella sola misura del 50% del loro ammontare 

Secondo la Cassazione [1], l’indennità di trasferta concorre a formare reddito nella misura del 50% del suo ammontare solo se sussistono congiuntamente le seguenti condizioni: 

  • mancata indicazione nel contratto della sede di lavoro; 
  • svolgimento di attività lavorativa che richiede continua mobilità; 
  • corresponsione al dipendente di un’indennità in misura fissa, a prescindere dal fatto che il lavoratore si sia effettivamente recato in trasferta, in relazione allo svolgimento di attività lavorativa in luoghi sempre diversi e variabili».

A queste stesse condizioni quindi l’indennità di trasferta è soggetta ai contributi previdenziali.

Come deve essere il provvedimento di trasferimento

Il provvedimento di trasferimento del lavoratore da una unità produttiva a un’altra non deve necessariamente essere motivato, salvo che lo chieda il dipendente e salvo comunque l’onere del datore di dimostrare in giudizio le circostanze che lo giustificano. 

Il lavoratore può rifiutare una prestazione se il provvedimento di trasferimento in un’altra sede non è adeguatamente motivato? La Cassazione non è costante. In un recente caso ha riconosciuto tale diritto al dipendente [1]; in un altro caso, invece lo ha negato [2].

Quando è considerato illegittimo il trasferimento del lavoratore?

Il trasferimento del lavoratore è considerato illegittimo quando nella sede non vi è un sovrannumero di personale. La Corte di Cassazione ha stabilito che un trasferimento è illegittimo se mancano valide ragioni organizzative, anche nel caso in cui nella struttura produttiva di destinazione vi sia una reale carenza di manodopera. Inoltre, un trasferimento che risulti oneroso per il dipendente deve essere debitamente motivato. La soppressione del posto di lavoro e l’assegnazione a una nuova sede, seppur facenti parte delle decisioni imprenditoriali, non devono comportare un aggravio eccessivo per il dipendente o comportare rischi e sacrifici significativi.

Quali sono i limiti per il datore di lavoro nel trasferimento di un lavoratore?

Il datore di lavoro ha limitazioni ancora più stringenti nel trasferimento di un lavoratore che assiste un familiare disabile non grave.   

 


note

[1] Cass. ord. n. 16673/20 del 4.08.2020.

[2] Cass. sent. n. 23675 del 23.11.2010.

[3] Cass. sent. n. 11927 del 16.05.2013.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 16673/20; depositata il 4 agosto

Presidente Manna – Relatore Buffa

Rilevato

che:

1. Con sentenza del 5.12.13, la Corte d’Appello di Torino ha rigettato l’appello avverso la sentenza del 31.10.12 del tribunale della stessa sede, che aveva, per quel che qui rileva, rigettato l’opposizione della società Tiesse di Goldentir snc al verbale di accertamento con cui l’INPS aveva qualificato trasfertisti alcuni dipendenti ed assoggettato a contribuzione previdenziale le somme corrisposte agli stessi a titolo di trasferta, in applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6 (TUIR), per un complessivo importo contributivo di Euro 353.724.

2. In particolare, la corte territoriale ha rilevato che, sebbene in tutti i contratti di lavoro fosse indicata una sede di lavoro, i lavoratori erano tenuti all’espletamento della prestazione in luoghi sempre variabili e diversi, non sostenevano alcuna spesa per gli spostamenti, e ricevevano un’indennità di trasferta parametrata alla distanza chilometrica dal cantiere e tuttavia corrisposta talora in misura superiore rispetto alle giornate lavorative. Da tali elementi la corte territoriale ha dedotto che la trasferta aveva carattere strutturale per l’attività d’impresa e che i lavoratori dovevano essere inquadrati nella categoria dei trasfertisti.

3. Avverso tale sentenza ricorre la società per due motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.

Considerato

che:

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – lamenta violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, (TUIR), per avere la sentenza impugnata trascurato che per i lavoratori in questione era indicata nel contratto di assunzione una sede di lavoro, ove parte della prestazione era occasionalmente resa, e che ai lavoratori era corrisposta indennità di trasferta solo in correlazione con l’effettivo svolgimento di attività lavorativa in sede diversa. Sottolinea la ricorrente in particolare che la norma richiamata demandava a decreti ministeriali appositi la determinazione della categoria dei trasfertisti, e che, non essendo questi mai intervenuti, devono trovare applicazione i criteri fissati dai medesimi organi amministrativi (Ministero delle Finanze) con circolare 326/E del 1997, ripresa dall’INPS con messaggio amm. 027271 del 2008, secondo i quali ai fini dell’applicabilità del richiamato comma 6 devono sussistere congiuntamente le tre condizioni (la mancata indicazione nel contratto di assunzione della sede di lavoro, lo svolgimento di un’attività lavorativa che richieda ai lavoratori continui spostamenti, la corresponsione al dipendente di un’indennità in misura fissa, non legata all’effettivo svolgimento dell’attività in trasferta), due della quali almeno nella specie non ricorrenti.

5. Il motivo è fondato.

6. Occorre premettere che la qualificazione delle modalità di espletamento della prestazione di un lavoratore ai fini dell’applicazione del regime della trasferta (rilevante ai fini del comma 5 della richiamata norma del TUIR) o del regime dei trasfertisti (rilevante ai fini del diverso comma 6) è riservata al giudice di merito, la cui valutazione costituisce giudizio di fatto che, se congruamente motivato, non è censurabile dal giudice di legittimità.

7. Spetta invece al giudice di legittimità le precisazione dei criteri legali differenziali tra le due fattispecie.

8. Al riguardo, va preliminarmente ricordato che la L. n. 153 del 1969, art. 12 come sostituito dal D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 6 prevede che per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale si applicano le disposizioni contenute nell’art. 48 (oggi, all’esito della riforma del 2004, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51). Ciò posto, l’art. 51, mentre al comma 5 prevede che le indennità percepite per trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente l’importo dalla norma prevista, al comma 6 prevede che “le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità,… concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare”.

9. La norma è stata oggetto di interpretazione autentica con il D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 7-quinquies, (conv. in L. 10 dicembre 2016, n. 225), il quale, nel dettare disposizioni in materia di “Interpretazione autentica in materia di determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti”, ha disposto che “Il testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, comma 6 ” debba interpretarsi “nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta”. Si è poi precisato al comma 2, che “Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui al testo unico di cui al citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6 è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al medesimo art. 51, comma 5”.

10. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 27093 del 15.11.2017, hanno ritenuto la conformità dell’art. 7 quinquies -quale norma retroattiva autoqualificata di “interpretazione autentica” – ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117 Cost., comma 1, sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo di cui all’art. 6 CEDU.

11. All’esito di tale pronuncia la giurisprudenza di questa Sezione della Corte (da ultimo Cassazione Sez. L, Sentenza n. 21410 del 14/08/2019, Rv. 654809 – 02, e Sez. L, Ordinanza n. 12648 del 13/05/2019, Rv. 653763 – 01) ha costantemente ritenuto che in materia di trattamento contributivo dell’indennità di trasferta, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, secondo l’interpretazione autentica di cui al D.L. n. 193 del 2016, art. 7 quinquies conv., con modif., in L. n. 225 del 2016, si applica ai lavoratori per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”.

12. Orbene, ai predetti criteri così come individuati da questa Corte ed alla luce dello ius superveniens non risulta essersi informata l’indagine di merito condotta nell’impugnata sentenza dalla Corte d’appello che – ritenendo non rilevante l’indicazione in contratto della sede di lavoro e la corresponsione di indennità in misura variabile e comunque rapportata alle giornate effettive di trasferta – ha qualificato i lavoratori in questione “trasfertisti” in base, a criterio ormai non più decisivo nel nuovo quadro normativo e giurisprudenziale.

13. Il secondo motivo di ricorso – con il quale la ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 27 CCNL Industria Metalmeccanici del 7.5.03 (che esclude la natura retributiva dell’indennità di trasferta anche se corrisposta con continuità)- resta assorbito.

14. La sentenza impugnata per quanto detto deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

– La Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo; per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione anche per spese del giudizio di legittimità.


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