Rifiutare un contratto part-time non può, di regola, portare al licenziamento: quali sono le tutele per il lavoratore.
Ti sei mai chiesto se è possibile rifiutare un contratto part-time offerto dal tuo datore di lavoro senza incorrere in conseguenze negative? Il Jobs Act prevede che il rifiuto di un part-time non sia un motivo giustificato per il licenziamento, ma quali sono le reali implicazioni in caso di rifiuto? In questo articolo approfondiremo la questione, analizzando gli scenari possibili e le tutele per il lavoratore. Lo faremo alla luce di una recente ordinanza della Cassazione [1] intervenuta appunto sul tema. Ma procediamo con ordine.
Indice
La legge prevede il licenziamento per il rifiuto di un part-time?
Il Jobs Act stabilisce che il rifiuto di passare da un contratto a tempo pieno a uno part-time non costituisce un motivo giustificato per il licenziamento. Tuttavia, il datore di lavoro può dimostrare che, per ragioni economiche, è impossibile continuare ad impiegare il lavoratore a tempo pieno, e che il licenziamento avviene dunque solo per tali ragioni. Pertanto, in tal caso, il licenziamento avverrà non già per il rifiuto della riduzione di ore ma come licenziamento per giustificato motivo oggettivo ossia per ragioni collegate alla produzione e all’organizzazione dell’azienda. Tuttavia, prima di esso, il datore dovrà verificare se sussistono i presupposti per il cosiddetto repêchage, ossia la possibilità di impiegare il dipendente in altre mansioni compatibili con la sua formazione. Senza la prova del repêchage il licenziamento economico è nullo e può essere contestato entro 60 giorni.
Il licenziamento può essere considerato ritorsivo?
Se il lavoratore rifiuta il passaggio a part-time e viene licenziato, può sorgere il sospetto che il licenziamento sia ritorsivo. In questo caso, però, spetta al lavoratore dimostrare che la rappresaglia sia l’unico motivo determinante del licenziamento, anche attraverso presunzioni. Non è una prova facile: per questo la legge consente al dipendente di avvalersi di “presunzioni” ossia di indizi che possano far presumere che dietro la risoluzione del rapporto di lavoro si cela l’intento di punire il dipendente “dissidente”.
Poniamo il caso di Tizio, che lavora in un supermercato e gli viene proposto di passare a part-time. Tizio rifiuta l’offerta e viene licenziato. Per dimostrare che il licenziamento è ritorsivo, Tizio deve fornire prove convincenti del legame tra il rifiuto del part-time e il licenziamento.
Cosa dice la giurisprudenza sul rifiuto del part-time e il licenziamento?
In un’ordinanza pubblicata il 9 maggio dalla sezione lavoro della Cassazione, si è analizzato un caso simile, in cui una lavoratrice è stata licenziata dopo aver rifiutato un contratto part-time. La sentenza ha stabilito che, pur non essendo state dimostrate in modo compiuto le ragioni ritorsive del licenziamento, il licenziamento era da ritenersi comunque illegittimo perché il datore di lavoro non era riuscito a dimostrare le esigenze organizzative sottese al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Quali sono gli oneri probatori in caso di licenziamento per rifiuto del part-time?
In generale, il datore di lavoro deve dimostrare che:
- le nuove esigenze economiche e organizzative impongono di mantenere la prestazione soltanto con l’orario ridotto;
- il lavoratore ha rifiutato la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time;
- non c’è possibilità di repêchage ossia di collocare il dipendente in altre mansioni;
- c’è un nesso di causa-effetto tra la necessità di ridurre l’orario e il licenziamento.
Conclusioni
In conclusione, il rifiuto di un contratto part-time da parte del lavoratore non costituisce di per sé un motivo giustificato per il licenziamento, secondo il Jobs Act. Tuttavia, il datore di lavoro può provare che, a causa di ragioni economiche, è impossibile continuare a impiegare il lavoratore a tempo pieno, e che il licenziamento avviene per tali ragioni. A sua volta il dipendente può contestare il licenziamento solo se dimostra che dietro di esso si nasconde un intento ritorsivo.
La giurisprudenza ha chiarito che la natura ritorsiva del licenziamento può essere esclusa se altri lavoratori che hanno rifiutato il part-time non sono stati licenziati.
Di conseguenza, la questione del rifiuto del part-time e del licenziamento non può essere risolta in modo semplicistico. Ogni caso è unico e deve essere valutato alla luce delle circostanze specifiche, delle ragioni economiche e organizzative del datore di lavoro e delle prove fornite da entrambe le parti.
note
[1] Cass. ord. n. 12244/23 del 09.05.2023: «La previsione dell’articolo 8 del decreto legislativo 81/2015, se esclude che il rifiuto di trasformazione del rapporto in part-time possa costituire di per sé giustificato motivo di licenziamento, non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del part-time ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere di prova posto a carico di parte datoriale: in tal caso, ai fini del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, occorre che sussistano e che siano dimostrate dal datore di lavoro effettive esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto; l’avvenuta proposta al dipendente o ai dipendenti di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e il rifiuto dei medesimi; l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di riduzione dell’orario e il licenziamento».