Non sempre è possibile l’utilizzo condiviso di un bene in comunione. In alcuni casi, quando un solo comproprietario ne fa un uso esclusivo, impedendo agli altri lo stesso impiego, questi è tenuto a pagare un canone.
Nel caso in cui una casa sia in comproprietà tra più persone e una di queste occupi l’immobile, gli altri comproprietari che invece sono esclusi possono chiedergli il pagamento di un canone? Come si regolamenta l’uso di un bene in comunione? Cosa fare se uno dei comproprietari vuol vendere o fiatare e gli altri invece si oppongono?
A queste e altre domande simili proveremo a fornire risposta nella seguente guida. Ma procediamo con ordine.
Cos’è la comunione?
La comunione si verifica quando più soggetti sono comproprietari dello stesso immobile. Essa si caratterizza per il fatto che la proprietà non è ancora divisa materialmente. Sicché ciascun comproprietario ha solo una quota ideale sull’intero bene. Ciò fa sì che ciascuno di loro può utilizzare l’abitazione, viverci e amministrarla, senza però escludere gli altri dal medesimo godimento.
Mario, Giovanni e Francesco ereditano la casa del padre. Ciascuno di questi ha una quota pari al 33%. Finché i tre fratelli non decidono di dividere materialmente la casa (laddove possibile) o di venderla, ciascuno di loro avrà un terzo dell’intera proprietà. Sicché tutti potranno utilizzarla. Ciascuno di loro quindi potrà accedere alla cucina, al salotto, alle camere da letto e così via.
Come funziona l’uso di una casa in comunione?
Finché la comunione non viene divisa, ciascun comproprietario può usare il bene senza escludere gli altri. L’uso comune però non è sempre possibile (si pensi a una casa con una sola camera da letto in comproprietà di due famiglie). In tal caso i comproprietari possono optare, di comune accordo, per una delle seguenti soluzioni:
- stabilire un uso turnario della casa, fissando cioè un criterio rotatorio (è il cosiddetto uso diretto);
- dare in affitto la casa e dividere il ricavato in proporzione alle rispettive quote di comproprietà (è il cosiddetto uso indiretto).
Se nessuna di queste soluzioni dovesse essere possibile o non si dovesse trovare un accordo, si potrà valutare la possibilità di dividere la comunione per come vedremo a breve.
Cosa sucede se si divide la comunione?
Nel momento in cui la comunione viene materialmente divisa (attività possibile solo quando il bene è grande e divisibile in unità distinte), le quote ideali vengono sostituite con la proprietà integrale di una parte ben definita del bene.
Mario e Giovanni ereditano la villetta del padre. Finché c’è la comunione, i due sono comproprietari dell’intero bene per il 50% ciascuno: si tratta di una quota ideale. I fratelli però decidono di fare dei lavori per separare la in due unità distinte e procedere alla divisione. Nel momento in cui ciò viene portato a termine, Mario ottiene la proprietà esclusiva del piano terra e Giovanni del primo piano. Così cessa la comunione e si crea una proprietà esclusiva su una parte del bene in capo a ciascuno dei due. Nel caso di specie si forma anche un condominio sulle parti comuni (come il tetto, le fondamenta, le tubature, ecc.).
Come si divide la comunione?
La comunione può essere divisa in qualsiasi momento su accordo dei comproprietari o, in mancanza, su richiesta di uno di questi al tribunale.
Se la divisione materiale in più unità immobiliari tra loro distinte non è materialmente possibile (si pensi a un piccolo appartamento), i comproprietari che vogliano comunque dividere la comunione possono firmare un contratto e:
- decidere di comune accordo di vendere l’immobile a un terzo e dividere il prezzo;
- assegnare la proprietà integrale dell’immobile a uno dei comproprietari che liquiderà agli altri il controvalore delle rispettive quote.
La decisione della vendita richiede l’unanimità ossia il consenso di tutti i comproprietari.
Se i comproprietari non trovano l’accordo su tali punti, ciascuno di loro può ricorrere al giudice affinché sia questi a effettuare la divisione del bene. Il giudice valuterà innanzitutto se assegnare la proprietà esclusiva a uno dei comproprietari (se questi lo vuole), privilegiando chi già vi vive o, in caso contrario, chi ha la quota più elevata. In ultima istanza il giudice decide di vendere il bene all’asta.
Come funziona l’uso di un bene in comunione?
Come si è appena detto, quando più individui possiedono una proprietà insieme, ciascuno di loro ha il diritto di utilizzare la proprietà. Tuttavia, le circostanze possono rendere difficile per tutti i proprietari usufruire direttamente della proprietà.
Se un comproprietario utilizza l’intera proprietà da solo, senza un titolo che giustifichi l’esclusione degli altri proprietari, può essere necessario un pagamento. Questo pagamento è dovuto a partire dal momento in cui gli altri proprietari esprimono il desiderio di utilizzare la proprietà a turno o in altra forma e l’utilizzatore non glielo consenta.
Prendiamo in considerazione il caso di un appartamento acquistato da una coppia sposata. Durante il processo di separazione, il marito ha continuato ad occupare l’appartamento, nonostante la richiesta della moglie di utilizzarlo a turno. In questo scenario, il marito può essere obbligato a pagare alla moglie un indennizzo per l’occupazione esclusiva dell’appartamento.
L’Ordinanza n. 10264 del 18 aprile 2023 della Corte di Cassazione offre ulteriori dettagli su questa questione. Secondo l’ordinanza, in assenza di una decisione dei comproprietari, il comproprietario che ha usufruito dell’intero bene da solo dovrebbe pagare agli altri proprietari per la loro quota di utilizzo del bene comune e dei relativi profitti solo se questi ultimi hanno manifestato la volontà di usare il bene e non sono stati accontentati.
Esistono vari principi giurisprudenziali che aiutano a capire quando è dovuto un pagamento per l’uso di un bene in comunione. In generale, però, il principio chiave è che se un coproprietario utilizza un bene in comunione in modo esclusivo, senza un titolo giustificativo e nonostante l’intenzione degli altri coproprietari di usufruire del bene, deve corrispondere ai restanti partecipanti un canone per il godimento esclusivo del bene.
Difatti l’uso esclusivo di un bene comune non comporta un pregiudizio per gli altri coproprietari a meno che questi non abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e, ciò nonostante, siano stati impediti in tale uto. Questo è stato chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 9 febbraio 2015, n. 2423.
La Suprema Corte ha più volte che il coproprietario che ha goduto del bene in via esclusiva deve corrispondere agli altri proprietari un indennizzo per il godimento del bene, nel caso in cui questi abbiano richiesto un uso turnario dell’immobile o abbiano dimostrato che il coproprietario ha tratto un vantaggio patrimoniale dall’uso esclusivo del bene.
– In tema di uso della cosa comune, sussiste la violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 Cc in ipotesi di occupazione dell’intero immobile ad opera del comproprietario e la sua destinazione ad utilizzazione personale esclusiva, tale da impedire all’altro comproprietario il godimento dei frutti civili ritraibili dal bene, con conseguente diritto ad una corrispondente indennità, Cassazione, sentenza 30 marzo 2012, n. 5156, che ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la liceità dell’uso esclusivo della casa familiare da parte di un coniuge, protrattosi in seguito alla revoca dell’ordinanza di assegnazione dell’alloggio pronunciata nel corso del giudizio di separazione personale, nonostante il dissenso espresso dall’altro coniuge contitolare;
– Il comproprietario che sia risultato assegnatario del bene a seguito del giudizio di primo grado e che, tuttavia, non ne tragga diretto godimento, per non essergli quello rilasciato dal condividente che ne ha abbia la concreta disponibilità, ha diritto a conseguire da quest’ultimo i frutti del bene medesimo, maturati dopo la sentenza di primo grado, considerando che il protrarsi del giudizio in sede di impugnazione – e, con esso, della privazione del godimento del bene, in considerazione della natura costitutiva della sentenza di scioglimento della comunione che, per il prodursi dei suoi effetti, presuppone, anche relativamente al diritto al rilascio del bene, il passaggio in giudicato – non può pregiudicare il diritto dell’avente diritto di pretendere le rendite che gli sono dovute, Cassazione, ordinanza 18 novembre 2021, n. 35210;
– Il condividente di un immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia, Cassazione, sentenze 6 aprile 2011, n. 7881 e 2 agosto 1990, n. 7716, in Archivio delle locazioni e del condominio, 1991, p. 72;
– In tema di divisione ereditaria, agli effetti dell’obbligo del condividente di versare agli altri, pro quota, i frutti civili del bene comune goduto in esclusiva durante la comunione, qualora si tratti di immobile soggetto al regime vincolistico della legge 27 luglio 1978, n. 392, il rendimento immobiliare deve essere determinato con riferimento a tale legge, anche quanto alla periodica rivalutazione del canone di locazione, Cassazione, sentenza 29 agosto 2014, n. 18445. Sempre nel senso che il condividente che abbia goduto il bene comune in via esclusiva senza titolo giustificativo, è tenuto alla corresponsione dei frutti civili agli altri condividenti, quale ristoro della privazione del godimento pro quota, Cassazione, sentenza 14 gennaio 2014, n. 640;
– In tema di uso della cosa comune, nell’ipotesi di sottrazione delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene, è risarcibile, sotto l’aspetto del lucro cessante, non solo il lucro interrotto, ma anche quello impedito nel suo potenziale esplicarsi, ancorché derivabile da un uso della cosa diverso da quello tipico. Tale danno, da ritenersi in re ipsa, ben può essere quantificato in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene, imprimendo ad esso una destinazione diversa da quella precedente, Cassazione, sentenza 7 agosto 2012, n. 14213.