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Contratto a tempo determinato: la nuova legge

17 Maggio 2023 | Autore:
Contratto a tempo determinato: la nuova legge

Comprendere le recenti modifiche legislative relative ai contratti a tempo determinato può sembrare complicato. Questo articolo spiega in modo semplice i cambiamenti normativi, la rilevanza dei contratti collettivi e la loro applicabilità.

Il decreto 48/2023 ha modificato i contratti a tempo determinato consentendo un ricorso più semplice e agevole a tale strumento. I critici lamentano un sicuro aumento del precariato; il governo invece ritiene che una maggiore flessibilità dovrebbe incrementare l’occupazione. Vediamo dunque come funziona la nuova legge sul contratto a tempo determinato e quali sono le nuove “causali” che consentono la proroga del rapporto lavorativo.

Che cosa è cambiato con il decreto 48/2023?

Il decreto 48/2023 ha portato alcuni cambiamenti significativi nella gestione dei contratti a tempo determinato. Prima, l’articolo 1, comma 1, lettera b-bis del decreto legislativo 81/2015 consentiva l’apposizione al contratto di un termine superiore a dodici mesi, così come la stipula di proroghe (successive ai primi dodici mesi) e di rinnovi, sulla base delle «specifiche esigenze» previste dai contratti collettivi.

Tale norma è stata abrogata. Oggi la nuova norma prevede un rinvio ai «casi» previsti dai contratti collettivi, in mancanza dei quali le parti del rapporto di lavoro, fino al 30 aprile 2024, potranno individuare direttamente le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che legittimano l’apposizione del termine, la proroga o il rinnovo. Viene quindi, da un lato, cancellato definitivamente ogni riferimento alle “specifiche esigenze” e, dall’altro, aperto il canale della trattativa diretta tra le parti (datore e dipendente), consentendo così maggiore libertà nell’estensione della durata del contratto a termine. 

Il punto è però comprendere ora quali saranno i rapporti tra autonomia delle parti e contratti collettivi. 

Secondo alcuni, l’abilitazione dell’autonomia collettiva nella definizione della causale non solo non è venuta meno, ma è stata addirittura favorita dal legislatore che, nel superare le «specifiche esigenze» previste nella previgente norma, ha conferito nuovi e più ampi spazi alla contrattazione collettiva.

Più incerto è stabilire se le parti individuali del contratto di lavoro possano legittimamente individuare la causale in presenza di accordi sindacali stipulati ai sensi della previgente disciplina. L’interpretazione letterale della norma condurrebbe a escludere tale possibilità.

Per esempio, se il contratto collettivo di Mario identifica una ragione specifica per estendere il suo contratto a tempo determinato, questa ragione può ancora essere utilizzata, nonostante l’abrogazione della norma precedente.

Secondo altri invece, ferma restando l’applicabilità delle causali previste dagli accordi collettivi già stipulati, l’autonomia individuale sarebbe inibita solo dalla stipula di un nuovo accordo collettivo ai sensi della norma oggi vigente. Ciò in quanto l’abilitazione dell’autonomia individuale costituisce la vera innovazione della norma e sarebbe destinata a recedere solo ove le parti collettive stipulino un nuovo accordo in base alla vigente disciplina.

Come influisce il decreto Lavoro sulla questione?

Il decreto Lavoro, entrato in vigore il 5 maggio, ha introdotto modifiche che danno più spazio ai contratti collettivi. Questo significa che i contratti collettivi possono ancora identificare esigenze specifiche che possono legittimare l’apposizione del termine, la proroga o il rinnovo dei contratti a tempo determinato, fino al 30 aprile 2024.

Cosa succede se le parti del contratto di lavoro vogliono identificare una nuova causale?

Qui diventa un po’ complicato. L’interpretazione letterale della nuova norma suggerisce che le parti individuali del contratto di lavoro non possono identificare una nuova causale se ci sono accordi sindacali stipulati in base alla vecchia disciplina. Questo potrebbe limitare la flessibilità delle parti.

Immaginiamo, per esempio, che Mario e il suo datore di lavoro vogliano estendere il contratto per una nuova ragione non contemplata nel contratto collettivo. In base all’interpretazione letterale della nuova norma, questo potrebbe non essere possibile.

Come detto esiste una posizione interpretativa che suggerisce che l’autonomia individuale è solo limitata dalla stipulazione di un nuovo contratto collettivo secondo la norma attualmente vigente. Questo significherebbe che Mario e il suo datore di lavoro avrebbero più flessibilità se non fosse stipulato un nuovo contratto collettivo.

 



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