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Sanatoria per i contratti di affitto senza successive registrazioni

22 Maggio 2023 | Autore:
Sanatoria per i contratti di affitto senza successive registrazioni

La Cassazione apre una nuova luce sulla questione affitti in nero e sulla mancanza registrazione dei contratti: cosa succede quando la registrazione non viene rinnovata? 

Nell’ambito immobiliare, la locazione e la registrazione dei contratti è un argomento di estrema importanza. Una questione su cui, in molti casi, si può creare confusione riguarda la necessità di registrare il contratto di affitto nelle annualità successive al rinnovo automatico. Cosa succede se questa registrazione non avviene? Siamo di fronte a un illecito fiscale, senza dubbio. Ma il contratto diventa anche nullo per questo? In altre parole, il proprietario può agire in caso di morosità dell’inquilino se il contratto non è stato registrato alle successive scadenze? 

La Cassazione, con una recente sentenza [1], ha fornito una risposta illuminante a queste domande. Dalle parole dei giudici esce fuori una sorta di sanatoria per i contratti di affitto senza successive registrazioni. Si tratta di una nuova interpretazione che modifica la percezione generale del tema. Un principio che sicuramente risveglierà l’interesse di molti in un campo, quello della tassazione immobiliare, che può apparire difficile da decifrare. Analizziamo insieme cosa ha stabilito la Suprema Corte.

Cos’è un contratto di affitto non registrato?

Per combattere il fenomeno degli affitti irregolari, la legislazione italiana ha previsto una norma specifica per le locazioni. Secondo l’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, un affitto non registrato è nullo e non produce effetti legali. Pertanto, se una delle due parti volesse ricorrere a un giudice per ottenere protezione legale, non sarebbe in grado di esercitare i propri diritti. Non può farlo il locatore per ottenere i pagamenti in caso di morosità dell’inquilino; non può farlo l’inquilino in caso di inadempimento del locatore. 

L’unico modo per restituire validità al contratto di locazione è quindi registrato, anche tardivamente (ossia dopo i 30 giorni dalla stipula previsti dalla legge). La registrazione tardiva sana la nullità del contratto con effetto che retroagisce alla data di stipula dello stesso.

Cosa succede se un contratto non viene registrato nelle scadenze successive?

Supponiamo il caso di un individuo, Marco, che affitta un appartamento da un altro, Antonio. Marco paga sempre regolarmente l’affitto, tanto che Antonio decide di rinnovare il contratto per altre quattro annualità. Tuttavia, poco dopo il rinnovo, Marco smette di pagare. Antonio allora omette la registrazione del contratto in relazione agli anni in cui è maturata la morosità. In questo caso, chi ha ragione? La risposta a questa domanda è contenuta nelle parole della Cassazione.

Quando un affitto non registrato è valido?

Secondo la Cassazione, un contratto di affitto che è stato registrato al momento della stipula ma che non ha visto rinnovata la registrazione nelle scadenze successive è comunque valido. Questa regola si applica solo quando la registrazione originaria è stata curata regolarmente come la legge prescrive a pena di nullità. 

Ciò significa che la mancata registrazione del rinnovo del contratto è sì un illecito fiscale ma non inficia la validità del contratto come invece avviene con l’omissione della prima registrazione. 

Qual è l’impatto di questa sentenza sul settore immobiliare?

Questo nuovo orientamento giurisprudenziale può avere significative ripercussioni sul mercato immobiliare. Oggi, chi non vuol pagare le imposte sulla locazione in caso di morosità, deve notificare al conduttore l’intimazione di sfratto ossia l’atto giudiziario. L’omissione della registrazione non toglie il problema col fisco ma non pregiudica tuttavia la possibilità di sfratto. Essa quindi potrebbe rappresentare una certa tutela per i locatari che, in caso di morosità, non si troverebbero di fronte a un contratto nullo e senza valore legale. Tuttavia, è importante sottolineare che la mancata registrazione delle annualità successive è comunque un illecito fiscale.


note

[1] Cass. ord. n. 13870/23 del 19.05.2023.

Cass. civ., sez. III, ord., 19 maggio 2023, n. 13870

Presidente Frasca – Relatore Giannitti

Rilevato che:

1.Con contratto di locazione di bene immobile ad uso abitativo, stipulato e registrato il 26 giugno 2006, D.C. concesse a M.E. il godimento di un immobile di sua proprietà.

La M. si rese morosa nel pagamento dei canoni.

Il D. si rivolse al Tribunale di Reggio Calabria che con sentenza n. 1249 del 2015 dichiarò la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento (consistito nel mancato prolungato pagamento dei canoni) della M. , ordinando alla stessa il rilascio dell’immobile locato entro la data del 31 dicembre 2015, con condanna alla rifusione delle spese processuali.

2.Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la M. , osservando che il contratto di locazione, per cui è causa, già stipulato e registrato il 26 giugno 2006 e successivamente prorogato per mancata disdetta, non aveva costituito oggetto di successiva registrazione in relazione agli anni per i quali era maturata la morosità, rilevata dal giudice di primo grado, ragion per cui detto contratto sarebbe nullo in parte qua e, in quanto tale, sarebbe non idoneo a fondare una richiesta di pagamento di canoni.

Si costituiva in appello il D. .

La Corte di Appello di Reggio Calabria con sentenza n. 149 del 2019 rigettava l’impugnazione, condannando la M. alla rifusione delle spese processuali relative al grado e provvedendo con separato decreto alla liquidazione del compenso dovuto al difensore della predetta, già ammessa al gratuito patrocinio.

3.Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la M. .

Non sono state svolte difese da parte dell’intimato.

Il Procuratore generale presso la Corte non ha depositato conclusioni.

Considerato che:

1.Il ricorso di M.E. è affidato ad un solo motivo con il quale la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1 comma 346, nella parte in cui la corte territoriale ha disatteso il dictum contenuto in alcuni arresti di questa Corte (in particolare, oltre alla sentenza n. 20038 del 2015, da lei espressamente richiamata nella memoria illustrativa, anche gli arresti di cui ai provvedimenti nn. 27169 del 2016, 23601 del 2017 e 32934 del 2018), secondo i quali, salvo comportamento sanante, è nullo il contratto di locazione in presenza di un mancato pagamento che costituisca violazione tributaria.

Osserva che nel caso di specie il locatore aveva sì richiesto il pagamento del canone sulla base di una pattuizione che si riferiva ad un contratto ab origine registrato, ma detta pattuizione non era stata registrata, con la conseguenza che, al fine di realizzare lo sfratto, il ricorrente avrebbe dovuto pagare l’imposta di registro per le annualità morose.

2. Il ricorso è inammissibile sotto un duplice profilo.

2.1. Invero, secondo un consolidato principio di diritto (già affermato da Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi, e ribadito, in motivazione espressa, sebbene non massimata, da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017) “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che – in quanto, per denunciare un errore, bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione – l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c.”.

Orbene, nel caso di specie, la Corte di appello di Reggio Calabria, confermando la sentenza del giudice di primo grado, ha rigettato l’appello della M. sulla base della seguente motivazione:”La nullità per mancata registrazione del contratto di locazione concerne l’iniziale ed unica registrazione, effettuata la quale il contratto si sottrae ad ogni nullità, mentre il mancato eventuale versamento dell’imposta di registro per alcune delle annualità successive, seppure sanzionata dal punto di vista fiscale, non interferisce sulla validità negoziale (cfr., soprattutto in motivazione, Cassazione n. 20938 del 2015)”.

Senonché la ricorrente, nell’illustrazione del motivo, non si affatto confronta con la suddetta ratio motivazionale.

Donde un primo profilo di inammissibilità del ricorso.

2.2. Un secondo profilo di inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis numero 1 c.p.c. sta nel fatto che in esso non si rinvengono elementi per confermare o mutare il principio di diritto affermato da questa Corte con sentenza n. 20938 del 2015 (espressamente richiamata nella sentenza impugnata), secondo la quale:

“… del tutto corretta deve reputarsi la decisione con la quale la corte di appello ha affermato la validità ed efficacia del contratto di locazione dedotto in giudizio. È infatti dirimente osservare, in primo luogo, che il contratto di locazione in oggetto (anteriore alla l. 311-04) venne regolarmente registrato all’atto della sua stipulazione; tanto che gli stessi conduttori riferiscono l’asserita causa di invalidità o inefficacia negoziale non già alla mancata registrazione in quanto tale, bensì al mancato versamento di alcune annualità successive di imposta. Vale a dire, ad un incombente – diverso dalla registrazione iniziale del contratto, e che anzi proprio nella regolare effettuazione di quest’ultima trova il proprio fondamento e presupposto esecutivo – la cui inosservanza viene certamente sanzionata dalla normativa fiscale, senza con ciò interferire sulla validità negoziale; costituendo una modalità di corresponsione dell’imposta (alternativa a quella cumulativa iniziale per l’intera durata contrattuale prevista) determinata su un presupposto impositivo reddituale già dichiarato all’amministrazione finanziaria. In secondo luogo, non viene qui in alcun modo dedotto che, nel corso dello svolgimento del rapporto di locazione, si sia derogato al principio basilare di invariabilità del canone, costituente il cuore della questione interpretativa di cui si è dato conto. Ciò perché la vicenda modificativa del contratto (di cui si lamenta impropriamente la ‘mancata registrazionè) non ha riguardato l’entità del canone (rimasta immutata nel corso del rapporto), ma unicamente la modificazione soggettiva costituita dalla successione degli eredi all’originario conduttore. Sicché la mancata corresponsione degli importi annuali dell’imposta di registro si pone, nella specie, al di fuori della menzionata ratio di repressione dei fenomeni di evasione o elusione dell’imposta reddituale; non risultando in alcun modo funzionale (secondo la stessa prospettazione di parte conduttrice) all’occultamento dei redditi da fabbricato da parte del locatore. Vieppiù considerando che non viene nemmeno dedotto che la parte locatrice abbia fittiziamente comunicato all’amministrazione finanziaria la cessazione del rapporto in data anteriore a quella reale (in concomitanza con la ricordata modificazione soggettiva dal lato del conduttore), così da impedire od ostacolare l’azione di verifica del dovuto da parte dell’amministrazione finanziaria medesima”.

In definitiva, vero è che, come affermato dalla ricorrente, il contratto di locazione per cui è causa, contrariamente a quello esaminato da Cass. n. 20038-2015, è stato stipulato e registrato successivamente all’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004.

Ma è altrettanto vero che questa Corte in detta sentenza, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, ha chiaramente riferito la norma dell’art. 1, comma 346 alla registrazione originaria o a registrazioni successive di accordi modificativi del canone che debbono essere novativi, dato il tenore del comma 346.

D’altronde, anche nel caso di specie, come in quello esaminato nel richiamato precedente, ricorre una ipotesi (non già di mancata registrazione, ma) di mancato versamento di alcune annualità successive di imposta, cioè di un incombente che non soltanto è diverso dalla registrazione iniziale del contratto, ma che, anzi, proprio nella regolare effettuazione della registrazione iniziale del contratto trova il proprio fondamento e presupposto esecutivo.

Anche nel caso di specie non viene dedotto che, nel corso dello svolgimento del rapporto di locazione, si sia derogato al principio basilare di invariabilità del canone (soltanto del tutto genericamente ed anzi ambiguamente e senza dire se e dove la prospettazione sarebbe stata introdotta nel giudizio di merito, parte ricorrente parrebbe adombrare che vi sarebbe stato un patto di aumento del canone: si confrontino le ultime tre righe della pag. 2 e primo rigo della pag. 3).

Anche nel caso di specie non viene dedotto che la parte locatrice abbia fittiziamente comunicato all’amministrazione finanziaria la cessazione del rapporto in data anteriore a quella reale, così da impedire od ostacolare l’azione di verifica del dovuto da parte dell’amministrazione finanziaria medesima.

In definitiva, il ricorso va deciso alla stregua del seguente principio di diritto:

“Il mancato versamento di alcune annualità della imposta di registro, successive a quella iniziale, è sì sanzionato dalla normativa fiscale, ma non rileva agli effetti della validità negoziale del contratto cui si riferisce la previsione di nullità di cui alla norma della l. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, atteso che essa si riferisce alla registrazione originaria del contratto”.

3. Per le ragioni che precedono il ricorso è inammissibile.

Alla inammissibilità del ricorso non consegue alcuna condanna in punto di spese, non essendosi difesa la parte intimata, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.


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