Comportamento aggressivo in famiglia: quando è reato


Maltrattamenti in famiglia: quando è possibile denunciare un familiare che umilia, vessa e fa il despota.
Chi pone un comportamento aggressivo in famiglia può essere denunciato. La legge infatti prevede il reato di «maltrattamenti in famiglia» sia nel caso di coppie sposate che di conviventi. Gli abusi possono essere di carattere fisico o psicologico, ma non è richiesto un effettivo danno alla sfera della vittima: ciò che conta è la situazione di pericolo anche solo potenziale.
Il delitto comprende tutti quei fatti che possono produrre sofferenze sia fisiche che morali in colui che li subisce e che sono riprovati dalla coscienza pubblica in quanto ritenuti vessatori. I confini tra il lecito e l’illecito sono considerati piuttosto evanescenti e molto rimane affidato alla valutazione del singolo caso da parte del giudice.
Per comprendere quindi quando è reato un comportamento aggressivo in famiglia sarà bene distinguere le semplici azioni ostili, tipiche di qualsiasi contesto familiare, di per sé tollerabili perché non lasciano alcuno strascico sulla salute psicofisica dei congiunti (anche se poi sfociano in separazione e divorzi) dai comportamenti invece penalmente rilevanti. Vediamo qual è, in proposito, l’orientamento della Cassazione.
Indice
Le condotte aggressive: quali sono?
Per parlare di maltrattamenti in famiglia sono necessari comportamenti come le lesioni, le percosse (che si distinguono dalle lesioni perché non lasciano ferite o contusioni), le ingiurie, le privazioni imposte alla vittima (si pensi a un marito che, per tirchieria, non dà alla moglie i soldi per la spesa o che ne controlla maniacalmente gli acquisti), gli atti di scherno, disprezzo, umiliazione e asservimento, e più in generale anche tutti quei fatti che producono sofferenze soltanto morali, quali spavento, angoscia, disgusto morale.
I comportamenti possono essere sia “commissivi” (ad esempio una condotta violenta) che “omissivi” (ad esempio il privare il partner dei mezzi di sostentamento o non consentire ai figli di studiare).
Potrebbero rientrare nei maltrattamenti anche condotte che, singolarmente prese, non costituiscono reato (atti di infedeltà, di umiliazione generica ecc.) ma che lo diventano nel momento in cui vengono reiterati nel tempo.
Dopo quanto tempo le condotte aggressive sono reato?
Secondo elemento del reato di maltrattamenti in famiglia è la reiterazione nel tempo del comportamento incriminato. È necessario un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da abitualità. Tali comportamenti devono essere quindi più che sporadici: devono essere la manifestazione di una attività oppressiva persistente, tale da generare un clima di vita persecutorio e umiliante per la vittima.
La giurisprudenza, nelle varie fattispecie che le si sono presentate, ha avuto modo di precisare che la condotta del delitto è costituita da una ripetizione di atti realizzati in momenti successivi che ledono l’integrità fisica e il patrimonio morale del soggetto passivo e ne offendono il decoro e la dignità, così da sottoporlo a un regime di vita dolorosamente vessatorio. Non sono invece sufficienti a integrare la condotta tipica sporadici e occasionali episodi di violenza.
Scrive in proposito la Cassazione (sent.n. 21646/2022): «Ai fini della configurabilità del reato abituale di maltrattamenti in famiglia, è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima».
Il reato è quindi a condotta plurima, ossia realizzato da più atti; occorre pertanto, ai fini della sua configurabilità, dimostrare che tutti i singoli fatti sono tra loro connessi e cementati in maniera inscindibile da una volontà unitaria, persistente e volta a una finalità criminosa. Ci deve quindi essere anche l’intenzionalità, ossia il dolo di nuocere la vittima. Non si potrebbe quindi parlare di maltrattamenti in capo a una persona affetta da un grave disturbo mentale. Comunque è sufficiente la semplice consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima.
Lo stato di sofferenza
La vittima deve subire un danno, attuale o anche solo potenziale, fisico o morale (ad esempio psichico). Non è quindi necessaria una attestazione medica di una malattia.
Si ritiene che lo stato di sofferenza e di umiliazione possa derivare, al di là di specifici comportamenti vessatori, anche da un clima generalmente instaurato all’interno della famiglia.
Quindi elementi del reato sono:
- un soggetto che abitualmente infligge sofferenze fisiche o morali a un altro
- la vittima resta succube.
È stato recentemente considerato reato di maltrattamenti anche il comportamento del genitore che riesce ad escludere dalla vita del figlio in maniera assoluta l’altra figura genitoriale e ciò anche nel caso in cui il minore non percepisce tali comportamenti come mortificanti o dolorosi.
Aggravanti
Il reato è ai sensi dell’art. 61, comma 11- quinquies c.p., aggravato quando il fatto è commesso in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza. La protezione pertanto riguarda oltre alle donne in stato di gravidanza i minorenni e non più soltanto i minori di quattordici anni, com’era previsto in passato. Si considera inoltre aggravata la condotta non solo quando il minore sia vittima del reato, ma anche quando ne sia testimone, quando cioè il reato è commesso “in presenza” di un minore degli anni diciotto.
Le modifiche legislative e il codice rosso
La materia è stata inoltre innovata dal Decreto legge 14 agosto 2013 n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province” convertito in Legge con L. 15 ottobre 2013, n. 119 . Il decreto emanato sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa fatta ad Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata con L. 77/2013 ha incluso il reato in esame tra quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ex art. 380 comma 2 lett. l-ter c.p.p. (poi modificato da L. 134/2021)
Successivamente la legge n. 69/2019 (legge sul Codice Rosso) innovando il codice penale e il codice di procedura penale ha introdotto un maggior rigore in relazione ai reati di violenza domestica, stalking e maltrattamenti in famiglia. E’ stato previsto in particolare un avvio più rapido delle procedure, il che consente un’adozione più celere di eventuali provvedimenti di protezione delle vittime. Inoltre in relazione ai maltrattamenti sono stati previsti inasprimenti di pena.