Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 novembre – 30 dicembre 2014, n. 27546
Presidente e Relatore Spirito
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma dichiarò l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., nei confronti della soc. M. 95 in liquidazione del contratto di compravendita immobiliare stipulato tra le società Anp. e M. 95 in data 19 dicembre 1996. La sentenza è stata riformata dalla Corte d’appello di Roma, la quale, nel respingere la domanda, ha ritenuto non provata la consapevolezza del terzo acquirente circa il pregiudizio derivante alla società alienante dalla compravendita in questione; precisando, in particolare, che il primo giudice aveva errato nell’attribuire la consapevolezza del pregiudizio all’avv. A.A. (all’epoca socio di maggioranza dell’Anp. e fornitore della provvista per l’acquisto), ma non legale rappresentante dell’acquirente.
Propone ricorso per cassazione la M. 95 in liquidazione attraverso due motivi. Rispondono con controricorso la Anp. in liquidazione, nonché l’Avvocatura Generale dello Stato per l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la quale chiede l’accoglimento del ricorso della M. 95.
Motivi della decisione
Con riguardo all’azione revocatoria proposta dalla società M. 95, la sentenza impugnata ha accertato: l’esistenza del credito, riferito all’aspettativa che avevano i soci alla ripartizione degli utili, ai sensi dell’art. 2433 c.c.; il pregiudizio economico subito dalla società alienante per non aver percepito il prezzo della vendita, pur essendosi spogliata della proprietà dell’immobile; il versamento del prezzo della compravendita non all’amministratore della società alienante, bensì ai C. / Ci. ; la qualità di questi di soci di fatto, ma non formali della M. 95, alla quale non ritrasferirono il prezzo della compravendita dopo averlo percepito. Tuttavia, il giudice d’appello ha respinto la revocatoria per mancanza del presupposto della consapevolezza da parte del terzo acquirente (la soc. Anp.) del pregiudizio derivante alla società alienante (la M. 95), nella considerazione che tale consapevolezza non poteva essere riferita (come aveva fatto il primo giudice) all’avv. A.A. , il quale all’epoca era socio di maggioranza della società acquirente, ma ne non aveva la rappresentanza ed era, peraltro, rimasto estraneo al giudizio “in cui non ha potuto difendersi“.
Nei due motivi di ricorso la M. 95 rappresenta una serie di circostanze attraverso le quali tende a dimostrare che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in violazione di legge e vizio della motivazione. Con la società ricorrente – come s’è visto – solidarizza l’Avvocatura dello Stato, che è presente nel giudizio per l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Il ricorso è fondato.
In tema di azione revocatoria ordinaria, è consolidato il principio giurisprudenziale secondo cui, allorché l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, l’unica condizione per l’esercizio della stessa è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio delle ragioni del creditore e, trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole il terzo, la cui posizione (per quanto riguarda i presupposti soggettivi dell’azione) è sostanzialmente analoga a quella del debitore; la prova del predetto atteggiamento soggettivo può essere fornita tramite presunzioni il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 17327/11).
Negli atti del giudizio di cassazione è incontroverso che l’atto di trasferimento in questione fu stipulato nel 1996 e la venditrice società dichiarò di aver già in precedenza ricevuto la somma di L. 150 milioni. Nel 2000, nell’ambito di un procedimento di prevenzione vennero confiscati in danno della Ci. e del C. (soci di fatto ma non formali della M. 95, come la stessa sentenza impugnata ammette) mobili, immobili, quote sociali e titoli della M. 95 in liquidazione, con nomina di un amministratore giudiziario (il dr. P. ). Quest’ultimo, con la G.d.F. accertò che nessun prezzo era stato in realtà corrisposto dall’acquirente società (la Anp.) per l’acquisto dell’appartamento. Ecco, allora, che il P. promosse la presente azione per far valere la nullità del contratto, la sua simulazione o comunque l’inefficacia, con restituzione del bene.
Ciò premesso, deve rilevarsi che la sentenza, già sulla base delle sue sole considerazioni, si manifesta non soltanto eversiva rispetto al principio giuridico summenzionato, ma, soprattutto, affatto illogica nelle ragioni in base alle quali è pervenuta alle proprie conclusioni. Se è vero, infatti, che l’avv. Giovanni Abet è non solo colui il quale è socio di maggioranza della società acquirente, ma è anche colui il quale ha messo a disposizione la provvista economica attraverso la quale la Anp. ha acquistato e pagato il bene nelle mani dei Ci. / C. , non è comprensibile la ragione per la quale a costui non possa e debba essere attribuita la consapevolezza di ledere le ragioni del credito. La circostanza, poi, che il menzionato avvocato A.A. non sia stato presente nel giudizio non ha alcuna rilevanza, ai fini dell’accertamento relativo alla consapevolezza del pregiudizio da parte della società acquirente. A ciò deve aggiungersi che la stessa sentenza riferisce dei rapporti tra i Ci. / C. ed il menzionato professionista, pur dando come indimostrata l’affermazione della C. secondo cui l’acquisto dell’immobile era sostanzialmente da considerarsi come una permuta (senza passaggio, dunque, di denaro) a fronte delle prestazioni professionali svolte dall’Abet.
Oltre a quelle sopra esposte, devono essere annoverate una serie di altre considerazioni svolte dalla ricorrente società, le quali, se compiutamente esaminate dal giudice, lo avrebbero portato a conseguenze logiche affatto opposte rispetto a quelle raggiunte.
Dall’interrogatorio formale di A.G. , figlio del menzionato A. e legale rappresentante della società acquirente, risulta: che egli, alcune settimane prima del rogito, si portò con suo padre A. presso l’abitazione dove i Ci. / C. erano sottoposti ad arresti domiciliari e dove, in mani di questi ultimi, avvenne la consegna del prezzo in contanti (L. 150 milioni), senza che in cambio fosse rilasciata alcuna ricevuta; la somma pagata fu tratta da un conto personale del socio di maggioranza A.A. , in mancanza di alcun conto corrente bancario intestato alla Anp. (benché questa avesse come principale oggetto sociale l’attività immobiliare ed edilizia).
I fatti, così come narrati da A.G. , risultano sostanzialmente confermati dal testimone Ar. .
È rimasto, inoltre, accertato che la società acquirente era stata costituita lo stesso giorno della compravendita, innanzi allo stesso notaio. Circostanza, questa, dalla quale si deve necessariamente dedurre che, quando l’avvocato A.A. pagò, con proprio denaro, l’appartamento (alcune settimane prima del rogito), la società acquirente neppure esisteva, sicché appare del tutto incomprensibile come la sentenza abbia preteso di collegare il presupposto della consapevolezza del pregiudizio alla persona di Giovanni Abet (rappresentante legale della società che si costituirà solo il giorno del rogito) e non a quella di A.A. che è il vero artefice dell’operazione, per avere egli stesso messo a disposizione la provvista economica necessaria per il pagamento del prezzo e per essere egli divenuto poi socio di maggioranza della società acquirente (amministrata da suo figlio).
La sentenza deve essere, dunque, cassata ed il giudice del rinvio provvederà a rivalutare la vicenda in base al principio di diritto sopra enunciato ed ai rilievi sopra svolti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.