Tassa su monumenti e beni paesaggistici: nuovo balzello per chi usa i social network?


Il Parlamento Europeo vorrebbe imporre una privatizzazione delle vedute che comprendono palazzi e monumenti d’autore.
Sul fatto che le varie leggi sul copyright, esistenti a livello Europeo, siano poco chiare e differenti tra loro, non sorgono dubbi; pertanto, l’esigenza di avere, se non una normativa unica, almeno un indirizzo uniforme, in materia, si può ben comprendere. Quel che non si può giustificare, invece, è l’eccesso di restrizioni, un eccesso che, come in questo caso, rischia di diventare controproducente e di apportare più danni che benefici, anche dal punto di vista economico. Ma procediamo con ordine.
Parlando dei panorami, in Europa, nella maggior parte dei Paesi, essi sono “liberalizzati”: ciò significa che, se si fotografa un monumento o un palazzo d’autore, si è liberi d’inserire le immagini nel proprio sito, su Facebook o altri social network senza chiedere alcuna tipologia di permesso. In alcune nazioni europee, come la Francia, il Belgio, e anche l’Italia, per condividere tali immagini su internet, a seconda dell’utilizzo, è necessario effettuare un’apposita richiesta di autorizzazione: dunque, la questione della tassa sui panorami, per noi italiani, non è certamente una novità.
In particolare, nel nostro Paese, anche se si è liberi di fotografare quel che si vuole, la pubblicazione delle immagini ed il loro rilascio in formato CC-BY-SA (una licenza libera che permette anche il riutilizzo commerciale delle foto) richiede un iter burocratico certamente non breve, né semplice.
Difatti, a partire dal 2004, data dell’entrata in vigore del Codice Urbani (il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, redatto dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali Giuliano Urbani), perché sia lecito pubblicare l’immagine di qualunque monumento sito in Italia, è necessario essere ufficialmente autorizzati dal “legittimo proprietario” (che può essere l’autore o un ente pubblico). Nella maggior parte delle ipotesi, ovviamente, trattandosi di opere antiche, il “proprietario” è un Ente statale o locale che, affamato di tasse e balzelli, impone di pagare un canone per l’utilizzo non personale delle foto.
Nella prassi, quasi nessuno ha mai richiesto l’autorizzazione per inserire, ad esempio, le immagini delle proprie vacanze sui social network, anche perché non sempre le foto sono visibili a tutti e riutilizzabili: sono capitate, però, delle casistiche particolari, per le quali il Codice Urbani ha dato luogo a diverse difficoltà, com’è avvenuto, ad esempio, per il progetto Wiki Loves Monuments. Il problema, per quanto concerne la pubblicazione, non risiede tanto nel pagamento in sé del canone, ma nell’indeterminatezza della normativa: non esiste, in effetti, un elenco univoco dove sia indicato quale ente possieda i diritti di un determinato monumento. Così, per poter utilizzare la foto di un bene culturale o paesaggistico italiano, ci si deve cimentare in una caccia al tesoro, domandando a ciascun Ente pubblico, dal Ministero, alla Soprintendenza, sino al singolo comune.
Ora, ci si domanda quale direzione verrà presa dal Parlamento Europeo, che deciderà, in merito, il prossimo 9 luglio: il rischio è che si possa arrivare anche a dei paradossi-limite, come il pagamento di una tassa anche per una semplice foto, o la “caccia al trasgressore” su Internet, col rischio di sanzioni per chi ha pubblicato nel blog la foto del viaggio di nozze in una qualsiasi rinomata località europea. A seconda della linea adottata, non stupirebbe se, in futuro, si decidesse di far pagare un’imposta aggiuntiva ai fortunati che godono di un panorama su paesaggi o monumenti famosi.
Sulla Rete, nel frattempo, divampa la protesta, e molti fotografi famosi hanno inserito dei noti panorami con i monumenti-simbolo sbiancati, come se fossero stati tagliati via dall’immagine: Parigi senza la Tour Eiffel e la Piramide del Louvre, Londra senza il London Eye, Copenaghen senza la Sirenetta.
Si spera che l’Europarlamento indirizzi le armi per la lotta a difesa dei diritti d’autore in altri ambiti, e non in una censura assurda, che , di fatto, limiterebbe la libertà di condivisione di contenuti e d’informazione, e si tradurrebbe in un nuovo ed inutile costo per il cittadino.