Tribunale, Corte d’Appello, Corte d’Assise e Cassazione: i giudici e le istanze che si possono proporre per impugnare la sentenza di primo grado.
Impugnazioni: appello e ricorso per cassazione, quante volte si può rimettere in ballo la sentenza di primo grado? Il giudice è umano e può sbagliare: per rendere meno frequenti i suoi errori, o meglio per consentirne la correzione (anche al fine di evitare abusi), l’ordinamento garantisce alla persona condannata in una causa civile o penale di appellarsi a un altro giudice. Alcuni parlano, comunemente, di giudice di seconda o terza istanza, anche se la dizione (volgare) non è corretta. Ora si vedrà perché.
Sono giudici di primo grado:
– il giudice di pace, che è competente a giudicare le cause di modico valore e i reati di minore gravità come le lesioni personali, l’ingiuria, la diffamazione;
– il Tribunale, invece competente a giudicare tutte le altre questioni, quelle cioè, in via residuale, che non sono attribuite al giudice di Pace o alla Corte di Assise;
– la Corte d’Assise che ha competenza solo in materia penale e si occupa dei delitti più gravi per i quali è prevista una pena detentiva a 24 anni di reclusione. È composta da due magistrati e da sei giudici popolari detti giurati.
Contro le decisioni dei giudici di primo grado si può sempre fare appello (salvo alcune specifiche e minime ipotesi) al giudice di secondo grado, che è:
– contro le sentenze emesse dal giudice di Pace, il Tribunale (che, quindi, svolge sia funzioni di giudice di primo grado, che di secondo);
– contro le sentenze emesse dal tribunale in funzione di giudice di primo grado, la Corte di Appello;
– la Corte d’Assise d’appello, per le sentenze emesse dalla Corte d’Assise.
Tali giudici esaminano nuovamente la controversia nel “merito”, ossia tornano ad accertare la valutazione dei fatti al fine di emettere una nuova sentenza che si sostituisca alla precedente. Importante è precisare che i giudici di appello non tornano a visionare le prove e ad escutere i testimoni una seconda volta o, ancora, a nominare un nuovo perito (salvo che ciò non venga ritenuto necessario per la decisione): sotto almeno il profilo istruttorio, “quel che è fatto, è fatto”, e non si può più rimettere in gioco. I giudici di secondo grado possono solo valutare se il giudice di primo grado abbia valutato correttamente quelle prove.
Allo stesso modo le parti non possono, in secondo grado, presentare nuove prove o nuove eccezioni, che restano solo quelle già presentate in primo grado: diversamente si avrebbe che, sulle stesse, ci sarebbe un solo grado, quello del giudice di appello, senza possibilità di revisione della sua decisione.
Infine c’è la Corte di Cassazione, anche detta Suprema Corte. Attenzione: non si tratta, propriamente, di un terzo grado di giudizio, perché non va a riesaminare la vicenda e i fatti, ma controlla solo che la legge sia stata correttamente applicata e interpretata dai giudici dei primi due gradi. Per tale ragione si dice che la Cassazione esprime un giudizio di legittimità e non di merito. In buona sostanza la Cassazione è giudice non del fatto, ma del giudice dei gradi precedenti e di come questi hanno inteso applicare la legge (sia quella sostanziale che della procedura).
Se la Corte non riscontra alcuna irregolarità, conferma la sentenza. Viceversa la “cassa”, cioè la cancella, e il processo deve ricominciare davanti al giudice che ha commesso l’errore rilevato dalla Cassazione. In alcuni casi, quando non vi sia necessità di procedere ad ulteriori attività, la Suprema Corte potrebbe anche evitare di rinviare di nuovo la causa al giudice del merito, ma decide e chiude definitivamente il processo.
Per questa ragione la Cassazione non è propriamente un giudice dell’impugnazione, ma solo un organo che ha la funzione di stabilire la corretta interpretazione della legge.
Ciò, però, sollecita un’importante domanda: è possibile che una stessa norma venga interpretata in modo diverso da giudici diversi? È possibile che per un identico fatto un giudice possa emettere una sentenza di condanna e un altro una sentenza di assoluzione? O che lo stesso giudice prima, convinto di un’opinione, emetta una condanna e poi, per un fatto identico e successivo, un’assoluzione o viceversa?
La risposta è affermativa: nel nostro ordinamento, i precedenti (ossia le sentenze dei giudici) non fanno legge (sono obbligatorie solo per le parti in causa e non per la collettività, né per gli altri giudici). Quindi nessun giudice è vincolato all’interpretazione data dai propri colleghi o da egli stesso in passato.
Tuttavia, per evitare che questa libertà, indipendente e autonomia dei giudici si tramuti in abuso, sono previsti due limiti:
– il primo è che ogni sentenza deve contenere, oltre alla decisione (cosiddetto “dispositivo”), anche la motivazione, cioè la spiegazione delle ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto il giudice a prendere quella determinata decisione. Ne consegue che se questi vuole distaccarsi dall’interpretazione corrente, data a una certa norma, dovrà essere in grado di esporre, nella motivazione della sentenza, il ragionamento logico-giuridico che lo ha condotto alla diversa conclusione;
– il secondo limite è costituito proprio dal giudizio della Corte di Cassazione: se questa ritiene che la sentenza contro cui è stato presentato ricorso sia frutto di un’interpretazione errata dal giudice di merito, la cassa, cioè l’annulla e impone al giudice di merito quale sia il modo corretto con cui dovrà interpretare la norma.
In tutto questo, le Sezioni Unite della Cassazione intervengono tutte le volte in cui, in merito a una determinata vicenda, le diverse sezioni della Cassazione si sono pronunciate, nel tempo, in modo diverso. Esse vengono “riunite” tutte le volte in cui si deve decidere, quindi, una questione particolarmente delicata o controversa.
Il filtro in Cassazione
Una legge del 2009 ha importo un filtro ai ricorsi in Cassazione, in modo da evitare che le parti si rivolgano alla Suprema Corte al solo fine di ritardare la conclusione del giudizio. In particolare si è stabilito che il ricorso è inammissibile quando il giudice di merito ha deciso la questione in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
note
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E stata pronunciata una sentenza a mio danno esattamente un ingiunzione, per aver firmato un mutuo al 50% pignorizio come cobligato che come marito non potevo esimermi, con perdita di un ingente cifra e non sono intestatario di ipoteca abbiamo le prove documentali che la mia ex consorte a firmato tutti gli assegni, che sono serviti x caparre-acquisto mobili-agenzia imm.-in comune io non esisto come è possibile.
E’ stato così e sarà sempre peggio!
o vinto una causa di risarcimento danni verso opedale con affermazioni del c.t.u. di due medici nominati dal tribunale e lospedale a fatto appello contro decisioni tecniche dei due c.t.u . possono cambiarla i giudici in appello le decisioni affermate dal giudice di primo grado