Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 giugno – 3 agosto 2015, n. 33983
Presidente Milo – Relatore Petruzzellis
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 18/10/2012, in riforma della pronuncia del Tribunale di Pesaro, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di P.C.F. in ordine al reato di cui all’artt. 388 cod. pen. perché estinto per prescrizione ed ha confermato le statuizioni civili.
2. La difesa di P. nel suo ricorso deduce violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. riguardo al ritenuto accertamento del reato, conseguenza della mancata osservanza del divieto di allontanarsi dall’Italia imposto alla donna affidataria dei minori dal giudice civile, imposto con provvedimento illegittimo in relazione all’art. 16 Cost., alle norme sulla libera circolazione in Europa, oltre che alla Convenzione dell’Aja del 25/10/1980 che, in materia, consente al coniuge affidatario di decidere liberamente la residenza dei figli minori.
Si chiede conseguentemente l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
3. Con il secondo motivo, si eccepisce violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto all’accertamento di responsabilità, intervenuto, secondo l’esponente, in mancanza del requisito essenziale del provvedimento giudiziale la cui efficacia è tutelato dalla disposizione normativa richiamata, che si individua nella coercibilità, e si segnala che già dinanzi alla Corte d’appello era stata rilevata tale opzione interpretativa, rispetto alla quale nessuna argomentazione di contrasto era stata svolta nella pronuncia impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato.
2. Come è stato già chiarito da precedenti di questa Corte sul punto, in materia si intersecano opposte esigenze di tutela dell’esercizio di diritti fondamentali, quali quelli del minore ad un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, cui corrisponde il diritto di ciascuno di essi a tutelare il legame con i propri figli, ed il diritto di libertà di stabilimento di ciascun genitore, il cui opportuno contemperamento esige l’intervento del giudice.
La conseguenza di tale previsione, non è quella di porre un limite alla libertà di movimento del genitore affidatario ma di individuare, alla luce delle libere scelte al riguardo, la possibilità di conciliare, con nuove prescrizioni, i diritti degli altri componenti della famiglia.
Sotto tale profilo, conseguentemente, risultano manifestamente infondate le eccezioni formulate in ricorso, ove si evoca nell’affermazione di responsabilità dell’interessata, che ha condotto alla sua condanna al risarcimento del danno, illegittime violazioni del diritto di libertà del genitore affidatario, all’atto in cui emerge pacificamente dalla pronuncia impugnata che l’odierna ricorrente aveva trasferito la sua residenza all’estero senza attivare un nuovo procedimento finalizzato alla modifica delle prescrizioni in tema di affidamento dei minori condotti con sé, per di più specificamente allontanandosi all’insaputa dell’altro genitore, così privandolo dell’esercizio del diritto di visita, così come prescritto nel provvedimento giudiziale, oltre che di una forma di immediata tutela dei propri interessi e di quelli dei minori.
La condotta descritta integra l’elusione del provvedimento giudiziale, elemento costitutivo del delitto contestato, la cui sussistenza individua il concreto discrimine rispetto ad analoghe condotte, in quanto caratterizzate dalla piena consapevolezza da parte del genitore non affidatario delle scelte dell’altro coniuge (Sez. 6, n. 31717 del 06/06/2008, Reichardt, Rv. 240712), che gli permette di tutelare efficacemente i propri diritti. L’applicazione della fattispecie richiamata non può considerarsi conseguenza di una impropria ed illegittima imposizione di una limitazione della libertà di stabilimento del coniuge affidatario, contrastante con i principi contenuti nella Convenzione dell’Aja, ma effetto della concreta limitazione dei diritti della controparte, alla cui tutela era funzionale la previsione giudiziale sul diritto di visita, disattesa con modalità concretamente elusive.
Lungi dal creare un’imposizione “coatta” di una residenza alla madre, nel caso concreto si versa nella ben diversa prospettiva dell’utile perseguimento dell’interesse dei minori, che, laddove allontanata per lunghi periodi dalla figura paterna, avrebbe finito col produrre effetti irreversibili nel funzionale rapporto con essa, esclusa per la condotta della madre, anche in conseguenza del serbato silenzio sui suoi programmi di vita.
Questa sezione della Corte si è infatti più volte espressa nel senso che l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l’affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo, quando questi siano finalizzati ad ostacolare ed impedire di fatto l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione della prole (cfr. in termini: Cass. pen. sez. 6, 33719/2010 Rv. 248157).
3. Risulta insussistente anche l’ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto, come già correttamente chiarito dalla sentenza impugnata si era espressa in argomento a fg 4, sulla base della giurisprudenza sul punto (Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007 – dep. 05/10/2007, Vuocolo, Rv. 236937 nonché in precedente specifico Sez. 6, n. 43292 del 09/10/2013, Guastafierro, Rv. 257450) l’esecutività del provvedimento giudiziale non è elemento essenziale alla sussistenza del reato, essendo prevista la configurabilità anche in situazioni, quali quelli dei rapporti personali tra coniugi, in cui sia impossibile l’esecuzione in forma specifica. Il motivo di ricorso, in luogo che confrontarsi con tale ricostruzione si limita alla riproposizione delle proprie deduzioni in argomento, con deduzione manifestamente infondata.
4. Il rigetto del ricorso impone la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.