Recupero crediti: le armi in mano del creditore in caso di pignoramento infruttuoso.
Il vero punto dolente della nostra giustizia non sono tanto i tempi dei processi, quanto le difficoltà, al termine degli stessi, di recuperare i crediti eventualmente vantati nei confronti della parte soccombente. E questo perché, a causa alle lungaggini della giustizia e per via di una lunga serie di norme che consentono ai debitori di vivere “allegramente” pur senza aver nulla intestato, la parte che ha in corso una causa può arrivare, al momento della sentenza, con tutte le carte pronte per frustrare le aspettative del creditore, spogliandosi di tutto.
Come ci si difende in questi casi?
Premettiamo che il codice civile stabilisce che il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i propri beni “presenti” e “futuri”, il che implica due questioni fondamentali:
– innanzitutto non è detto che se oggi il debitore non ha nulla, non l’avrà neanche domani. Il pignoramento può essere tentato per tutta la vita del soggetto obbligato e anche nei confronti dei suoi eredi (a meno che non rifiutino l’eredità): l’importante è avere l’accortezza di interrompere periodicamente i termini di prescrizione che, per i titoli giudiziali (decreti ingiuntivi, sentenze, ecc.) è di dieci anni;
– dall’altro lato, però, “nessuno può essere costretto a qualcosa di impossibile”. Quindi, così come non si va in carcere se non si pagano i creditori, non esistono neanche conseguenze di tipo amministrativo. L’unica norma “punitiva”, prevista dal nostro ordinamento, è nel caso in cui il creditore sia una banca: in queste ipotesi potrà scattare una segnalazione alla Centrale Rischi, il divieto di emissione di assegni, ecc.
Se poi il debitore è un imprenditore, potrebbe essere dichiarato fallito, con alcune limitazioni sul piano politico-amministrativo, e certo una non facile gestione dei redditi successivi (se si tratta di ditta individuale o di società di persone). Fuori, però, da questi due casi, chi non paga i debiti può continuare a vivere tranquillamente.
Detto ciò, esistono però dei correttivi, previsti dalla legge, proprio per arginare i fenomeni fraudolenti, studiati a tavolino proprio per non pagare i debiti.
Innanzitutto, è stata ribaltata la dinamica dei pignoramenti: se prima il soggetto attivo era il creditore, che doveva attivarsi in prima persona, finanche ingaggiando investigatori privati, per ricercare i luoghi e le forme in cui il debitore aveva investito i propri averi (e quindi metterli all’asta), oggi invece basta semplicemente chiedere, al Presidente del Tribunale, un accesso alle banche dati della pubblica amministrazione (anagrafe tributaria, dei conti correnti e dei rapporti previdenziali) per poter sapere, in un secondo, dove il debitore è impiegato (per pignorare il quinto dello stipendio), da quale ente percepisce la pensione (per pignorare, anche in questo caso, il quinto della pensione), in quale banca deposita i propri soldi (per pignorare il conto corrente secondo i nuovi limiti), in quale Comune ha eventuali beni immobili (per poterli sottoporre ad esecuzione forzata).
Anche per chi non ha “formalmente” nulla, l’arma del penale è sempre molto convincente. Ma raramente è possibile, in caso di inadempimento contrattuale, farsi giustizia con una querela. Questo è possibile tutte le volte in cui il debitore, nel momento in cui ha contratto l’obbligazione, era consapevole di non poterla adempiere e, ciò nonostante, ha fornito al creditore rassicurazioni sulla propria solidità economica. Si pensi, per esempio, al soggetto che rilasci un assegno postdatato, rassicurando il prenditore che, alla data di scadenza, esso sarà coperto, mentre già sa che ciò è impossibile (leggi “Assegno postdatato: è truffa se è in bianco”); o all’imprenditore che faccia un ordinativo di merce, garantendone il puntuale pagamento, sebbene versi già in uno stato prefallimentare.
Il rischio del procedimento penale è dietro le porte anche se il debitore, oggetto di pignoramento mobiliare che abbia avuto esito infruttuoso, alla specifica domanda dell’ufficiale giudiziario (il quale è tenuto a formularla sempre), dichiari di non avere alcun bene pignorabile. Anche in questo caso il creditore, che dimostri il contrario, potrà usare la querela come “arma del ricatto”.
Potrebbe essere che il debitore, subodorando l’imminenza di un pignoramento, abbia venduto o donato tutti i suoi beni o li abbia costituiti in fondo patrimoniale. In questo caso, il creditore ha due strade:
– entro un anno dal compimento dell’atto potrà, previa trascrizione del pignoramento, rivalersi ugualmente sul bene, pignorandolo anche in capo a terzi soggetti (leggi “Pignoramento della casa senza prima revocatoria”);
– in ogni caso, anche decorso tale termine, potrà esercitare, nei cinque anni successivi all’atto, la cosiddetta azione revocatoria.
Il fondo patrimoniale, poi, non tutela sempre, ma solo da quelle obbligazioni che il creditore sapeva essere state contratte per esigenze non connesse ai bisogni familiari. Così, per esempio, le spese di condominio, per l’attività professionale e tutto ciò che serve per mandare avanti la famiglia danno origine a debiti che consentono l’aggressione del fondo.
note
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e se il creditore è una società a responsabilità limitata?
e se i creditori sono circa 60 persone e vantano crediti da una società spa che non ha mai cessato di produrre? tant’è che la regione ha sempre onorato le fatture emesse dalla società. e’ ovvio che stiamo parlando di una struttura sanitaria a gestione privata ma convenzionata.
E se la società di REC crediti fa dei tassi di usura per 3800 euro ne vuole indietro 12000 cosa si può fare?