Se firmi il cedolino paga del datore di lavoro puoi fare causa?


La firma “per ricevuta” della busta paga non prova l’avvenuto pagamento: se il datore non ti ha pagato lo stipendio puoi comunque fargli causa.
Il datore di lavoro ti ha fatto firmare il cedolino paga, in corrispondenza della voce “firma per ricevuta” e, tuttavia, ciò nonostante, non hai ricevuto alcun pagamento? Se credi di esserti tirato la zappa sui piedi con quella sottoscrizione fortunatamente ti sbagli. Le firme – almeno nell’ambito del diritto del lavoro – non hanno poi tutta quell’importanza che, invece, viene loro attribuita nei restanti campi del diritto civile. Qui vige, invece, il cosiddetto “principio dell’effettività”: conta, insomma, ciò che – al di là dei documenti – è avvenuto realmente tra le parti (datore di lavoro e dipendente). E così, la semplice firma del cedolino “per ricevuta” non dimostra un bel niente e potresti comunque fare causa all’azienda per il mancato pagamento della retribuzione.
È quanto risulta da giurisprudenza costante e, da ultimo, in una sentenza del Tribunale di Bari di quest’anno [1].
Così, una volta intrapresa la causa contro il datore di lavoro per il mancato versamento della paga mensile, a quest’ultimo non basterebbe – per difendersi – produrre le buste paga con la sottoscrizione per ricevuta per dimostrare di aver effettivamente erogato al dipendente le retribuzioni. Il datore di lavoro, invece, ha l’onere di una “prova rigorosa” dei pagamenti effettuati in merito ai singoli crediti vantati dal lavoratore.
Si legge in sentenza che, in presenza della prova dello svolgimento di una prestazione lavorativa – prova che deve dare il lavoratore che afferma l’esistenza del rapporto di lavoro – spetta al datore di lavoro dimostrare di avere integralmente retribuito il dipendente. Insomma, il primo deve dimostrare di aver lavorato, il secondo di aver pagato.
È vero, la legge [2] prescrive l’obbligo, per l’azienda, al momento dalla consegna al dipendente del “prospetto paga” di corrispondere contestualmente lo stipendio: ma la prova della consegna della suddetta busta non porta, di per sé, all’automatica dimostrazione anche dell’avvenuto pagamento. Pertanto, se il datore non riesce a provare di aver pagato lo stipendio con la normale documentazione liberatoria data dalle regolamentari buste paga recanti la firma del lavoratore, dovrà almeno fornire la prova rigorosa dei relativi pagamenti in relazione ai singoli crediti vantati dal lavoratore (per es. la copia di un assegno o di un bonifico bancario).
La stessa Cassazione, con un recente indirizzo, ha specificato che la sottoscrizione per ricevuta, apposta dal lavoratore sulla busta paga, non implica automaticamente l’effettivo pagamento delle somme indicate. Secondo la corte, la consegna della busta paga, anche qualora sia accompagnata dalla sottoscrizione del dipendente “per ricevuta”, non è sufficiente di per sé a dimostrare l’avvenuto pagamento della retribuzione, ma concorre, insieme ad altri elementi, a fornire una presunzione dell’avvenuta estinzione dell’obbligazione retributiva [3].
PAGAMENTO DELLO STIPENDIO E BUSTA PAGA
La legge stabilisce che la retribuzione sia versata con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento. Contrariamente alla normativa, però, è ormai di uso comune la corresponsione della retribuzione mediante accredito bancario o assegni purché vi sia il consenso del lavoratore [4]. È anche vero, però, che l’obbligo di pagare con strumenti tracciabili e non con denaro contante si desume anche dalla normativa in materia di contrasto all’evasione fiscale, almeno per i pagamenti da 1.000 euro in su.
Naturalmente, nel caso di pagamento con bonifico bancario, è necessario che le somme vengano accreditate al lavoratore con valuta non posteriore all’ultimo giorno utile per il versamento della retribuzione spettante.
Quando il pagamento avviene con assegno, la giurisprudenza ritiene momento di pagamento quello in cui il lavoratore presenta l’assegno e la banca gli corrisponde l’equivalente somma in contanti. Secondo tale procedura è necessario che l’assegno sia dato al lavoratore in un momento tale che gli permetta di potersi recare alla banca per l’incasso entro il termine previsto per il pagamento della retribuzione [5].
Nello stesso tempo, il datore di lavoro è tenuto a consegnare ai propri dipendenti (l’obbligo di consegna è limitato agli impiegati e agli operai), contemporaneamente alla retribuzione, una busta paga (anche detto prospetto paga).
Con riguardo al contenuto, la busta paga – firmata o, alternativamente, timbrata dal datore di lavoro o da chi ne fa le veci – deve riportare:
– i dati del lavoratore (nome, cognome e qualifica professionale);
– il periodo cui la retribuzione si riferisce;
– gli elementi della retribuzione, compreso l’ANF. In particolare, per le retribuzioni pagate parte in denaro e parte in natura, occorre indicare:
a- le somme in denaro;
b- la retribuzione in natura solo se e nella misura in cui determina un incremento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali e fiscali;
– le trattenute.
In caso di mancata o ritardata consegna al lavoratore della busta paga, di omissione o di inesattezza delle registrazioni in essa contenute, è applicata al datore di lavoro una sanzione amministrativa.
La legge non ha stabilito volutamente un particolare modello di busta paga per permettere ai datori di lavoro di utilizzare prospetti conformi ai propri sistemi amministrativo-contabili; alcuni contratti collettivi prevedono espressamente l’adozione di documenti equivalenti per scopo alla busta paga.
È inoltre consentito trasmettere il cedolino anche con messaggio di posta elettronica, se viene inviato ad indirizzo intestato al lavoratore provvisto di password personale [6].
note
[1] Trib. Bari, sent. n. 1427 del 25.02.2015.
[2] Art. 1 L. 4/1953.
[3] Cass. sent. n. 24186/2008; Cass. sent. n. 6267/1998.
[4] Cass. sent. n. 3427/1998.
[5] Pret. Lodi sent. del 31.01.1983.
[6] Min. Lav. Risp. Interpello n. 1 dell’11.02.2008.
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