Obbligo di ascolto per i minori di almeno 12 anni con ampia facoltà del giudice di sentirli anche prima se ritenuti capaci di esprimere personali opinioni; la volontà del figlio non è vincolante ma impone al magistrato una motivazione del provvedimento proporzionata al differente grado di discernimento del minore.
Quando una coppia di genitori (sposati o meno che siano) decide di separarsi, uno dei problemi più spinosi è rappresentato dalla scelta della cosiddetta “collocazione” del figlio, ossia con quale dei due genitori questi dovrà andare ad abitare.
A riguardo, è bene subito chiarire che la collocazione abitativa della prole presso l’uno o l’altro dei genitori non solo non incide in alcun modo sulle modalità di affidamento che, salvo situazioni particolari, viene di norma disposto in forma congiunta ad entrambi i genitori (per un approfondimento: “Affidamento dei figli dopo la separazione: la guida”), ma non è neppure prevista dalla legge, che – al contrario – fa esclusivo riferimento alla necessità che il minore mantenga un “rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori” [1].
Ciò significa, in parole semplici che il figlio ben potrebbe, in caso di accordo tra i genitori, non avere una collocazione prevalente, ma trascorrere tempi analoghi con la mamma e il papà (i quali dovranno organizzarsi per assicurare al minore uno spazio abitativo adeguato alle sue esigenze) oppure venire collocato in modo prevalente con il padre o con la madre.
Tuttavia, ove tale accordo manchi, dovrà decidere il giudice.
Anche in tal caso, contrariamente a quanto si possa pensare, non esistono parametri codificati per la scelta della collocazione del figlio, se non quello della salvaguardia del suo esclusivo interesse morale e materiale [2], attraverso l’esame attento di tutta una serie di fattori attinenti al caso concreto (ad esempio, l’età del bambino, il tipo di attività lavorativa dei genitori, l’esistenza o meno di una abitazione che, al momento della separazione, costituisca un riferimento stabile per il minore).
Il magistrato, però, non potrà certo ignorare, specie ove manchi l’accordo dei genitori, la volontà espressa dal figlio e dovrà procedere al suo ascolto [3] secondo regole precise, per le quali rinviamo all’articolo: “Separazione e ascolto dei minori: quali regole?”.
A che età deve essere ascoltato il figlio?
A riguardo, la legge prevede che, al compimento del dodicesimo anno di età, il minore debba essere sempre ascoltato su tutte le questioni (diverse da quelle economiche) che lo riguardano (si pensi alla scelta della scuola da frequentare, alle modalità di visita col genitore col quale non abita stabilmente, ecc.) e che tale ascolto possa avvenire anche prima dei 12 anni, qualora il figlio sia ritenuto dal giudice capace di discernimento, ossia capace (secondo quella che è una categoria psico-giuridica) di elaborare idee e concetti in modo autonomo, di avere delle proprie opinioni e di comprendere gli eventi.
Per valutare la sussistenza di tale capacità il magistrato potrà decidere di disporre un primo colloquio del bambino con un esperto (cosiddetto colloquio tecnico-valutativo); ma si tratta di una semplice scelta che potrebbe ben essere evitata. Come, infatti, chiarito dalla Suprema Corte in una recente sentenza [4], non può mettersi in discussione l’idoneità e l’attendibilità delle dichiarazioni di un minore solo in ragione della sua età. Ciò significa che il magistrato ha piena libertà di valutare la capacità di discernimento del bambino con meno di 12 anni senza richiedere uno specifico accertamento tecnico a riguardo; l’età, afferma la Corte, può semmai rilevare quando si tratti di un minore in età prescolare; al contrario, nel caso di bambini scolarizzati non può essere presunta una loro incapacità di discernimento.
Il giudice è obbligato a decidere in base alla scelta del figlio?
La decisione del tribunale, come abbiamo detto, deve avere come unico obiettivo l’interesse morale e materiale del minore. Da ciò consegue che legge non impone in alcun modo al giudice di assecondare sempre il desiderio manifestato dal bambino.
Va tuttavia registrata una certa apertura, a riguardo, da parte della giurisprudenza.
In passato, infatti, partendo dal presupposto (senz’altro condivisibile) che l’interesse del minore possa anche non coincidere con la volontà da questi espressa in sede di ascolto (si pensi al classico caso in cui un bambino scelga di voler stare con il padre solo perché questi asseconda ogni suo capriccio), si riteneva che il momento dell’ascolto avesse una funzione essenzialmente cognitiva [5]; si affermava, cioè, che l’audizione del figlio dovesse fornire al magistrato quanti più elementi per decidere, ma nulla di più. Il giudice, quindi, doveva tenere in debita considerazione l’opinione del minore, ma non era in alcun modo vincolato alle preferenze espresse dal figlio, dovendo semmai solo motivare il provvedimento che si discostasse da esse.
Di recente, tuttavia, la Cassazione [6], ha rivisto questo orientamento con particolare riferimento ai procedimenti in cui si debba verificare presso quale dei genitori il minore debba restare ad abitare. Questi sono, infatti, procedimenti nei quali l’opinione del minore viene acquisita non solo allo scopo di dare al giudice gli elementi per decidere nel miglior modo possibile, ma soprattutto per conoscere quale sia l’effettivo desiderio del bambino in merito a dove e con chi debba andare a vivere.
In questi casi, secondo la Corte, la funzione esclusivamente cognitiva dell’ascolto va “rimeditata” dovendosi sempre necessariamente tenere conto della volontà da lui espressa in sede di ascolto.
In altri termini, nei casi specifici in cui si sta decidendo sulla collocazione o sulle modalità di affidamento del figlio, il giudice deve dare priorità, nella sua decisione, alla preferenza da questi espressa in sede di ascolto.
Nel caso posto alla sua attenzione, ad esempio, la Corte ha accolto la domanda del padre di una minore che era stata collocata presso la madre contro la sua volontà.
Ciò tuttavia non esclude in nessun caso che, alla luce degli elementi acquisiti, il giudice possa comunque decidere di non assecondare la scelta del fanciullo. In tale ipotesi, tuttavia, come recentemente precisato dalla Cassazione [7] “ il giudice ha un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento del minore e ciò è una diretta conseguenza dell’imprescindibilità dell’ascolto medesimo”.
Se, con la separazione, i genitori non riescono a trovare un accordo in merito alla collocazione abitativa dei figli, la decisione spetta al giudice, il quale è tenuto ad ascoltare e tenere in debita considerazione l’opinione del minore già da quando quest’ultimo si mostri capace di discernimento (cioè sia in grado di comprendere gli eventi e avere delle personali opinioni).
La preferenza espressa dal figlio non è però vincolante per il magistrato, il quale potrà provvedere diversamente, con obbligo in tal caso di motivare la sua scelta tanto più approfonditamente quanto maggiore sia la capacità di discernimento mostrata dal minore.
note
[1] Art. 337 ter co. 1 cod. civ.
[2] Art. 337 ter co. 2 cod. civ.
[3] Art. 337 octies cod. civ.
[4] Cass. sent. n. 752/15, del 19.01.15.
[5] Cfr. Cass. sent. 6081/06; n. 17201/11 ; n. 13241/11.
[6] Cass. sent. n. 5237/14 del 5.02.2014.
[7] Cass. sent. n . 16658 del 22.06.2014.
Autore immagine: 123rf com