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Se un genitore chiede di trasferirsi coi figli: tutti i criteri per il giudice

14 Ottobre 2015 | Autore:
Se un genitore chiede di trasferirsi coi figli: tutti i criteri per il giudice

I contrasti fra genitori separati in merito al trasferimento di residenza dei figli impongono al giudice di fare delle precise valutazioni prima di decidere sull’istanza del genitore collocatario; il Tribunale di Milano fornisce un elenco dettagliato dei criteri da seguire: possibile la revoca del provvedimento sull’affido e sulla collocazione della prole.

Al giorno d’oggi non è infrequente che in una famiglia si ponga, per uno o l’altro dei genitori, l’esigenza (spesso dettata da opportunità lavorative) di trasferirsi in un’altra città.

Quando la coppia è unita è più facile che essa riesca ad gestire congiuntamente i molti problemi pratici che la cosa comporta, ma quando è in atto una separazione, la decisione viene assai spesso demandata al giudice: sono poche le coppie, infatti, che – se pur in regime di affido condiviso – riescono a gestire con senso di maturità e responsabilità simili circostanze e ad assumere di comune accordo le decisioni più rispondenti ai bisogni dei figli.

Il genitore è libero di trasferirsi ma…

A riguardo va da subito chiarito che nessun tribunale ha il potere di impedire al genitore di trasferire la propria residenza in un diverso comune; ogni cittadino ha infatti una assoluta libertà di muoversi liberamente e scegliere dove abitare al fine di realizzare le proprie aspirazioni sociali e lavorative per come garantite dalle leggi nazionali ed internazionali.

Il problema che, al contrario, si pone quando ci sono dei figli è se egli possa attuare tale trasferimento insieme a loro (in sostanza se essi debbano rimanere collocati o affidati a quel genitore).

In altre parole il Tribunale, posto dinanzi ad un’istanza del genitore che coabita con la prole (quantomeno in modo prevalente) di cambio di residenza di quest’ultima (cosiddetta “rilocazione del figlio”) ben potrebbe decidere di modificare i precedenti provvedimenti e – pur senza poter impedire il trasferimento al genitore – collocare i figli presso l’altro genitore o anche (nei casi più gravi) affidarli in via esclusiva a quest’ultimo, se tale soluzione appaia garantire maggiormente gli interessi dei minori (sul punto rinviamo per un approfondimento alla nostra guida sull’ affidamento dei figli dopo la separazione).

Sbaglia dunque quel genitore che, avendo già ottenuto un provvedimento del giudice di affidamento o collocamento della prole presso di sé, si ritenga libero di poter arbitrariamente attuare un cambio di residenza senza il consenso dell’ex.

In presenza di figli minori, infatti, il cambio di residenza deve essere sempre conosciuto ed approvato dall’altro genitore; in mancanza dovrà essere il giudice a decidere a seguito di una specifica istanza di modifica delle condizioni relative ai figli, e risultanti dal precedente provvedimento giudiziale.

Ove ciò non avvenga, l’allontanamento potrà essere punito:

-sia sul piano civile: il giudice potrà, infatti, modificare i provvedimenti in vigore e contestualmente ammonire il genitore inadempiente, disporre un risarcimento a suo carico e il pagamento di una sanzione amministrativa [1]);

-sia dalla legge penale in quanto, ove sia posto in essere in modo arbitrario e tale da impedire la frequentazione del figlio con l’altro genitore, esso integra il grave reato di sottrazione di minore e persona incapace [2], anche quando sia compiuto col consenso del minore stesso.

A cosa deve mirare la decisione del giudice

Nel decidere sull’istanza di cambio di residenza del figlio minore, il giudice – pur disponendo di un’ampia discrezionalità – è tuttavia tenuto ad attenersi a specifici criteri, individuati e collaudati nella letteratura (nazionale internazionale) di settore riguardante la rilocazione a distanza dei figli.

È quanto ha chiarito il Tribunale di Milano [3] con una pronuncia che torna ad utile riferimento per la loro individuazione in quanto – senza la pretesa di elencarli in modo esclusivo ed esaustivo (atteso che essi sono comunque strettamente legati alla singola fattispecie) – li individua nel dettaglio affinché essi guidino il magistrato nella pronuncia di un provvedimento che, nel rispetto della legge [4]:

– sia adottato nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole;

– garantisca a quest’ultima il suo diritto a mantenere con entrambi i genitori un rapporto equilibrato e continuativo;

– permetta alla prole di conservare rapporti significativi con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

I criteri di valutazione del giudice

Ecco di seguito gli otto criteri individuati dal giudice meneghino:

1. I motivi del trasferimento

Il giudice deve innanzitutto esaminare le ragioni che sono alla base del trasferimento del genitore presso cui sono collocati i figli (sia anche in modo prevalente): tali ragioni devono essere sostanziali e non basate (in via esclusiva) da occasioni lavorative più remunerative o dal fatto che il mutamento dell’ambiente sociale sia in grado di offrire all’adulto (e a lui soltanto) maggiore sicurezza rispetto a quella offerta dall’ambiente di attuale residenza.

Nel caso di specie, ad esempio, la richiesta di trasferimento da parte della madre non aveva come scopo quello di ottenere migliori chance economiche o anche di progressione in carriera a discapito del proprio ruolo genitoriale, bensì era basata sulla più radicale esigenza di garantirsi la stabilità lavorativa (poiché la donna, insegnante precaria, sarebbe entrata in ruolo definitivo).

2. Le garanzie di frequentazione genitore non collocatario/figli

Il magistrato, inoltre, deve valutare con quali tempi e modalità il genitore che intende attuare il trasferimento è in grado di garantire la frequentazione tra il genitore non collocatario e la prole: essi -sottolinea la pronuncia -devono essere realisticamente fattibili e non costringere il genitore ad uno stravolgimento delle proprie abitudini di vita o anche ad affrontare sforzi economici insostenibili o comunque sproporzionati ai propri redditi; nel caso in esame la non eccessiva distanza tra le due città (Novara e Ravenna) poteva consentire la frequentazione della minore (frequentante le scuole medie) col genitore non collocatario -anziché per intervalli settimanali – per interi w.e. e periodi di festività scolastica.

3. La disponibilità del non collocatario a trasferirsi

D’altro canto, tuttavia, il giudice deve anche considerare la eventuale manifestata disponibilità dal genitore non collocatario anche al proprio trasferimento, con lo scopo di mantenere la propria funzione genitoriale: scelta che – evidenzia la pronuncia – certamente non può essere forzata ma che, ove non sia esclusa (in quanto razionale e possibile), permette al giudice:

– da un lato di valutare la volontà e capacità del genitore di mutare i propri riferimenti sociali e lavorativi con lo scopo di mantenere solido il legame con i figli

– e dall’altro di accertare che la scelta al trasferimento del genitore collocatario non abbia come unico scopo quello di ostacolare (se non di danneggiare) il rapporto dei figli con l’altro genitore.

Nel caso di specie, ad esempio, appariva decisivo l’atteggiamento assunto in sede processuale dai due genitori: la donna, infatti, pur formulando con forte decisione la richiesta di avere con sé la figlia, non escludeva al contempo – seppur in via subordinata – che la minore fosse collocata presso il padre con articolazione dei tempi e dei modi di frequentazione. Al contrario il padre escludeva del tutto la possibilità di collocazione della figlia presso la madre, nella ferma convinzione che il miglior interesse per la minore fosse quello di rimanere nella città di attuale residenza. Atteggiamenti questi letti quale indice:

– da un lato di maggiore capacità della madre – in quanto verosimilmente legata in maggior misura alla quotidianità con la figlia – di cogliere maggiormente tutti gli aspetti sottesi dalla difficile decisione

– e dall’altro di mancanza da parte del padre di piena capacità di valutazione del problema nella sua complessità.

4. Le possibilità che il minore conservi i rapporti i parenti

Ancora, il magistrato deve verificare in che modo il trasferimento possa salvaguardare e garantire le relazioni del figlio con le altre figure familiari e affettive di riferimento (zii, nonni, ecc.) che definiscono l’identità familiare del minore, preservando la memoria e riconoscibilità delle proprie origini geografiche, sociali e culturali: è naturale che ove il minore non abbia mai coltivato rapporti significativi con queste ultime per il giudice non si porrà la necessità di garantire la conservazione di tale rapporto. Nel caso sottoposto all’esame del tribunale meneghino, il trasferimento della minore avrebbe comportato la possibilità di maggiore frequentazione (fino ad allora sacrificata) dei nonni materni in quanto residenti nella città di rilocazione.

5. Le possibili ripercussioni sul minore

Altro criterio di riferimento (e strettamente connesso al quello riguardante le ragioni del trasferimento) è costituito dalla valutazione – anche in prospettiva – da parte del magistrato dei possibili effetti del trasferimento sul figlio in relazione al suo necessario bisogno di stabilità ambientale, emotiva, psicologica e di relazione: allo scopo, il giudice avrà il compito di valutare se la richiesta di trasferimento del genitore possa o meno essere definitiva o anche soggetta alle continue esigenze del genitore collocatario.

6. Il nuovo contesto sociale e familiare

Ancora, il giudice deve analizzare le caratteristiche dell’ambiente sociale e familiare in cui il genitore collocatario (o affidatario) vuole trasferirsi rispetto a quelle del luogo di attuale residenza: si pensi da un lato alla profonda diversità esistente tra una circoscritta realtà di paese e quella di una città metropolitana e dall’altro all’eventualità che il minore possa contare comunque nella nuova realtà su figure di riferimento: nel caso di specie, ad esempio, il trasferimento non avrebbe comportato un cambiamento radicale per la minore in quanto si trattava di due contesti sociali assai simili (Novara-Ravenna) e per giunta la donna tornava a vivere nella realtà territoriale della propria famiglia d’origine e quindi la minore avrebbe comunque coltivato i rapporti con le figure parentali di riferimento materno.

 7. L’età dei figli

Ulteriore parametro di riferimento per il magistrato è costituito dall’età della prole. Tanto più piccolo è il figlio, infatti, tanto più facilmente rischia di venire compromessa la sua possibilità di mantenere un significativo legame con il genitore non collocatario; ciò specie quando l’età della prole non abbia ancora consentito di sviluppare un legame significativo con uno o con entrambi i genitori (si pensi ad un bambino in tenerissima età che necessita di un rapporto quotidiano e –potremmo dire – epidermico per creare un contatto effettivo con i genitori): dunque, il giudice dovrà concentrare la sua analisi non soltanto sulle qualità della rapporto già in atto, ma anche su quelle potenziali di suo sviluppo. Nel caso in esame si trattava –come accennato – di minore in età adolescenziale la quale aveva manifestato di avere un legame radicato anche con il padre.

8. Le dichiarazioni del minore

Altro elemento di sostanziale importanza nella decisione in esame è rappresentato dalla volontà al trasferimento eventualmente espressa da minore in sede di ascolto [5]: tanto più grande è il figlio, infatti, tanto più elevato potrà ritenersi il suo livello di maturazione e di sviluppo psicofisico: rinviamo ad un approfondimento a riguardo alle nostre guide: “Separazione: a che età i figli possono decidere il genitore con cui stare?”, “Separazione e ascolto dei minori: quali regole?”. Nel caso di specie, peraltro, la figlia, in sede di ascolto pur esprimendo il suo sano timore all’idea di un cambiamento radicale di vita, non aveva escluso l’idea di poterlo attuare.

La decisione del giudice

Appare utile – al fine di comprendere, in concreto, in che modo i su elencati criteri possano guidare il giudice nella sua decisione – un richiamo allo specifico provvedimento assunto dal tribunale meneghino: esso, confermando l’affidamento condiviso della minore ad entrambi i genitori, riteneva tuttavia di dover mantenere il prevalente collocamento della figlia presso la madre, autorizzando il trasferimento della fanciulla nella nuova residenza materna e la sua iscrizione nella realtà scolastica del luogo.

Il tribunale, infatti, riteneva che, esaminata ogni circostanza, si potesse individuare nella madre la figura genitoriale di più sicuro riferimento, in grado, cioè, di esplicare una più sicura funzione accuditiva, anche mettendosi criticamente in discussione.

 

Quanto ai timori del trasferimento (ma non al rifiuto) espressi dalla minore, la pronuncia evidenzia la necessità che essi vengano consegnati:

– da un lato alla piena e cosciente responsabilità di entrambi i genitori, i quali dovranno mostrarsi in grado di gestire e, quindi, non strumentalizzare, la paura del “del nuovo” espressa dalla figlia

– e dall’altro ai Servizi Sociali competenti nella nuova città di residenza, i quali avranno il compito di monitorare e sostenere l’inserimento della minore nel nuovo contesto sociale e scolastico.


note

[1] Art. 709 ter cod. proc. civ.

[2] Art. 573 e 574 cod. pen.

[3] Trib. Milano, ord. 12. 08.2014.

[4] Art. 337 ter cod. civ.

[5] Art. 337 octies cod.civ.

Autore immagine: 123rf com


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