Si può avere usucapione se il proprietario di casa ha le chiavi?
La Cassazione (ord. 11972/2025) esclude l’usucapione se il proprietario ha accesso (chiavi), provando che non c’è stata interversione del possesso.
L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà (o di altri diritti reali) che affascina e talvolta preoccupa: l’idea che il semplice passare del tempo e il possesso prolungato di un bene altrui possano portare ad acquisirne la titolarità ha radici antiche nel nostro ordinamento. Tuttavia, i requisiti per usucapire sono rigorosi e non sempre di facile realizzazione, specialmente quando chi occupa l’immobile ha iniziato a farlo sulla base di un accordo con il proprietario (come un affitto o un comodato). Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (la n. 11972 del 7 maggio 2025) ha fornito un chiarimento su un aspetto spesso dibattuto:
Indice
Cos’è l’usucapione e quali sono i suoi requisiti fondamentali?
L’usucapione (disciplinata dagli articoli 1158 e seguenti del Codice Civile) è un modo di acquisto “
Perché si possa usucapire un bene immobile (come una casa), sono necessari i seguenti requisiti fondamentali:
- possesso: è l’elemento più importante. non basta la semplice disponibilità materiale del bene (detenzione), ma occorre un vero e proprio potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di un altro diritto reale (art. 1140 c.c.). Il possessore si deve comportare, esteriormente, come se fosse il proprietario. In buona sostanza ci vuole un atteggiamento esteriorizzato con cui il possessore dimostri di atteggiarsi a effettivo proprietario (e, come vedremo a breve, il titolare del bene, pur dinanzi a tale situazione, non si oppone);
- continuato: il possesso deve protrarsi ininterrottamente per tutto il periodo richiesto dalla legge (20 anni per l’usucapione ordinaria degli immobili);
- non violento né clandestino: il possesso deve essere stato acquistato in modo pacifico e pubblico, non con la forza o di nascosto;
- non interrotto: il possesso non deve essere stato interrotto per più di un anno, né per cause naturali né per atti provenienti dal proprietario (es. azione giudiziaria) o dal possessore stesso (es. riconoscimento del diritto altrui);
- tempo: deve decorrere il termine previsto dalla legge (di regola, 20 anni per gli immobili).
Che differenza c’è tra possesso e detenzione ai fini dell’usucapione?
Questa distinzione è fondamentale per capire perché l’accesso del proprietario può essere così rilevante.
Il possesso è caratterizzato da due elementi:
- corpus possessionis: la disponibilità materiale e il controllo effettivo del bene;
- animus possidendi: l’intenzione (manifestata all’esterno) di tenere la cosa come propria, di comportarsi come se si fosse il titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, senza riconoscere un diritto superiore altrui.
Solo il possesso (e non la detenzione) è utile ai fini dell’usucapione.
La detenzione è caratterizzata solo dal corpus possessionis (la disponibilità materiale), ma manca l’animus possidendi. Il detentore ha la cosa nella sua disponibilità, ma lo fa in virtù di un titolo (es. un contratto di locazione, di comodato, di deposito, un rapporto di lavoro) che riconosce l’esistenza di un diritto altrui (quello del proprietario, del locatore, del comodante). Il detentore, quindi, non si comporta come proprietario, ma come qualcuno che utilizza il bene rispettando il diritto del titolare.
Chi inizia a occupare un immobile come inquilino (locazione) o come comodatario (comodato d’uso gratuito) è un
Cos’è l’interversione del possesso e quando è necessaria?
Affinché un detentore possa iniziare a possedere utilmente per l’usucapione, è necessario che si verifichi un mutamento del titolo della sua relazione con il bene: la cosiddetta interversione del possesso (o, più correttamente, interversio possessionis, cioè mutamento della detenzione in possesso), disciplinata dall’articolo 1141, secondo comma, del Codice Civile. In buona sostanza è necessario che il soggetto che usa l’immobile inizi ad atteggiarsi da proprietario (ad esempio effettuando ristrutturazioni, abbattendo muri, cambiando la destinazione del bene o semplicemente la serranda della porta), pur non avendone il diritto.
L’interversione non può avvenire per semplice cambiamento interno della volontà del detentore (“da oggi decido che questa casa è mia”). Sono necessari atti esterni, concreti e inequivocabili
L’art. 1141 c.c. indica due modi in cui può avvenire l’interversione:
- per causa proveniente da un terzo: ad esempio, il detentore acquista il bene da un terzo che si dichiara proprietario (anche se non lo è), oppure riceve per successione dal terzo un titolo che lo rende possessore;
- in forza di opposizione fatta dal detentore contro il possessore (proprietario): il detentore deve compiere uno o più atti materiali o giuridici con cui nega apertamente il diritto del proprietario e dichiara, esplicitamente o implicitamente, di voler tenere la cosa come propria. Non basta smettere di pagare il canone o non restituire il bene alla scadenza del contratto; occorre un atto che manifesti in modo inequivocabile l’intento di escludere il proprietario dal suo diritto.
Se il proprietario ha le chiavi e può entrare, si può usucapire?
Secondo la Cassazione
La conservazione della possibilità di accesso da parte del proprietario è considerata dalla Cassazione una prova che l’interversione del possesso non si è mai verificata. Dimostra, infatti, che l’occupante (originariamente detentore) non ha posto in essere quegli atti necessari per manifestare in modo inequivocabile la sua volontà di escludere definitivamente il proprietario dal godimento e dal controllo del bene.
Se il proprietario può ancora entrare nell’immobile quando lo desidera (o almeno ha la possibilità materiale di farlo, possedendo le chiavi), significa che l’occupante non si sta comportando come l’unico e indiscusso “padrone” del bene, ma sta ancora, implicitamente o esplicitamente, riconoscendo (o quantomeno non contestando apertamente) il potere del proprietario sul bene stesso. Manca quindi quella manifestazione esterna di
L’accesso del proprietario interrompe il possesso?
È importante sottolineare la sottile ma cruciale distinzione fatta dalla Cassazione. La Corte ha precisato che la decisione della Corte d’Appello non ha considerato l’accesso del proprietario come un atto interruttivo di un precedente possesso (che presupporrebbe che un possesso utile all’usucapione fosse già iniziato).
L’accesso del proprietario è stato invece valutato come prova che un possesso utile ai fini dell’usucapione, in capo all’occupante, non era mai iniziato, perché non si era verificata l’interversione dalla detenzione originaria. È una prova della mancanza del requisito del possesso ad usucapionem, non un’interruzione di un possesso già esistente.
Quale caso specifico ha deciso la Cassazione con l’ord. 11972/2025?
La Cassazione ha esaminato il caso di un uomo che occupava un appartamento inizialmente in base a un contratto di comodato (secondo la sua difesa) o di locazione non dichiarata (secondo la Corte d’Appello). I proprietari avevano chiesto la restituzione dell’immobile, mentre l’occupante aveva chiesto in via riconvenzionale di essere dichiarato proprietario per usucapione.
Il Tribunale aveva inizialmente accolto la domanda di usucapione. La Corte d’Appello, però, aveva riformato la sentenza, negando l’usucapione per due motivi principali:
- l’occupante aveva continuato a corrispondere il canone di affitto, dimostrando così di riconoscere il diritto dei proprietari e di essere un semplice detentore (inquilino);
- i proprietari avevano dimostrato di avere ancora la disponibilità materiale del bene, avendo potuto accedere autonomamente all’appartamento con le proprie chiavi in occasione di un sopralluogo del CTU.
La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, sottolineando che entrambi questi elementi (pagamento canoni e accesso dei proprietari) concorrevano a dimostrare la mancata prova, da parte dell’occupante, dell’avvenuta interversione della detenzione in possesso.
Il pagamento dei canoni di affitto impedisce l’usucapione?
Il pagamento del canone di locazione è uno degli atti che più chiaramente manifesta il riconoscimento del diritto di proprietà altrui. L’inquilino paga il canone proprio perché sa di non essere il proprietario e di utilizzare il bene in forza di un contratto che glielo consente, ma che presuppone la proprietà in capo al locatore.
Continuare a pagare il canone (o anche solo offrirne il pagamento) è un comportamento totalmente incompatibile con l’animus possidendi richiesto per l’usucapione. È la prova lampante che il soggetto è ancora un detentore e non ha “invertito” il titolo della sua relazione con il bene. Nel caso deciso dalla Cassazione, questo elemento è stato considerato, insieme alla conservazione delle chiavi da parte dei proprietari, decisivo per escludere l’usucapione.
Come deve manifestarsi l’intento di possedere “uti dominus”?
Perché si realizzi l’interversione del possesso e inizi a decorrere il tempo utile per l’usucapione, il detentore deve manifestare la sua volontà di possedere come proprietario (uti dominus) attraverso atti esterni, specifici, inequivocabili e diretti contro il proprietario, tali da rendere evidente a quest’ultimo (o almeno conoscibile con l’ordinaria diligenza) che il detentore ha cessato di riconoscere il suo diritto e ha iniziato a comportarsi come l’unico titolare del bene.
Non basta un semplice mutamento dell’atteggiamento psicologico interno, né atti ambigui. Occorrono, ad esempio:
- una formale comunicazione al proprietario in cui si nega il suo diritto e si afferma il proprio;
- il compimento di atti materiali sul bene che eccedono le facoltà del detentore e sono tipici del proprietario (es. modifiche strutturali profonde non autorizzate, cambio totale delle serrature impedendo l’accesso al proprietario, stipula di contratti incompatibili con la posizione del proprietario);
- il rifiuto esplicito e motivato di restituire il bene alla richiesta del proprietario, fondato sull’affermazione di un proprio diritto di proprietà.
Nel caso deciso dalla Cassazione, l’occupante non aveva posto in essere alcuna attività idonea a “palesare il suo intento di escludere definitivamente i proprietari […] dal godimento uti dominus del bene”.