Videoconferenza (d. p. pen.): La L. 11/1998 ha introdotto, nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, l’art. 146bis, che disciplina la partecipazione al dibattimento a distanza (cd. Videoconferenza) nei processi relativi a reati previsti dall’art. 51, co. 3bis, c.p.p. (reati di criminalità organizzata), nonché dall’art. 407, co. 2, lett. a), n. 4), c.p.p. (il riferimento è a taluni delitti commessi per finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell’ordinamento costituzionale).
In particolare, la partecipazione al dibattimento, in tali casi, avviene a distanza per quegli imputati detenuti in carcere per cui sussistono, alternativamente, una delle seguenti condizioni: a) gravi motivi di sicurezza o di ordine pubblico; b) dibattimenti di particolare complessità, onde evitare ritardi e rinvii.
Fuori dai casi suddetti, la partecipazione in Videoconferenza avviene anche quando si procede nei confronti del detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41bis c.p. (carcere duro) e nonché quando si deve udire, in qualità di testimone, persona a qualsiasi titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario.
A norma dell’art. 205ter disp. att. c.p.p., quando sia previsto da accordi internazionali, e secondo la relativa disciplina, la partecipazione all’udienza dell’imputato detenuto all’estero, che non possa essere trasferito in Italia, ha luogo mediante collegamento audiovisivo, disciplinato dall’art. 146bis disp. att. per quanto non regolato dai suddetti accordi.
La finalità dell’istituto è quella di evitare che pericolosi detenuti, attraverso le traduzioni da un luogo ad un altro, possano mantenere contatti con altri imputati; ovvero possano evadere; o possano determinare il rinvio dei processi, essendo impegnati contemporaneamente in più dibattimenti.
La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di tale nuova modalità di assunzione dell’esame (a distanza), ha dichiarato la normativa esente da vizi di incostituzionalità (sent. n. 342 del 22-7-1999).